Qui pubblichiamo il primo articolo dell'iniziativa estiva del Sole 24 Ore "Lezioni dalla storia: il personaggio che potrebbe aiutarci a ripartire".
Lo scrittore Tim Parks ha scelto Cosimo de' Medici, il Vecchio
Nel 1438, messi sotto torchio dalla macchina da guerra turca, gli alti esponenti della Chiesa Orientale convennero a Ferrara con l'intento di appianare le divergenze dottrinali con il papa e ottenere, in cambio, un aiuto per far cessare il lungo assedio di Costantinopoli. Quando Ferrara venne colpita dalla peste, Cosimo de' Medici, allora quasi cinquantenne e capo della banca Medici, approfittò della situazione per invitare la delegazione greca a Firenze, pagando viaggio, vitto e alloggio a tutti i settecento partecipanti. Gli eventi che seguirono furono l'emblema di questo maestro del compromesso, fantasioso e ben finanziato.
Ad accogliere i prelati al loro arrivo a Firenze fu lo stesso Cosimo, non adesso come banchiere, ma nel ruolo di Gonfaloniere di Giustizia, cioè il capo del governo di Firenze. Teoricamente il gonfaloniere era eletto ogni due mesi, estratto a sorte tra i nomi dell'élite fiorentina, ma fin dal suo ritorno dall'esilio, nel 1434, Cosimo aveva sempre saputo manipolare le elezioni del gonfaloniere e dei priori per garantire un governo favorevole ai propri interessi. Detto questo, durante i trent'anni del suo predominio, dal '34 al '64, il banchiere si fece eleggere gonfaloniere solo tre volte, quando davvero serviva, rimanendo altrimenti nell'ombra.
Lo Spirito Santo procede solo da Dio Padre, come sosteneva la Chiesa Orientale, o in egual misura da Dio Padre e dal Figlio, come insisteva nell'affermare Roma? Ecco l'argomento in discussione al Concilio di Firenze nel 1439. Cosa ne pensava Cosimo? Non ci è dato saperlo. Effettivamente era abituato ad affrontare problemi ben più complessi. Elenchiamoli.
Come guadagnare nei panni di banchiere cristiano, quando la Chiesa vietava qualunque prestito a interessi?
Come costruire una banca con filiali estese in tutta Europa senza che i debiti di una rischiassero di affondare l'insieme?
Come continuare a vendere prodotti fiorentini e spezie orientali nel Nord Europa, vista la difficoltà di riportare i soldi a Firenze, specialmente da quando gli inglesi si erano rifiutati di mandare in Italia la loro lana grezza in cambio degli acquisti di seta, spezie e allume?
E se gli inglesi non gli cedevano la lana, come sarebbe riuscito a far lavorare i lanifici di Firenze e a tenere a bada la gente comune?
E se per avere la lana grezza doveva concedere prestiti ingenti al re d'Inghilterra, come avrebbe potuto proteggere la banca da un'eventuale insolvenza del re?
E ancora: come governare Firenze senza dare l'impressione di governare Firenze?
Come pagare i mercenari per conquistare Lucca se i fiorentini non volevano pagare le tasse?
Come espandersi territorialmente quando tutti gli altri Stati italiani erano contrari?
Come intraprendere guerre e al contempo vivere in pace?
Ma soprattutto: come poteva Cosimo assicurarsi quella gloria mondana che i testi classici (di cui era avido collezionista) declamavano, se i suoi concittadini odiavano chiunque ambisse a elevarsi al di sopra degli altri (questo il motivo ufficiale del suo esilio, nel 1433) e se la Chiesa predicava la povertà e l'umiltà?
