Dal terrore per l'arrivo dell'anno 2012 alla fobia del transgenico, passando per le eco-balle sul clima. Arriva un saggio per difendersi da chi ci terrorizza
di Matteo Sacchi
Gli esseri umani sono programmati a credere in ciò che non vedono. Come se non bastasse gli esseri umani sono programmati per aver paura. Perché?
Perché quando un bipede implume che si avventura per la savana con una lancia in mano (attività che abbiamo svolto per decine di migliaia di anni) sente un ruggito che arriva dall’erba alta non è il caso di fermarsi a fare disquisizioni filosofiche (tipo: Ma oltre al suono c’è davvero un animale? E sarà un leone o un giaguaro?). Il piano migliore è filarsela gambe in spalla. Insomma, con buona pace degli ottimisti, il nostro istinto primario ci porta a pensare che le cose finiranno male. Anzi, l’idea che ci aspetti un tremendo redde rationem è qualcosa che ci affascina, ci strega in una sorta di cupio dissolvi che ricorda quel racconto di Edgar Allan Poe: Una discesa nel Maelström.
Ecco spiegato come mai non passa giorno che qualcuno decida di raccontarci le nostre sorti orribili e regressive, culminanti nel grande botto che ci stenderà tutti. E se la tiritera va avanti almeno sin dall’anno Mille, nell’ultimo decennio la moda del Dies irae, dies illa! è diventata parossistica, dando vita a uno sfiancante tam-tam. Tipo: nel 2012 o ci spiaccica il pianeta Nibiru, o ci frigge il sole, o tornano gli alieni, o i Maya fermano l’orologione del tempo, o ben che vada la terra smette di girare e arriva l’inversione magnetica... Tutto questo in un solo anno, trascurando qualche altra quisquilia preconizzata dai più fantasiosi. È un panino un po’ pesante da digerire, persino per noi che siamo una specie onnivora e, almeno per i pasdaran dell’ecologia, con molto pelo sullo stomaco.
Il risultato è che in Occidente si sta diffondendo una sorta di panico strisciante all’interno del quale le panzane sull’annus horribilis sono solo la punta, ridicola, di un iceberg di paura. Basti dire che secondo alcuni sondaggi la maggioranza degli americani vive aspettando una gigantesca catastrofe entro il termine della propria vita. Quale? Anche qui, chi più ne ha più ne metta: si va dalla bomba demografica, con cui ci tormentano sin dagli anni Sessanta, per arrivare alla scomparsa delle foreste e all’effetto serra, ovviamente passando per altre amenità come l’inevitabile pandemia universale (per la quale le nazioni sviluppate hanno già buttato miliardi di euro in vaccini) o la morte delle api che trasformerà il mondo in un deserto. Ognuno può scegliersi il disastro che preferisce.
Ecco che allora non è una brutta idea mettersi a leggere il nuovo saggio di Riccardo Cascioli e Antonio Gaspari: 2012. Catastrofismo e fine dei tempi (Piemme, pagg. 210, euro 15,50). I due, abituati a scrivere a quattro mani (hanno già vergato assieme Le bugie degli ambientalisti, Che tempo farà e I Padroni del Pianeta) questa volta hanno fatto le pulci a tutte le teorie della catastrofe, circolate e circolanti.
Il primo dato consolante su cui pongono l’accento è questo: le predizioni di sventura andate a farsi benedire sono centinaia, a partire da quelle dello pseudo Malachia sino ad arrivare al «baco» del 2000 (quello che avrebbe dovuto rosicarsi i nostri sistemi informatici e riportarci al Medioevo). L’altro dato consolante - e ben documentato - è che ogni teoria della catastrofe presentata sin ora, se vagliata alla luce di dati scientifici reali o al banale buon senso scricchiola pesantemente. Tanto per dire, sul riscaldamento globale si è detto tutto e il contrario di tutto. Forse anche perché buona parte dei dati - come ricordano Cascioli e Gaspari con abbondanza di dettagli - erano truccati. O semplicemente perché il clima è una macchina complessissima e dai tempi lunghissimi, una macchina sul cui funzionamento l’irraggiamento solare o la CO2 di un vulcano islandese contano molto di più dello scappamento delle nostre auto. Quindi, bontà sua, delle previsioni apocalittiche ha ben poca voglia di rispettare la data di scadenza.
Quello che però emerge dal libro (e che di consolante ha ben poco) è il fatto che le notizie realistiche - tra le quali spicca il fatto che i tanto vituperati Ogm stanno contribuendo a rilanciare l’economia di molti Paesi in via di sviluppo e rappresentano il passo più concreto mai fatto per la fine della fame nel mondo - siano invece sistematicamente oscurate.
Sarà perché, anche a partire dall’innato fascino del pessimismo di cui parlavamo all’inizio, i giornali fanno più facilmente un titolone se possono usare la parola «disastro». Dire che le centrali nucleari funzionano una bellezza, e che sono infinitamente meno pericolose dei boiler a gas, non è una di quelle cose che fa transennare le edicole per eccesso di lettori. Eppure non si può ridurre la questione solo a questo. Per usare le parole della premiata ditta Cascioli&Gaspari: «È evidente che le persone, i gruppi, le organizzazioni, i governi che controllano e sanno inventare e utilizzare la diffusione delle paure dispongono di un potere enorme».
E ancora: «Il grado e il livello di paura dipendono dalla percezione della realtà dell’individuo. Ed è sull’alterazione della percezione che hanno lavorato coloro che aspirano al controllo sociale». Come a dire: non è che non esistano problemi ambientali o rischi, oppure la necessità di ripartire meglio la ricchezza. Ma la paralisi da terrore alla razza umana (che non ha mai avuto una vita così lunga e così tante potenzialità di benessere) non giova. Purtroppo a qualche furbo magari sì.
