Parla il critico del Corriere: “Mentana un miracolo? E’ bastato ricominciare a dare le notizie nella giusta gerarchia”
di Marianna Rizzini
Secondo la GroupM, che ha analizzato i dati di ascolto del tg di Enrico Mentana su La7 confrontandoli con quelli del 2009, quando il telegiornale era diretto da Antonello Piroso, la nuova versione informativa piace soprattutto ai trentenni laureati. Mentana batte Piroso soprattutto nel tg dell'edizione delle 20, in attesa del 30 agosto quando, ha dichiarato l'ex volto del tg5, il format non sarà più "in prova". I telegionali italiani, tra settembre 2008 e ottobre 2009 hanno perso quasi un milione di spettatori, passando da 20,4 milioni a 19,47 milioni.
“Accendi la televisione, ti sintonizzi sul telegiornale ed è come stare in aereo: ti siedi, allacci le cinture e vedi la hostess o lo steward che indicano l’uscita di sicurezza. Il tg è diventato consolatorio, l’appuntamento delle otto fastidioso. E il Tg1 e il Tg5 sono brutti. Brutti non tanto per l’impostazione ideologica – alla fine gli editoriali di Augusto Minzolini possono pure mettere pepe – quanto per la mancanza di notizie e per l’abitudine di far diventare principali le notizie d’appendice sulla Riviera romagnola e sul caldo che non molla la presa. Ma è vero che negli ultimi anni, per una serie di ragioni prudenziali interne al gioco politico, sono andate alla direzione dei telegiornali persone che amano poco il proprio mestiere e che prestano scarsa attenzione alla fattura del tg ed estrema attenzione ad altro”.
Così parla Aldo Grasso, critico televisivo del Corriere della Sera e docente di Storia della televisione. Due giorni fa, sul sito del Corriere, Grasso ha salutato il ritorno di Enrico Mentana in video (alla direzione del tg de La 7) con un: “Si è gridato al mezzo miracolo, ma il prodigio non riguarda le persone quanto il concetto stesso di tg. Mai come in questo momento i tg sono in crisi”. Il fatto che Mentana “abbia almeno ricominciato a dare le notizie è apparso tanto più importante in un momento in cui, con Internet e con i flash informativi su Sky, il telegiornale ha perso la sua sacralità”.
Per Grasso c’è poi un problema di “autoreferenzialità” nei confronti del pubblico. “Se si guarda la composizione del pubblico del Tg1”, dice il critico del Corsera, “si vedrà che è anziano, tradizionale, poco scolarizzato. Ed è come se ci si stesse sforzando di proporre le notizie che possono avere maggiore ascolto per quell’audience. Questo è peggio di una perversa strategia politica. Si pensa sempre che il tg, in particolare quello di Minzolini, sia in un vicolo cieco per complessi giochi di potere, in realtà si cerca soprattutto di dare notizie che possano piacere. Quasi tutti i telegiornali italiani tendono all’intrattenimento. Curiosamente, quelli che subiscono meno scosse sono i più ideologizzati, come il Tg3 e il tg di Emilio Fede su Retequattro. Sono fatti per i ‘fedeli’, per persone che vogliono sentirsi dire esattamente quello che viene detto. A rischio sono il Tg2 e Studio aperto: con la loro ansia di rivolgersi ai giovani restano sul bagnasciuga, impigliati nelle notti bianche. Ma è arrivando alle messe cantate delle otto, il Tg1 e il Tg5, che si capisce che l’informazione generalista, così com’è, ha le ore contate. Si va verso un frazionamento del pubblico, bisogna offrire un commento, un taglio, un di più che solo il telegiornale può dare”.
Non c’è spazio, oggi, “per la cerimonia solenne all’ora di cena”, dice Grasso, “tantopiù se non dice nulla. Il pubblico più attivo e partecipativo, infatti, prima di uscire dall’ufficio ha già dato un’occhiata ai siti e sa quali sono le notizie. Poi accende la tv e non le trova. Oppure le trova dopo trenta minuti di chiacchiere sui cani smarriti. Tempo perso, insomma”. Che “l’informazione generalista fosse sul viale del tramonto” Aldo Grasso l’ha capito anche “da un segnale esterno” premonitore: “L’abbandono di Larry King. King era il giornalista che si rivolgeva alla famiglia con un paternalismo alla Enzo Biagi prima maniera: sei tu che guidi lo spettatore per mano negli anfratti della notizia. Ma tutto questo è finito, e il tg, caposaldo di questo tipo di informazione, rischia la fine se non si reinventa”.