Cosimo amava questi problemi. Se anche avesse potuto fabbricare il denaro agitando una bacchetta magica, affermava, avrebbe comunque fatto il banchiere. Preferiva la soluzione geniale al deus ex macchina. In calce alla sua copia del De oratore di Cicerone è annotata l'idea secondo cui dare l'impressione che la propria opinione sia anche quella della maggioranza sarebbe un modo efficace per convincere un pubblico dubbioso. E la sua tattica, effettivamente, fu sempre quella di affiancare le proprie ambizioni a quelle della collettività, usando la ricchezza per rendersi indispensabile, poi il tatto per smorzare il dissenso, e infine il gusto per incantare tutti. Mescolava «con la potenza la grazia», riferisce Machiavelli nelle Istorie Fiorentine. «E in tutte le cose che voleva» commenta Vespasiano da Bisticci, «sempre procurava pressi che'elle procedessino da altri e non da lui proprio, per fuggire la invidia quanto poteva».
Quando Rinaldo degli Albizzi propose alle altre famiglie nobili di sbarazzarsi di lui, l'ormai decrepito Niccolò da Uzzano rispose, stando alle parole di Machiavelli: «L'opere di Cosimo che ce lo fanno sospetto sono: perché gli serve de' suoi danari ciascuno, e non solamente i privati ma il pubblico, e non solo i Fiorentini ma i condottieri; perché favorisce quello e quell'altro cittadino che ha bisogno de' magistrati; perché e' tira, con la benivolenzia che gli ha nello universale, questo e quell'altro suo amico a maggiori gradi di onori».
Ma più di ogni altra cosa, a Cosimo piaceva mettere proficuamente d'accordo posizioni fra loro lontanissime. Così, quando spese 10mila fiorini per restaurare il fatiscente convento di San Marco in cambio di una bolla papale che gli avrebbe garantito l'assoluzione da tutti i suoi eventuali peccati, insistette perché l'ordine silvestrino, allora installato a San Marco e di cui si diceva che vivesse «né in povertà né in castità», fosse sostituito dai ben più austeri domenicani: solo le preghiere di uomini severissimi, dediti alla purezza e alla povertà, sarebbero valse un prezzo tanto alto. Poi fece abbellire e arricchire il convento al di là di ogni aspettativa, per la gloria di Dio ovviamente, ma anche in modo da renderlo accogliente per un banchiere agiato. Non commissionò mai dipinti spaventosi del Giudizio Universale; preferiva i Re Magi, con le loro vesti sfarzose e i sontuosi regali.
In questo modo creò uno spazio che conciliasse al proprio interno tante spinte contraddittorie; e, in effetti, Cosimo non accettava che vi fossero problemi senza soluzioni, né posizioni inconciliabili.
Così nel 1445, quando dopo sei anni di discussioni i prelati della Chiesa Orientale finalmente accettarono che lo Spirito Santo, in realtà, procedesse non solo dal Padre ma anche dal Figlio, a Cosimo parve il felice risultato di un investimento lungimirante che, tra l'altro, aveva portato a Firenze (e a se stesso) tanto prestigio, tanto sapere greco e tante nuove traduzioni di opere classiche. Da secoli si discute della necessità di trovare un salvatore per l'Italia. Nelle ultime pagine de Il principe, Machiavelli lo immagina come un leader militare carismatico capace di liberare e unire un paese frammentato e rissoso. Ma già nel 1450 Cosimo de' Medici aveva capito che chi conquista con la forza non fa altro che esporsi al contrattacco, perché il potere non deriva mai da un diritto naturale ma è sempre in qualche modo "trafugato". Sapeva pure che non è possibile tenere separati il denaro privato e il potere politico. Immancabilmente l'uno cercherà di impossessarsi dell'altro. L'importante, allora, era gestire lo scandalo del potere con garbo, assopendo il dissenso con l'incanto estetico. Non per nulla Cosimo era amico di Donatello, Michelozzo, il Beato Angelico, Fra Lippo Lippi e altri.
Ogni equilibrio, tuttavia, sarebbe sempre stato fragile, passeggero. Cosimo aveva capito anche questo. Perché l'Italia non si salva, ma piuttosto la si traghetta, con immensa discrezione, da una crisi all'altra. In particolare c'erano due circostanze che rischiavano di rendere vano ogni sforzo: da un lato la mancanza di soldi e dall'altro la presenza di principi inflessibili. Cosimo non poté fare nulla quando, nel 1447, la compagnia di Giovanni Venturi e Riccardo Davanzati fallì a Barcellona, rovinando la complessa triangolazione tra Venezia, Bruges e la Spagna che aveva permesso di tenere in piedi i commerci internazionali della banca, da quel momento in declino. Gli mancavano le risorse.
