In Italia, a differenza del caso «Apostrophe» in Francia, la letteratura sul piccolo schermo resta al palo. La colpa è della cultura «alta», poco adatta a questo medium. Il «j’accuse» di Aldo Grasso
di Aldo Grasso
E' il 1954: le segnalazioni librarie si alternano agli incontri con gli autori, nella prima rassegna della tv italiana dedicata alla promozione della lettura.
Il commesso di libreria attesta l’orientamento pedagogico-divulgativo della Rai delle origini, come pure la scarsa capacità di rendere televisivo il soggetto della trasmissione. Avviata nella fase sperimentale della tv, la rubrica risente dell’esitazione dei programmisti, che la collocano inizialmente alla domenica, per spostare le successive sei puntate (trasmesse tra la fine del 1953 e l’aprile del 1954) in orari e giornate differenti, generalmente con cadenza quindicinale. A condurre gli incontri viene chiamato Franco Antonicelli. Amico di Benedetto Croce, membro del Comitato di liberazione nazionale piemontese, ne ricopre la carica di presidente nei giorni dell’insurrezione di Torino. Nel dopoguerra, dopo un breve periodo alla direzione del Partito repubblicano italiano, aderisce nel 1953 all’Alleanza democratica nazionale, partecipando attivamente alla battaglia contro la «legge truffa». Infaticabile organizzatore di cultura, fonda e dirige l’Unione culturale di Torino. Poeta e saggista, collabora per vari anni a programmi culturali della radio e della tv. «Chi è un buon commesso di libreria?», si chiede Antonicelli. «È uno che sa di non essere lì a vendere una merce come un’altra, ma qualcosa di particolare qualità, da averci mani delicate, mente svelta, buona memoria, senso di opportunità, conoscenza del mercato e familiarità con il pubblico, così difficile e svagato e, perché no?, gusto e voglia di leggere, che non guastan davvero. È un informatore che sa di suo e dell’altrui, sfoglia i giornali di annunzi editoriali, un poco anche le riviste letterarie, ritaglia persino qualche elzeviro».
Questa definizione di Antonicelli potrebbe essere la carta d’identità di tutte le trasmissioni che si occupano di libri, di ieri e di oggi. Sul perché la televisione non riesca più a produrre trasmissioni culturali, sui motivi del disaccordo tra la tv e il libro sono state espresse di recente molte e autorevoli opinioni. Tuttavia, le radici di questa incomprensione paiono antiche, e riguardano l’incompatibilità di linguaggi diversi, il prevaricare di una tradizione accademica anche dentro il piccolo schermo, la mancanza di una tradizione divulgativa in campo culturale, la convinzione che la cultura televisiva, in quanto tale, possa, e anzi debba tranquillamente prescindere dal libro (tanto più che buona parte della narrativa moderna sembra già così largamente televisiva), l’implacabile ossessione secondo cui i libri in televisione non facciano audience. Benedetto Croce sosteneva che uno scrittore non avrebbe mai dovuto pubblicare sulla quarta di copertina la propria fotografia. Non interessa l’immagine dello scrittore, diceva, ma solo la sua pagina. Erano altri tempi, altre situazioni. Ma lo scopo esplicito, persino enfatico, di tutte le rubriche che in tv sono state dedicate ai libri è sempre stato quello di «avvicinarci» allo scrittore, di «farcelo conoscere da vicino », di «intrattenerci» con lui. Non c’è scampo, è come sottostare a una legge ancestrale: in Italia, i peggiori programmi culturali sono quelli che parlano esplicitamente di cultura. È una regola teorizzata anni fa da Achille Campanile, e poi da Beniamino Placido. L’impressione è che i programmi che parÈ lano di libri siano sempre un concentrato di altezzosità, di appartenenza, di presunzione: si usano frasi roboanti, a effetto, pour épater. Tipo: «La letteratura è dare voce all’urlo inaudito che è sopito in noi».
È per questo che, a chiunque si accinga a presentare libri, consigliamo un prezioso suggerimento di Fruttero e Lucentini: «Si tratta di adeguare infine l’informazione libraria ai media, al loro linguaggio, alla loro struttura, al loro immenso pubblico. Si tratta di togliere di mezzo quei volenterosi ma squallidi personaggi incaricati finora di presentare in studio le novità editoriali, letterati d’azienda e di partito, critici maneggioni, gregari di terza pagina, ex centrocampisti della Normale, specialisti tutti-frusti, romanzieri falliti, eccetera; e di sostituirli con un vero showman, un autentico uomo di spettacolo, un 'conduttore' vivace, disinvolto, telegenico, un carismatico, torrenziale, salivoso book-jockey : ciao gente, eccoci di nuovo qui per la nostra Lit-Parade delle diciannove quarantaquattro minuti e venti secondi, puntuali come il vecchio Kant...». Se dunque il libro è ora presentato male, se il libro ha poco spazio, se il libro terrorizza i funzionari dell’audience, la colpa è tutta e soltanto dei conduttori che non hanno mai saputo trovare un modo divertente, accattivante, per presentare la loro inestimabile mercanzia. Sul libro si è così riversata una noia al quadrato, un’atmosfera di tetraggine tale da scoraggiare il più volenteroso degli spettatori- lettori. Una proposta? Certo. Ed ecco a voi i «New Arguments!!! Sì, gente, proprio loro, Larry Siciliano sax soprano, viola e violino, Leo Sciascia chitarra elettrica, basso e vocale, e al sintetizzatore il leggendario ’Pop’ Moravia in persona, live!!! Wow a tutti!!!».