“Accendi la televisione, ti sintonizzi sul telegiornale ed è come stare in aereo: ti siedi, allacci le cinture e vedi la hostess o lo steward che indicano l’uscita di sicurezza. Il tg è diventato consolatorio, l’appuntamento delle otto fastidioso. E il Tg1 e il Tg5 sono brutti. Brutti non tanto per l’impostazione ideologica – alla fine gli editoriali di Augusto Minzolini possono pure mettere pepe – quanto per la mancanza di notizie e per l’abitudine di far diventare principali le notizie d’appendice sulla Riviera romagnola e sul caldo che non molla la presa. Ma è vero che negli ultimi anni, per una serie di ragioni prudenziali interne al gioco politico, sono andate alla direzione dei telegiornali persone che amano poco il proprio mestiere e che prestano scarsa attenzione alla fattura del tg ed estrema attenzione ad altro”.
Così parla Aldo Grasso, critico televisivo del Corriere della Sera e docente di Storia della televisione. Due giorni fa, sul sito del Corriere, Grasso ha salutato il ritorno di Enrico Mentana in video (alla direzione del tg de La 7) con un: “Si è gridato al mezzo miracolo, ma il prodigio non riguarda le persone quanto il concetto stesso di tg. Mai come in questo momento i tg sono in crisi”. Il fatto che Mentana “abbia almeno ricominciato a dare le notizie è apparso tanto più importante in un momento in cui, con Internet e con i flash informativi su Sky, il telegiornale ha perso la sua sacralità”.
Per Grasso c’è poi un problema di “autoreferenzialità” nei confronti del pubblico. “Se si guarda la composizione del pubblico del Tg1”, dice il critico del Corsera, “si vedrà che è anziano, tradizionale, poco scolarizzato. Ed è come se ci si stesse sforzando di proporre le notizie che possono avere maggiore ascolto per quell’audience. Questo è peggio di una perversa strategia politica. Si pensa sempre che il tg, in particolare quello di Minzolini, sia in un vicolo cieco per complessi giochi di potere, in realtà si cerca soprattutto di dare notizie che possano piacere. Quasi tutti i telegiornali italiani tendono all’intrattenimento. Curiosamente, quelli che subiscono meno scosse sono i più ideologizzati, come il Tg3 e il tg di Emilio Fede su Retequattro. Sono fatti per i ‘fedeli’, per persone che vogliono sentirsi dire esattamente quello che viene detto. A rischio sono il Tg2 e Studio aperto: con la loro ansia di rivolgersi ai giovani restano sul bagnasciuga, impigliati nelle notti bianche. Ma è arrivando alle messe cantate delle otto, il Tg1 e il Tg5, che si capisce che l’informazione generalista, così com’è, ha le ore contate. Si va verso un frazionamento del pubblico, bisogna offrire un commento, un taglio, un di più che solo il telegiornale può dare”.
Non c’è spazio, oggi, “per la cerimonia solenne all’ora di cena”, dice Grasso, “tantopiù se non dice nulla. Il pubblico più attivo e partecipativo, infatti, prima di uscire dall’ufficio ha già dato un’occhiata ai siti e sa quali sono le notizie. Poi accende la tv e non le trova. Oppure le trova dopo trenta minuti di chiacchiere sui cani smarriti. Tempo perso, insomma”. Che “l’informazione generalista fosse sul viale del tramonto” Aldo Grasso l’ha capito anche “da un segnale esterno” premonitore: “L’abbandono di Larry King. King era il giornalista che si rivolgeva alla famiglia con un paternalismo alla Enzo Biagi prima maniera: sei tu che guidi lo spettatore per mano negli anfratti della notizia. Ma tutto questo è finito, e il tg, caposaldo di questo tipo di informazione, rischia la fine se non si reinventa”.
«Il Foglio» del 19 luglio 2010
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