E fu ugualmente impotente quando i prelati greci, una volta tornati a Costantinopoli, si rimangiarono la parola, insistendo di nuovo che il Santo Spirito procedesse solo dal Padre. Così il papa non mandò gli aiuti e Costantinopoli cadde nel 1453. Cosa poteva fare un banchiere con gente che metteva la dottrina prima del bene comune?
E parlando di principi inflessibili, già nel convento di San Marco c'era chi invocava «la maledizione di Dio» su «coloro che introducono possesso di beni in questo ordine». Già nel 1452 era nato Girolamo Savonarola. E già certi fiorentini reclamavano un ritorno a elezioni più trasparenti le quali, senz'altro, avrebbero gettato la città nel caos. Il modello fiorentino costruito da Cosimo aveva i giorni contati. Lui lo sapeva, eppure continuò imperterrito a cercare il compromesso con astuzia, ottimismo, discrezione. Dato, mi dico, che in Italia le spinte divisorie sono sempre state intense e molteplici, dato che non si può mai sperare altro che qualche accomodamento provvisorio di nemici giurati e assurdi estremismi, quella di Cosimo de' Medici, un uomo che mai si sarebbe fatto chiamare Cesare da nessuno, mi sembra una figura da ammirare ed emulare, ma senza dirlo troppo forte.
* Tim Parks ha scritto «La fortuna dei Medici», edito da Mondadori, e nel 2011 sarà co-curatore della mostra «Il denaro e la bellezza. I banchieri, Botticelli e il rogo delle vanità», Palazzo Strozzi, Firenze.
IL POLITICO E FIRENZE
La vita
Cosimo de' Medici, detto il Vecchio, nasce a Firenze nel 1389. Alla morte del padre, Giovanni di Bicci de' Medici, da cui ereditò la ricchezza e l'esperienza negli affari, nel 1429 diviene capo della casata e della grande azienda bancaria di famiglia. In pochi anni il suo potere a Firenze inizia a essere visto come una minaccia dal partito oligarchico, guidato da figure come Palla Strozzi e Rinaldo degli Albizzi. Nel settembre dello stesso anno viene imprigionato, accusato per il fallimento della conquista di Lucca, e mandato in esilio a Padova e poi a Venezia. Onorato nel viaggio come un principe si reca presso i Benedettini nell'isola di San Giorgio dove fondò la biblioteca e l'arricchì di codici. Nel frattempo il colpo degli oligarchi a Firenze non nutre gli effetti sperati e presto Cosimo viene richiamato in patria, nel 1434. Assunto il governo della città, inizia a costruire la prima Signoria in Italia, da acuto uomo politico e abile diplomatico, garantendo alla città di Firenze un lungo periodo di sicurezza e splendore culturale. Muore nel 1464 a Careggi e gli succede il figlio Piero, padre di Lorenzo il Magnifico. La sua tomba oggi si trova nella chiesa di San Lorenzo di Firenze, sotto una lastra realizzata da Andrea Verrocchio, di fianco al sepolcro di Donatello.
LA SUA FIRENZE
Il governo
Al governo della città di Firenze dal 1434, Cosimo de' Medici inizialmente consolida la sua posizione mettendo al bando gli avversari più temibili e mandandone in rovina altri, imponendo loro una pressione fiscale elevata. In ambito politico lavora per mantenere l'equilibrio e la pace nella penisola, alleandosi prima con Venezia e poi con i Visconti, con abilità diplomatica, e impedendo l'ingerenza straniera. Dopo la pace di Lodi si deve anche a lui una lunga fase di equilibrio fra gli Stati italiani che si erano costituiti nel corso di un secolo di guerre. Da acuto uomo politico, evita di ricoprire personalmente cariche pubbliche, preferendo collocare nelle posizioni-chiave alcuni sostenitori fidati. Salvo la costituzione del consiglio dei Cento (1458), non interviene sullo statuto cittadino con sostanziali modifiche, ma sotto il suo governo sia Firenze sia la sua famiglia si arricchiscono notevolmente. Cosimo migliora l'agricoltura, sviluppa i commerci, incrementa l'industria serica e promuove un progetto per rendere navigabile l'Arno. Nel 1439 convince strumentalmente il papa Eugenio IV a spostare il concilio ecumenico di Ferrara a Firenze, sancendo così il suo successo politico. Il pontefice, che risiede a Firenze dal 1434 al 1443, offre appoggi e favori ai Medici e consacra la cupola di Santa Maria del Fiore e la chiesa del convento di San Marco.
