Mangiapreti o buon cristiano? A duecento anni dalla nascita, storici a confronto sui rapporti tra lo statista e il cattolicesimo
di Edoardo Castagna
La formula era quella, celeberrima, della «Libera Chiesa in libero Stato». Ma cosa Cavour esattamente intendesse con quel suo enunciato resta oggetto di dibattito fra gli storici. L’artefice dell’Unità, nato a Torino il 10 agosto di due secoli fa, «fu uno statista dal respiro europeo – nota Andrea Riccardi, storico della Chiesa e fondatore della Comunità di Sant’Egidio –, che fece entrare il piccolo Piemonte nel grande gioco continentale. Mise al servizio dell’unificazione e delle ambizioni di casa Savoia la sua cultura europea; non era un teorico, ma un pragmatico che marciava verso il suo obiettivo, l’Unità. Per lui la Chiesa era un problema sia verso la creazione di uno Stato liberale, con il foro ecclesiastico che sottraeva i sacerdoti ai tribunali statali e i vasti possedimenti in mano ai religiosi, sia verso l’Unità, con l’esistenza stessa dello Stato pontificio. Tutto questo lo portò inevitabilmente allo scontro con un papa che invece concepiva la Chiesa entro l’orizzonte culturale della Restaurazione. Per Pio IX – ma sarebbe stato così anche con Leone XIII, fino alla cosiddetta 'conciliazione silenziosa' di Benedetto XV – il potere temporale era la garanzia della libertà spirituale della Chiesa. Una visione certo datata, da Antico regime, ma è corretto che il papa non sia suddito di alcuno Stato, secondo il principio che infatti sarebbe stato alla base dei Patti lateranensi del 1929: immaginiamoci che cosa sarebbe accaduto, se il papa non fosse stato protetto dalla sua sovranità, nell’Italia del fascismo, dell’occupazione nazifascista, e giù giù fino alla politica e alla magistratura di oggi… Pio IX non aveva la cultura politica necessaria per comprendere l’Unità, eppure la sua intuizione era giusta».
All’interno del movimento risorgimentale, tuttavia, di pulsioni anticlericali ce n’erano. «Mazzini – prosegue Riccardi – voleva senza mezzi termini sradicare la Chiesa dall’Italia, considerandola un fenomeno retrivo, una piaga nazionale. Ma tutta la laicità italiana era connessa a certi filoni massonici, fin dalla Carboneria». E con questi filoni, sia pure nelle varianti più moderate, lo stesso Cavour era in contatto. Spiega Massimo Introvigne, direttore del Cesnur: «Cavour non era affiliato, non c’è alcun documento che lo dimostri – sebbene a rigore non ve ne siano nemmeno che lo escludano. Tuttavia, se non possiamo dire che Cavour fosse massone, certo lo era la suo cerchia politica». Uno statista circondato da famelici mangiapreti, quindi? «Un momento. La massoneria dell’epoca era divisa in due riti, cui corrispondevano differenze di atteggiamento. I mangiapreti erano quelli di rito scozzese; nelle cerchia di Cavour c’erano invece i massoni del rito simbolico, secondo i quali la Chiesa non solo non andava attaccata, ma anzi applaudita con tutti gli onori: ma solo finché si occupava di coscienze, dell’uomo come individuo singolo. Guai, però, se pretendeva di dire la sua sui problemi economici, sociali e politici; una posizione, questa dei massoni di rito simbolico, che arrivava addirittura a incontrarsi con quella di certo cattolicesimo liberale, alla Lamennais seconda maniera. Il massone vicino a Cavour è quello in redingote e cravatta del suo amico Pier Carlo Boggio, suo punto di riferimento nell’elaborazione teorica dei rapporti tra Stato e Chiesa; quello che incensa la Chiesa quale bellissima istituzione, utile per la pubblica morale, purché se ne rimanga nelle sue sagrestie. Per questo le gerarchie ecclesiastiche dell’epoca consideravano, non senza ragione, il massonismo moderato del rito simbolico non meno pericoloso di quello che faceva capo al rito scozzese, alla Garibaldi, che con la bava alla bocca si piazzava davanti a una chiesa il Venerdì Santo e agitava il cosciotto di maiale urlando volgarità».
