Paolo Mieli ieri su una lenzuolata di due pagine del Corriere della Sera ha annunciato l’edizione italiana di un saggio sulla sostanziale continuità tra l’Urss di Lenin e quella di Stalin
di Ugo Finetti
Con un incipit che gareggia con il «Profondo è il pozzo del passato» di Thomas Mann per il suo ciclo biblico, Paolo Mieli ieri su una lenzuolata di due pagine del Corriere della Sera ha annunciato l’edizione italiana di un saggio sulla sostanziale continuità tra l’Urss di Lenin e quella di Stalin: «Quasi novant’anni. Tanto c’è voluto perché fosse pubblicato in Italia il fondamentale libro di Sergej Petrovic Mel’gunov Il terrore rosso in Russia 1918-1923». E cioè Mieli sottolinea che sin dal 1923 si poteva usufruire della documentazione circa il fatto che dittatura e campi di concentramento erano stati «fondati» da Lenin e non da Stalin e che simili testi hanno conosciuto un sostanziale ostracismo da parte dell’editoria italiana. Peccato che per il resto dell’articolo-saggio Mieli non esplori le ragioni di questo ritardo e si concentri sulla tesi della continuità tra Lenin e Stalin che ormai da decenni è un fatto acquisito dalla storiografia mondiale.
Sicuramente una frase infelice è che Mel’gunov, secondo Mieli, «morì nel maggio 1956 avendo avuto la fortuna di conoscere, pochi mesi prima del decesso, il rapporto sui crimini di Stalin che Nikita Krusciov aveva presentato al XX Congresso del Pcus». Fortuna? Perseguitato, braccato, diffamato, esiliato per più di trent’anni, Mel’gunov assisteva con Krusciov al trionfo della tesi esattamente opposta alla sua: che cosa fu il rapporto Krusciov se non la messa in scena della discontinuità tra Lenin e Stalin e l’esaltazione di un «ritorno alle origini» leniniste in contrapposizione alle «degenerazioni» staliniste?
Sono proprio le ragioni politiche di quella «seconda» nascita della contrapposizione Lenin-Stalin che andrebbero demistificate, soprattutto in Italia. Il dualismo nacque all’inizio «da sinistra» con la rottura tra Stalin e Trotzky, il quale da posizioni di sinistra rivendicò il primato di successore di Lenin, ma il vero casus storico prese forma appunto nel 1956 quando dal podio dell’assise moscovita si lesse quel rapporto Krusciov.
Oggi si tratta di mettere a fuoco la scenografia storica della contrapposizione tra Lenin e Stalin praticata in Italia per salvaguardare da un lato i successori di Stalin e dall’altro i collaboratori occidentali del dittatore sovietico, a cominciare da Togliatti. Contrapporre Lenin a Stalin è ancora oggi alla base del tentativo di distinguere tra idee buone e realizzazioni cattive e quindi tra comunismo italiano e comunismo sovietico che è la vulgata della storiografia dominante in Italia. Mieli cita l’introduzione di Paolo Sensini al libro di Mel’gunov. Sarebbe forse stato utile ricordare in proposito il saggio che proprio Sensini ha recentemente dedicato al boicottaggio in Italia della Biennale del Dissenso del 1977 in cui si distinse la Rizzoli e gli odierni articoli di Luciano Canfora sul Corriere della Sera che hanno indotto lo storico Robert Conquest, autore dei saggi sul Grande terrore nell’Urss degli anni Trenta, a definire il nostro Paese come un estremo rifugio della «stalinophilia».
Sicuramente una frase infelice è che Mel’gunov, secondo Mieli, «morì nel maggio 1956 avendo avuto la fortuna di conoscere, pochi mesi prima del decesso, il rapporto sui crimini di Stalin che Nikita Krusciov aveva presentato al XX Congresso del Pcus». Fortuna? Perseguitato, braccato, diffamato, esiliato per più di trent’anni, Mel’gunov assisteva con Krusciov al trionfo della tesi esattamente opposta alla sua: che cosa fu il rapporto Krusciov se non la messa in scena della discontinuità tra Lenin e Stalin e l’esaltazione di un «ritorno alle origini» leniniste in contrapposizione alle «degenerazioni» staliniste?
Sono proprio le ragioni politiche di quella «seconda» nascita della contrapposizione Lenin-Stalin che andrebbero demistificate, soprattutto in Italia. Il dualismo nacque all’inizio «da sinistra» con la rottura tra Stalin e Trotzky, il quale da posizioni di sinistra rivendicò il primato di successore di Lenin, ma il vero casus storico prese forma appunto nel 1956 quando dal podio dell’assise moscovita si lesse quel rapporto Krusciov.
Oggi si tratta di mettere a fuoco la scenografia storica della contrapposizione tra Lenin e Stalin praticata in Italia per salvaguardare da un lato i successori di Stalin e dall’altro i collaboratori occidentali del dittatore sovietico, a cominciare da Togliatti. Contrapporre Lenin a Stalin è ancora oggi alla base del tentativo di distinguere tra idee buone e realizzazioni cattive e quindi tra comunismo italiano e comunismo sovietico che è la vulgata della storiografia dominante in Italia. Mieli cita l’introduzione di Paolo Sensini al libro di Mel’gunov. Sarebbe forse stato utile ricordare in proposito il saggio che proprio Sensini ha recentemente dedicato al boicottaggio in Italia della Biennale del Dissenso del 1977 in cui si distinse la Rizzoli e gli odierni articoli di Luciano Canfora sul Corriere della Sera che hanno indotto lo storico Robert Conquest, autore dei saggi sul Grande terrore nell’Urss degli anni Trenta, a definire il nostro Paese come un estremo rifugio della «stalinophilia».
«Il Giornale» del 28 luglio 2010
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