Il patronato delle arti
Cosimo esercita con larghezza il mecenatismo in opere di beneficienza, elargisce somme per la costruzione di chiese, palazzi e conventi e crea intorno a lui un sentimento di ammirazione e riconoscenza: tanto che, dopo la sua morte, con deliberazione pubblica gli viene conferito il titolo onorifico «pater patriae». Tra i suoi preferiti c'è l'architetto Michele Michelozzo, al quale affida diverse opere, tra cui il Palazzo Medici, la nuova residenza di famiglia posta su via Larga, oggi prototipo dell'architettura civica rinascimentale e sede della Provincia. Protettore di artisti e studiosi, si dota di una ricca raccolta di testi classici e contemporanei, incrementata nel tempo: l'interesse per il collezionismo librario lo porta a contribuire a importanti biblioteche come quella di San Marco, di San Lorenzo e della Badia Fiesolana. Con Donatello stabilisce un rapporto affettivo intenso, da cui derivarono opere eccelse come il David bronzeo. Come mecenate varcò anche i confini: a Parigi restaurò il Collegio degli italiani (poi distrutto) e a Gerusalemme costruì l'Ospizio dei Pellegrini.
Per saperne di più
Oggi a Palazzo Vecchio (sede del Comune in piazza della Signoria a Firenze) si possono ammirare gli affreschi cinquecenteschi con le Storie di Cosimo il Vecchio dipinti da Giorgio Vasari, uno dei grandi omaggi della città in suo onore.
Il committente fu Cosimo I de' Medici duca di Firenze che dal suo illustre avo ereditò il nome, in buon auspicio. Nel cortile degli Uffizi si trova la statua di Cosimo de' Medici eseguita da Luigi Magi. Tra i film che lo ricordano, invece, il più noto è quello pensato per la televisione, L'età di Cosimo de' Medici di Roberto Rossellini, uscito nel 1973.
Ad accogliere i prelati al loro arrivo a Firenze fu lo stesso Cosimo, non adesso come banchiere, ma nel ruolo di Gonfaloniere di Giustizia, cioè il capo del governo di Firenze. Teoricamente il gonfaloniere era eletto ogni due mesi, estratto a sorte tra i nomi dell'élite fiorentina, ma fin dal suo ritorno dall'esilio, nel 1434, Cosimo aveva sempre saputo manipolare le elezioni del gonfaloniere e dei priori per garantire un governo favorevole ai propri interessi. Detto questo, durante i trent'anni del suo predominio, dal '34 al '64, il banchiere si fece eleggere gonfaloniere solo tre volte, quando davvero serviva, rimanendo altrimenti nell'ombra.
Lo Spirito Santo procede solo da Dio Padre, come sosteneva la Chiesa Orientale, o in egual misura da Dio Padre e dal Figlio, come insisteva nell'affermare Roma? Ecco l'argomento in discussione al Concilio di Firenze nel 1439. Cosa ne pensava Cosimo? Non ci è dato saperlo. Effettivamente era abituato ad affrontare problemi ben più complessi. Elenchiamoli.
Come guadagnare nei panni di banchiere cristiano, quando la Chiesa vietava qualunque prestito a interessi?
Come costruire una banca con filiali estese in tutta Europa senza che i debiti di una rischiassero di affondare l'insieme?
Come continuare a vendere prodotti fiorentini e spezie orientali nel Nord Europa, vista la difficoltà di riportare i soldi a Firenze, specialmente da quando gli inglesi si erano rifiutati di mandare in Italia la loro lana grezza in cambio degli acquisti di seta, spezie e allume?