Nulla di più distante, anche caratterialmente, dall’accorto primo ministro sabaudo. Anzi, puntualizza ancora Introvigne, «può darsi che, esaurito il periodo giovanile di ateismo, Cavour conservasse nel suo cuore un genuino rispetto per la Chiesa e una certa nostalgia del cattolicesimo piemontese profondo». Conferma lo storico Ernesto Galli della Loggia: «Cavour non era assolutamente un massone; un anticlericale, sì, nella misura in cui lo erano tutti i liberali compresi quelli cattolici come Manzoni o Fogazzaro. Perché nell’Italia dell’Ottocento non poteva essere diversamente: la Chiesa con l’enciclica Mirari vos del 1832 si era schierata recisamente non tanto contro l’indipendenza italiana, ma contro la stessa libertà di coscienza. Era la tragica contrapposizione tra la Chiesa dell’epoca e la modernità, i diritti civili e politici, i governi rappresentativi fondati sulle elezioni. Per questo i liberali non potevano non essere anticlericali; il che, nella politica concreta di Cavour, significava rimuovere dall’ordinamento piemontese tutti i residui di Antico regime, dal foro ecclesiastico che minava il principio dell’uguaglianza davanti alla legge alla riduzione del potere economico della Chiesa. Certo, per farlo furono adottati provvedimenti prevaricatori: ma anche la riforma agraria voluta da De Gasperi fu prevaricatrice... Che alternativa c’era? Forse sostenere che fosse giusto per la Chiesa possedere enormi proprietà terriere, spesso improduttive? Dubito che oggi la dottrina sociale della Chiesa approverebbe una cosa del genere; per questo è bene evitare di combattere sterili battaglie di retroguardia, come pure qualche studioso si ostina a fare». La contrapposizione tra movimento nazionale e temporalismo della Chiesa era inevitabile; «eppure personalmente – rimarca Galli della Loggia – Cavour non rinnegò mai la sua appartenenza cattolica. Sul letto di morte volle i conforti religiosi, e in seguito perfino 'L’Armonia', giornale cattolico di Torino che tante volte l’aveva contestato, gli tributò l’onore delle armi con un bellissimo necrologio, nel quale si ricordava come spesso lo statista avesse fatto, segretamente, molta beneficenza, e proprio attraverso istituzioni cattoliche. Cavour non condivise mai l’idea, propria invece di altri settori del fronte risorgimentale, di 'scattolicizzare' l’Italia. Anzi, cercò di gettare le basi per una soluzione politica del temporalismo, più o meno nella direzione poi adottata dal Concordato del 1929». Paolo VI, un secolo dopo, avrebbe definito «provvidenziale» la fine del potere temporale della Chiesa. «Io aggiungo – conclude Riccardi – che anche la perdita dei possedimenti fondiari in qualche misura lo fu. Ma una cosa va detta: venne perseguita con metodi giacobini, colpendo anche i poveri che dai conventi soppressi ricevevano assistenza. Nel nuovo sistema liberal-borghese la mendicità divenne reato, cosa ben lontana dall’attenzione ai deboli propria della Chiesa, oggi come allora».
All’interno del movimento risorgimentale, tuttavia, di pulsioni anticlericali ce n’erano. «Mazzini – prosegue Riccardi – voleva senza mezzi termini sradicare la Chiesa dall’Italia, considerandola un fenomeno retrivo, una piaga nazionale. Ma tutta la laicità italiana era connessa a certi filoni massonici, fin dalla Carboneria». E con questi filoni, sia pure nelle varianti più moderate, lo stesso Cavour era in contatto. Spiega Massimo Introvigne, direttore del Cesnur: «Cavour non era affiliato, non c’è alcun documento che lo dimostri – sebbene a rigore non ve ne siano nemmeno che lo escludano. Tuttavia, se non possiamo dire che Cavour fosse massone, certo lo era la suo cerchia politica». Uno statista circondato da famelici mangiapreti, quindi? «Un momento. La massoneria dell’epoca era divisa in due riti, cui corrispondevano differenze di atteggiamento. I mangiapreti erano quelli di rito scozzese; nelle cerchia di Cavour c’erano invece i massoni del rito simbolico, secondo i quali la Chiesa non solo non andava attaccata, ma anzi applaudita con tutti gli onori: ma solo finché si occupava di coscienze, dell’uomo come individuo singolo. Guai, però, se pretendeva di dire la sua sui problemi economici, sociali e politici; una posizione, questa dei massoni di rito simbolico, che arrivava addirittura a incontrarsi con quella di certo cattolicesimo liberale, alla Lamennais seconda maniera. Il massone vicino a Cavour è quello in redingote e cravatta del suo amico Pier Carlo Boggio, suo punto di riferimento nell’elaborazione teorica dei rapporti tra Stato e Chiesa; quello che incensa la Chiesa quale bellissima istituzione, utile per la pubblica morale, purché se ne rimanga nelle sue sagrestie. Per questo le gerarchie ecclesiastiche dell’epoca consideravano, non senza ragione, il massonismo moderato del rito simbolico non meno pericoloso di quello che faceva capo al rito scozzese, alla Garibaldi, che con la bava alla bocca si piazzava davanti a una chiesa il Venerdì Santo e agitava il cosciotto di maiale urlando volgarità».