Il commesso di libreria attesta l’orientamento pedagogico-divulgativo della Rai delle origini, come pure la scarsa capacità di rendere televisivo il soggetto della trasmissione. Avviata nella fase sperimentale della tv, la rubrica risente dell’esitazione dei programmisti, che la collocano inizialmente alla domenica, per spostare le successive sei puntate (trasmesse tra la fine del 1953 e l’aprile del 1954) in orari e giornate differenti, generalmente con cadenza quindicinale. A condurre gli incontri viene chiamato Franco Antonicelli. Amico di Benedetto Croce, membro del Comitato di liberazione nazionale piemontese, ne ricopre la carica di presidente nei giorni dell’insurrezione di Torino. Nel dopoguerra, dopo un breve periodo alla direzione del Partito repubblicano italiano, aderisce nel 1953 all’Alleanza democratica nazionale, partecipando attivamente alla battaglia contro la «legge truffa». Infaticabile organizzatore di cultura, fonda e dirige l’Unione culturale di Torino. Poeta e saggista, collabora per vari anni a programmi culturali della radio e della tv. «Chi è un buon commesso di libreria?», si chiede Antonicelli. «È uno che sa di non essere lì a vendere una merce come un’altra, ma qualcosa di particolare qualità, da averci mani delicate, mente svelta, buona memoria, senso di opportunità, conoscenza del mercato e familiarità con il pubblico, così difficile e svagato e, perché no?, gusto e voglia di leggere, che non guastan davvero. È un informatore che sa di suo e dell’altrui, sfoglia i giornali di annunzi editoriali, un poco anche le riviste letterarie, ritaglia persino qualche elzeviro».
Questa definizione di Antonicelli potrebbe essere la carta d’identità di tutte le trasmissioni che si occupano di libri, di ieri e di oggi. Sul perché la televisione non riesca più a produrre trasmissioni culturali, sui motivi del disaccordo tra la tv e il libro sono state espresse di recente molte e autorevoli opinioni. Tuttavia, le radici di questa incomprensione paiono antiche, e riguardano l’incompatibilità di linguaggi diversi, il prevaricare di una tradizione accademica anche dentro il piccolo schermo, la mancanza di una tradizione divulgativa in campo culturale, la convinzione che la cultura televisiva, in quanto tale, possa, e anzi debba tranquillamente prescindere dal libro (tanto più che buona parte della narrativa moderna sembra già così largamente televisiva), l’implacabile ossessione secondo cui i libri in televisione non facciano audience. Benedetto Croce sosteneva che uno scrittore non avrebbe mai dovuto pubblicare sulla quarta di copertina la propria fotografia. Non interessa l’immagine dello scrittore, diceva, ma solo la sua pagina. Erano altri tempi, altre situazioni. Ma lo scopo esplicito, persino enfatico, di tutte le rubriche che in tv sono state dedicate ai libri è sempre stato quello di «avvicinarci» allo scrittore, di «farcelo conoscere da vicino », di «intrattenerci» con lui. Non c’è scampo, è come sottostare a una legge ancestrale: in Italia, i peggiori programmi culturali sono quelli che parlano esplicitamente di cultura. È una regola teorizzata anni fa da Achille Campanile, e poi da Beniamino Placido. L’impressione è che i programmi che parÈ lano di libri siano sempre un concentrato di altezzosità, di appartenenza, di presunzione: si usano frasi roboanti, a effetto, pour épater. Tipo: «La letteratura è dare voce all’urlo inaudito che è sopito in noi».
È per questo che, a chiunque si accinga a presentare libri, consigliamo un prezioso suggerimento di Fruttero e Lucentini: «Si tratta di adeguare infine l’informazione libraria ai media, al loro linguaggio, alla loro struttura, al loro immenso pubblico. Si tratta di togliere di mezzo quei volenterosi ma squallidi personaggi incaricati finora di presentare in studio le novità editoriali, letterati d’azienda e di partito, critici maneggioni, gregari di terza pagina, ex centrocampisti della Normale, specialisti tutti-frusti, romanzieri falliti, eccetera; e di sostituirli con un vero showman, un autentico uomo di spettacolo, un 'conduttore' vivace, disinvolto, telegenico, un carismatico, torrenziale, salivoso book-jockey : ciao gente, eccoci di nuovo qui per la nostra Lit-Parade delle diciannove quarantaquattro minuti e venti secondi, puntuali come il vecchio Kant...». Se dunque il libro è ora presentato male, se il libro ha poco spazio, se il libro terrorizza i funzionari dell’audience, la colpa è tutta e soltanto dei conduttori che non hanno mai saputo trovare un modo divertente, accattivante, per presentare la loro inestimabile mercanzia. Sul libro si è così riversata una noia al quadrato, un’atmosfera di tetraggine tale da scoraggiare il più volenteroso degli spettatori- lettori. Una proposta? Certo. Ed ecco a voi i «New Arguments!!! Sì, gente, proprio loro, Larry Siciliano sax soprano, viola e violino, Leo Sciascia chitarra elettrica, basso e vocale, e al sintetizzatore il leggendario ’Pop’ Moravia in persona, live!!! Wow a tutti!!!».
«Seguiamo il consiglio di Fruttero e Lucentini: 'Adeguiamo l’informazione libraria ai media, togliamo dalla televisione i letterati di partito e d’azienda'. I romanzi possono fare audience»
«Avvenire» del 22 luglio 2010
Nessun commento:
Posta un commento