E se gli inglesi non gli cedevano la lana, come sarebbe riuscito a far lavorare i lanifici di Firenze e a tenere a bada la gente comune?
E se per avere la lana grezza doveva concedere prestiti ingenti al re d'Inghilterra, come avrebbe potuto proteggere la banca da un'eventuale insolvenza del re?
E ancora: come governare Firenze senza dare l'impressione di governare Firenze?
Come pagare i mercenari per conquistare Lucca se i fiorentini non volevano pagare le tasse?
Come espandersi territorialmente quando tutti gli altri Stati italiani erano contrari?
Come intraprendere guerre e al contempo vivere in pace?
Ma soprattutto: come poteva Cosimo assicurarsi quella gloria mondana che i testi classici (di cui era avido collezionista) declamavano, se i suoi concittadini odiavano chiunque ambisse a elevarsi al di sopra degli altri (questo il motivo ufficiale del suo esilio, nel 1433) e se la Chiesa predicava la povertà e l'umiltà?
Cosimo amava questi problemi. Se anche avesse potuto fabbricare il denaro agitando una bacchetta magica, affermava, avrebbe comunque fatto il banchiere. Preferiva la soluzione geniale al deus ex macchina. In calce alla sua copia del De oratore di Cicerone è annotata l'idea secondo cui dare l'impressione che la propria opinione sia anche quella della maggioranza sarebbe un modo efficace per convincere un pubblico dubbioso. E la sua tattica, effettivamente, fu sempre quella di affiancare le proprie ambizioni a quelle della collettività, usando la ricchezza per rendersi indispensabile, poi il tatto per smorzare il dissenso, e infine il gusto per incantare tutti. Mescolava «con la potenza la grazia», riferisce Machiavelli nelle Istorie Fiorentine. «E in tutte le cose che voleva» commenta Vespasiano da Bisticci, «sempre procurava pressi che'elle procedessino da altri e non da lui proprio, per fuggire la invidia quanto poteva».
Quando Rinaldo degli Albizzi propose alle altre famiglie nobili di sbarazzarsi di lui, l'ormai decrepito Niccolò da Uzzano rispose, stando alle parole di Machiavelli: «L'opere di Cosimo che ce lo fanno sospetto sono: perché gli serve de' suoi danari ciascuno, e non solamente i privati ma il pubblico, e non solo i Fiorentini ma i condottieri; perché favorisce quello e quell'altro cittadino che ha bisogno de' magistrati; perché e' tira, con la benivolenzia che gli ha nello universale, questo e quell'altro suo amico a maggiori gradi di onori».
Ma più di ogni altra cosa, a Cosimo piaceva mettere proficuamente d'accordo posizioni fra loro lontanissime. Così, quando spese 10mila fiorini per restaurare il fatiscente convento di San Marco in cambio di una bolla papale che gli avrebbe garantito l'assoluzione da tutti i suoi eventuali peccati, insistette perché l'ordine silvestrino, allora installato a San Marco e di cui si diceva che vivesse «né in povertà né in castità», fosse sostituito dai ben più austeri domenicani: solo le preghiere di uomini severissimi, dediti alla purezza e alla povertà, sarebbero valse un prezzo tanto alto. Poi fece abbellire e arricchire il convento al di là di ogni aspettativa, per la gloria di Dio ovviamente, ma anche in modo da renderlo accogliente per un banchiere agiato. Non commissionò mai dipinti spaventosi del Giudizio Universale; preferiva i Re Magi, con le loro vesti sfarzose e i sontuosi regali.
In questo modo creò uno spazio che conciliasse al proprio interno tante spinte contraddittorie; e, in effetti, Cosimo non accettava che vi fossero problemi senza soluzioni, né posizioni inconciliabili.