Nulla di più distante, anche caratterialmente, dall’accorto primo ministro sabaudo. Anzi, puntualizza ancora Introvigne, «può darsi che, esaurito il periodo giovanile di ateismo, Cavour conservasse nel suo cuore un genuino rispetto per la Chiesa e una certa nostalgia del cattolicesimo piemontese profondo». Conferma lo storico Ernesto Galli della Loggia: «Cavour non era assolutamente un massone; un anticlericale, sì, nella misura in cui lo erano tutti i liberali compresi quelli cattolici come Manzoni o Fogazzaro. Perché nell’Italia dell’Ottocento non poteva essere diversamente: la Chiesa con l’enciclica Mirari vos del 1832 si era schierata recisamente non tanto contro l’indipendenza italiana, ma contro la stessa libertà di coscienza. Era la tragica contrapposizione tra la Chiesa dell’epoca e la modernità, i diritti civili e politici, i governi rappresentativi fondati sulle elezioni. Per questo i liberali non potevano non essere anticlericali; il che, nella politica concreta di Cavour, significava rimuovere dall’ordinamento piemontese tutti i residui di Antico regime, dal foro ecclesiastico che minava il principio dell’uguaglianza davanti alla legge alla riduzione del potere economico della Chiesa. Certo, per farlo furono adottati provvedimenti prevaricatori: ma anche la riforma agraria voluta da De Gasperi fu prevaricatrice... Che alternativa c’era? Forse sostenere che fosse giusto per la Chiesa possedere enormi proprietà terriere, spesso improduttive? Dubito che oggi la dottrina sociale della Chiesa approverebbe una cosa del genere; per questo è bene evitare di combattere sterili battaglie di retroguardia, come pure qualche studioso si ostina a fare». La contrapposizione tra movimento nazionale e temporalismo della Chiesa era inevitabile; «eppure personalmente – rimarca Galli della Loggia – Cavour non rinnegò mai la sua appartenenza cattolica. Sul letto di morte volle i conforti religiosi, e in seguito perfino 'L’Armonia', giornale cattolico di Torino che tante volte l’aveva contestato, gli tributò l’onore delle armi con un bellissimo necrologio, nel quale si ricordava come spesso lo statista avesse fatto, segretamente, molta beneficenza, e proprio attraverso istituzioni cattoliche. Cavour non condivise mai l’idea, propria invece di altri settori del fronte risorgimentale, di 'scattolicizzare' l’Italia. Anzi, cercò di gettare le basi per una soluzione politica del temporalismo, più o meno nella direzione poi adottata dal Concordato del 1929». Paolo VI, un secolo dopo, avrebbe definito «provvidenziale» la fine del potere temporale della Chiesa. «Io aggiungo – conclude Riccardi – che anche la perdita dei possedimenti fondiari in qualche misura lo fu. Ma una cosa va detta: venne perseguita con metodi giacobini, colpendo anche i poveri che dai conventi soppressi ricevevano assistenza. Nel nuovo sistema liberal-borghese la mendicità divenne reato, cosa ben lontana dall’attenzione ai deboli propria della Chiesa, oggi come allora».
Lo Stato pontificio era un ostacolo oggettivo all’unificazione nazionale, mentre l’evoluzione in senso liberale dello Stato era frenata da fori ecclesiastici e possedimenti degli ordini religiosi, spesso improduttivi
«Avvenire» del 29 luglio 2010
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