Perché quando un bipede implume che si avventura per la savana con una lancia in mano (attività che abbiamo svolto per decine di migliaia di anni) sente un ruggito che arriva dall’erba alta non è il caso di fermarsi a fare disquisizioni filosofiche (tipo: Ma oltre al suono c’è davvero un animale? E sarà un leone o un giaguaro?). Il piano migliore è filarsela gambe in spalla. Insomma, con buona pace degli ottimisti, il nostro istinto primario ci porta a pensare che le cose finiranno male. Anzi, l’idea che ci aspetti un tremendo redde rationem è qualcosa che ci affascina, ci strega in una sorta di cupio dissolvi che ricorda quel racconto di Edgar Allan Poe: Una discesa nel Maelström.
Ecco spiegato come mai non passa giorno che qualcuno decida di raccontarci le nostre sorti orribili e regressive, culminanti nel grande botto che ci stenderà tutti. E se la tiritera va avanti almeno sin dall’anno Mille, nell’ultimo decennio la moda del Dies irae, dies illa! è diventata parossistica, dando vita a uno sfiancante tam-tam. Tipo: nel 2012 o ci spiaccica il pianeta Nibiru, o ci frigge il sole, o tornano gli alieni, o i Maya fermano l’orologione del tempo, o ben che vada la terra smette di girare e arriva l’inversione magnetica... Tutto questo in un solo anno, trascurando qualche altra quisquilia preconizzata dai più fantasiosi. È un panino un po’ pesante da digerire, persino per noi che siamo una specie onnivora e, almeno per i pasdaran dell’ecologia, con molto pelo sullo stomaco.
Il risultato è che in Occidente si sta diffondendo una sorta di panico strisciante all’interno del quale le panzane sull’annus horribilis sono solo la punta, ridicola, di un iceberg di paura. Basti dire che secondo alcuni sondaggi la maggioranza degli americani vive aspettando una gigantesca catastrofe entro il termine della propria vita. Quale? Anche qui, chi più ne ha più ne metta: si va dalla bomba demografica, con cui ci tormentano sin dagli anni Sessanta, per arrivare alla scomparsa delle foreste e all’effetto serra, ovviamente passando per altre amenità come l’inevitabile pandemia universale (per la quale le nazioni sviluppate hanno già buttato miliardi di euro in vaccini) o la morte delle api che trasformerà il mondo in un deserto. Ognuno può scegliersi il disastro che preferisce.
Ecco che allora non è una brutta idea mettersi a leggere il nuovo saggio di Riccardo Cascioli e Antonio Gaspari: 2012. Catastrofismo e fine dei tempi (Piemme, pagg. 210, euro 15,50). I due, abituati a scrivere a quattro mani (hanno già vergato assieme Le bugie degli ambientalisti, Che tempo farà e I Padroni del Pianeta) questa volta hanno fatto le pulci a tutte le teorie della catastrofe, circolate e circolanti.
Il primo dato consolante su cui pongono l’accento è questo: le predizioni di sventura andate a farsi benedire sono centinaia, a partire da quelle dello pseudo Malachia sino ad arrivare al «baco» del 2000 (quello che avrebbe dovuto rosicarsi i nostri sistemi informatici e riportarci al Medioevo). L’altro dato consolante - e ben documentato - è che ogni teoria della catastrofe presentata sin ora, se vagliata alla luce di dati scientifici reali o al banale buon senso scricchiola pesantemente. Tanto per dire, sul riscaldamento globale si è detto tutto e il contrario di tutto. Forse anche perché buona parte dei dati - come ricordano Cascioli e Gaspari con abbondanza di dettagli - erano truccati. O semplicemente perché il clima è una macchina complessissima e dai tempi lunghissimi, una macchina sul cui funzionamento l’irraggiamento solare o la CO2 di un vulcano islandese contano molto di più dello scappamento delle nostre auto. Quindi, bontà sua, delle previsioni apocalittiche ha ben poca voglia di rispettare la data di scadenza.
Quello che però emerge dal libro (e che di consolante ha ben poco) è il fatto che le notizie realistiche - tra le quali spicca il fatto che i tanto vituperati Ogm stanno contribuendo a rilanciare l’economia di molti Paesi in via di sviluppo e rappresentano il passo più concreto mai fatto per la fine della fame nel mondo - siano invece sistematicamente oscurate.
Sarà perché, anche a partire dall’innato fascino del pessimismo di cui parlavamo all’inizio, i giornali fanno più facilmente un titolone se possono usare la parola «disastro». Dire che le centrali nucleari funzionano una bellezza, e che sono infinitamente meno pericolose dei boiler a gas, non è una di quelle cose che fa transennare le edicole per eccesso di lettori. Eppure non si può ridurre la questione solo a questo. Per usare le parole della premiata ditta Cascioli&Gaspari: «È evidente che le persone, i gruppi, le organizzazioni, i governi che controllano e sanno inventare e utilizzare la diffusione delle paure dispongono di un potere enorme».
E ancora: «Il grado e il livello di paura dipendono dalla percezione della realtà dell’individuo. Ed è sull’alterazione della percezione che hanno lavorato coloro che aspirano al controllo sociale». Come a dire: non è che non esistano problemi ambientali o rischi, oppure la necessità di ripartire meglio la ricchezza. Ma la paralisi da terrore alla razza umana (che non ha mai avuto una vita così lunga e così tante potenzialità di benessere) non giova. Purtroppo a qualche furbo magari sì.
«Il Giornale» del 27 luglio 2010
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