Così nel 1445, quando dopo sei anni di discussioni i prelati della Chiesa Orientale finalmente accettarono che lo Spirito Santo, in realtà, procedesse non solo dal Padre ma anche dal Figlio, a Cosimo parve il felice risultato di un investimento lungimirante che, tra l'altro, aveva portato a Firenze (e a se stesso) tanto prestigio, tanto sapere greco e tante nuove traduzioni di opere classiche. Da secoli si discute della necessità di trovare un salvatore per l'Italia. Nelle ultime pagine de Il principe, Machiavelli lo immagina come un leader militare carismatico capace di liberare e unire un paese frammentato e rissoso. Ma già nel 1450 Cosimo de' Medici aveva capito che chi conquista con la forza non fa altro che esporsi al contrattacco, perché il potere non deriva mai da un diritto naturale ma è sempre in qualche modo "trafugato". Sapeva pure che non è possibile tenere separati il denaro privato e il potere politico. Immancabilmente l'uno cercherà di impossessarsi dell'altro. L'importante, allora, era gestire lo scandalo del potere con garbo, assopendo il dissenso con l'incanto estetico. Non per nulla Cosimo era amico di Donatello, Michelozzo, il Beato Angelico, Fra Lippo Lippi e altri.
Ogni equilibrio, tuttavia, sarebbe sempre stato fragile, passeggero. Cosimo aveva capito anche questo. Perché l'Italia non si salva, ma piuttosto la si traghetta, con immensa discrezione, da una crisi all'altra. In particolare c'erano due circostanze che rischiavano di rendere vano ogni sforzo: da un lato la mancanza di soldi e dall'altro la presenza di principi inflessibili. Cosimo non poté fare nulla quando, nel 1447, la compagnia di Giovanni Venturi e Riccardo Davanzati fallì a Barcellona, rovinando la complessa triangolazione tra Venezia, Bruges e la Spagna che aveva permesso di tenere in piedi i commerci internazionali della banca, da quel momento in declino. Gli mancavano le risorse.
E fu ugualmente impotente quando i prelati greci, una volta tornati a Costantinopoli, si rimangiarono la parola, insistendo di nuovo che il Santo Spirito procedesse solo dal Padre. Così il papa non mandò gli aiuti e Costantinopoli cadde nel 1453. Cosa poteva fare un banchiere con gente che metteva la dottrina prima del bene comune?
E parlando di principi inflessibili, già nel convento di San Marco c'era chi invocava «la maledizione di Dio» su «coloro che introducono possesso di beni in questo ordine». Già nel 1452 era nato Girolamo Savonarola. E già certi fiorentini reclamavano un ritorno a elezioni più trasparenti le quali, senz'altro, avrebbero gettato la città nel caos. Il modello fiorentino costruito da Cosimo aveva i giorni contati. Lui lo sapeva, eppure continuò imperterrito a cercare il compromesso con astuzia, ottimismo, discrezione. Dato, mi dico, che in Italia le spinte divisorie sono sempre state intense e molteplici, dato che non si può mai sperare altro che qualche accomodamento provvisorio di nemici giurati e assurdi estremismi, quella di Cosimo de' Medici, un uomo che mai si sarebbe fatto chiamare Cesare da nessuno, mi sembra una figura da ammirare ed emulare, ma senza dirlo troppo forte.
* Tim Parks ha scritto «La fortuna dei Medici», edito da Mondadori, e nel 2011 sarà co-curatore della mostra «Il denaro e la bellezza. I banchieri, Botticelli e il rogo delle vanità», Palazzo Strozzi, Firenze.
IL POLITICO E FIRENZE
La vita
Cosimo de' Medici, detto il Vecchio, nasce a Firenze nel 1389. Alla morte del padre, Giovanni di Bicci de' Medici, da cui ereditò la ricchezza e l'esperienza negli affari, nel 1429 diviene capo della casata e della grande azienda bancaria di famiglia. In pochi anni il suo potere a Firenze inizia a essere visto come una minaccia dal partito oligarchico, guidato da figure come Palla Strozzi e Rinaldo degli Albizzi. Nel settembre dello stesso anno viene imprigionato, accusato per il fallimento della conquista di Lucca, e mandato in esilio a Padova e poi a Venezia. Onorato nel viaggio come un principe si reca presso i Benedettini nell'isola di San Giorgio dove fondò la biblioteca e l'arricchì di codici. Nel frattempo il colpo degli oligarchi a Firenze non nutre gli effetti sperati e presto Cosimo viene richiamato in patria, nel 1434. Assunto il governo della città, inizia a costruire la prima Signoria in Italia, da acuto uomo politico e abile diplomatico, garantendo alla città di Firenze un lungo periodo di sicurezza e splendore culturale. Muore nel 1464 a Careggi e gli succede il figlio Piero, padre di Lorenzo il Magnifico. La sua tomba oggi si trova nella chiesa di San Lorenzo di Firenze, sotto una lastra realizzata da Andrea Verrocchio, di fianco al sepolcro di Donatello.
LA SUA FIRENZE
Il governo
Al governo della città di Firenze dal 1434, Cosimo de' Medici inizialmente consolida la sua posizione mettendo al bando gli avversari più temibili e mandandone in rovina altri, imponendo loro una pressione fiscale elevata. In ambito politico lavora per mantenere l'equilibrio e la pace nella penisola, alleandosi prima con Venezia e poi con i Visconti, con abilità diplomatica, e impedendo l'ingerenza straniera. Dopo la pace di Lodi si deve anche a lui una lunga fase di equilibrio fra gli Stati italiani che si erano costituiti nel corso di un secolo di guerre. Da acuto uomo politico, evita di ricoprire personalmente cariche pubbliche, preferendo collocare nelle posizioni-chiave alcuni sostenitori fidati. Salvo la costituzione del consiglio dei Cento (1458), non interviene sullo statuto cittadino con sostanziali modifiche, ma sotto il suo governo sia Firenze sia la sua famiglia si arricchiscono notevolmente. Cosimo migliora l'agricoltura, sviluppa i commerci, incrementa l'industria serica e promuove un progetto per rendere navigabile l'Arno. Nel 1439 convince strumentalmente il papa Eugenio IV a spostare il concilio ecumenico di Ferrara a Firenze, sancendo così il suo successo politico. Il pontefice, che risiede a Firenze dal 1434 al 1443, offre appoggi e favori ai Medici e consacra la cupola di Santa Maria del Fiore e la chiesa del convento di San Marco.
Il patronato delle arti
Cosimo esercita con larghezza il mecenatismo in opere di beneficienza, elargisce somme per la costruzione di chiese, palazzi e conventi e crea intorno a lui un sentimento di ammirazione e riconoscenza: tanto che, dopo la sua morte, con deliberazione pubblica gli viene conferito il titolo onorifico «pater patriae». Tra i suoi preferiti c'è l'architetto Michele Michelozzo, al quale affida diverse opere, tra cui il Palazzo Medici, la nuova residenza di famiglia posta su via Larga, oggi prototipo dell'architettura civica rinascimentale e sede della Provincia. Protettore di artisti e studiosi, si dota di una ricca raccolta di testi classici e contemporanei, incrementata nel tempo: l'interesse per il collezionismo librario lo porta a contribuire a importanti biblioteche come quella di San Marco, di San Lorenzo e della Badia Fiesolana. Con Donatello stabilisce un rapporto affettivo intenso, da cui derivarono opere eccelse come il David bronzeo. Come mecenate varcò anche i confini: a Parigi restaurò il Collegio degli italiani (poi distrutto) e a Gerusalemme costruì l'Ospizio dei Pellegrini.
Per saperne di più
Oggi a Palazzo Vecchio (sede del Comune in piazza della Signoria a Firenze) si possono ammirare gli affreschi cinquecenteschi con le Storie di Cosimo il Vecchio dipinti da Giorgio Vasari, uno dei grandi omaggi della città in suo onore.
Il committente fu Cosimo I de' Medici duca di Firenze che dal suo illustre avo ereditò il nome, in buon auspicio. Nel cortile degli Uffizi si trova la statua di Cosimo de' Medici eseguita da Luigi Magi. Tra i film che lo ricordano, invece, il più noto è quello pensato per la televisione, L'età di Cosimo de' Medici di Roberto Rossellini, uscito nel 1973.
«Il Sole 24 Ore» del 25 luglio 2010
Nessun commento:
Posta un commento