di Riccardo Cascioli e Antonio Gaspari
Quella dei Maya è probabilmente la più conosciuta civiltà precolombiana che ha popolato l’America Centrale, a partire dal 1800 circa a.C.. Sebbene ridotta ai minimi termini dalla conquista spagnola nel XVI secolo, è arrivata fino ai giorni nostri con alcune tribù che ancora popolano il Messico meridionale e altri Paesi centroamericani, soprattutto il Guatemala. Dalle numerose testimonianze rimaste si sa che avevano diversi sistemi per calcolare il tempo e il succedersi delle stagioni. Alcune fonti parlano di diciassette diversi calendari, altre di venti, tutti si basano comunque su cicli naturali: sole, luna, pianeti, stagioni, insetti e così via. Uno di questi è il cosiddetto «calendario del computo lungo», che copre circa 5.200 anni solari (pari a circa 5.125 anni del nostro calendario gregoriano): secondo l’interpretazione che viene data a questo calendario, nel 3113 a.C. (o 3114 secondo altre interpretazioni) è iniziato il Quarto sole, che va a concludersi appunto il 21 dicembre 2012, solstizio d’inverno. Un’altra fonte fornisce una versione diversa ma coincidente per quel che riguarda il 2012: nel 3114 a.C. iniziano cicli di anni chiamati baktun, e nel fatidico 2012 terminerebbe il tredicesimo baktun.
Ma in entrambi i casi i Maya non considerano affatto che questa sia la fine del mondo: il calendario del computo lungo prevede infatti un Quinto sole e i baktun sono venti.
Anni fa Carlos Barrios, antropologo e sciamano dei Mam, una delle ventisei tribù maya che abitano il Guatemala, descrisse chiaramente la situazione: «Gli antropologi visitano i templi, leggono steli e iscrizioni e confezionano storie sui Maya, tuttavia non interpretano i segni in modo corretto, lavorano solo di immaginazione... Altri scrivono delle profezie nel nome dei Maya; dicono che il mondo finirà nel dicembre 2012. Gli anziani maya sono furibondi per questo, il mondo non finirà, sarà trasformato. Sono gli indigeni – non altri – a possedere i calendari e a sapere come interpretarli correttamente».
Come nasce allora questo mito della fine del mondo legato ai Maya? «Si tratta di una teoria» ha spiegato Massimo Introvigne «inventata da un teorico del New Age nato in Messico ma cittadino statunitense, José Arguelles, a partire dagli anni ’70 e illustrata particolarmente nel suo volume del 1987 The Mayan Factor (in italiano Il fattore maya. La via al di là della tecnologia, Wip, Bari 1999). Pur avendo ottenuto un dottorato e diretto corsi in varie università, la materia di Arguelles è la storia dell’arte, non l’archeologia o la cultura maya. Se, in aggiunta, si tiene conto del fatto che molte sue teorie, stando a quanto egli stesso ha francamente dichiarato, derivano da «visioni» che avrebbe avuto sotto l’influsso dell’Lsd, si può capire perché non un solo specialista accademico dei Maya abbia mai preso sul serio Arguelles o le sue teorie sul 2012». Eppure in uno dei libri di maggior successo sul 2012, quello del conduttore del programma Rai Voyager, Roberto Giacobbo, Arguelles viene presentato come «il maggiore conoscitore al mondo del popolo e della cultura maya». Arguelles e i suoi sostenitori, comunque, fanno riferimento al monumento 6 del sito archeologico maya di Tortuguero, in Messico, «che in corrispondenza della fine del tredicesimo baktun allude in termini peraltro confusi alla discesa di divinità e al fatto che «verrà il nero». I commentatori accademici delle iscrizioni di Tortuguero pensano che si faccia riferimento anche qui a future cerimonie» che accompagnano sempre la fine dei baktun. «In ogni caso, se si prova a guardare complessivamente ai testi di Tortuguero, si trovano riferimenti anche ai baktun dal quattordicesimo al ventesimo, quindi è certo che i Maya dell’epoca di questi monumenti (secolo VII d.C.) non pensavano che il mondo sarebbe finito nel nostro 2012».
Ma a proposito del «ritorno» previsto per la fine del 2012, qui si innesta un altro mito legato alle profezie maya, ovvero la loro presunta origine extraterrestre. È stato ancora Arguelles a parlare dei Maya Galattici, «viaggiatori del tempo e dello spazio», che a un certo punto avrebbero deciso di fare tappa sulla terra e poi sparire. «I Maya sarebbero venuti su questo pianeta con un obiettivo preciso: fornire un quadro completo di informazioni circa la natura e la funzione della Terra nel sistema solare e nel campo galattico in questa particolare era, quella cioè che va dal 3113 a.C. al 2012 d.C.». Sarebbero poi spariti, sempre secondo Arguelles, perché sapevano dell’arrivo di tempi nefasti e non volevano correre il rischio di essere distrutti. In pratica questi alieni così evoluti avrebbero battuto in ritirata prevedendo l’arrivo degli spagnoli guidati da Hernán Cortés nel 1519.
È una tesi decisamente stravagante, ma è un tentativo di dare credibilità all’idea – altrimenti difficilmente giustificabile – di un popolo maya estremamente avanzato quanto a osservazione astronomica. E quindi affidabile quanto a previsione della fine del mondo. In realtà non è neanche storicamente dimostrato che i Maya avessero conoscenze di astronomia avanzate. Dal punto di vista scientifico «i Maya furono certamente dei grandi 'osservatori del cielo notturno', ma nulla di più». E pur con tutto il rispetto per culture antiche «affermare che civiltà così primitive avessero avuto delle conoscenze scientifiche solo recentemente acquisite dal mondo occidentale, è semplicemente fantascienza. (...). Le loro ottime conoscenze astronomiche erano solo ed esclusivamente empiriche e superficiali, senza nessuna comprensione profonda delle dinamiche chimico- fisiche riguardanti gli astri».
Inoltre, bisogna ricordare un punto decisivo: «In ogni cultura il calendario ci dice quando secondo un certo modo di calcolo termina un ciclo: ma che cosa succede alla fine di questo ciclo non ce lo dicono l’astronomia ma la religione o l’astrologia. Il problema, però, è che non si ha neppure la certezza che i Maya avessero un’astrologia. Tutto quello che si può dire è che è possibile – ma non certo – che alcuni segni trovati in diversi codici (principalmente quello detto di Parigi, acquisito dalla Biblioteca Nazionale della capitale francese nel 1832, ma ce ne sono di meno chiari anche altrove), mettessero in corrispondenza animali e costellazioni, creando una sorta di zodiaco, forse con significato astrologico. Siamo dunque in presenza di una congettura sull’esistenza di tredici simboli che potrebbero formare uno zodiaco e che secondo l’interpretazione più autorevole sono: due tipi diversi di uccelli (ma è difficile identificare quali siano), uno squalo o pesce 'xoc', uno scorpione, una tartaruga, un serpente a sonagli, un serpente più grande ma non identificato quanto alla specie, uno scheletro, un pipistrello, più due animali che corrispondono a zone del codice (di Parigi) troppo danneggiate per un’identificazione certa. Dal momento che non è neppure certo che esistesse un’astrologia maya, ogni congettura su 'previsioni' collegate a questa astrologia è del tutto insensata». E infatti, come abbiamo visto, le attuali tribù maya non aspettano affatto la fine del mondo per il 2012.
Tutta la verità sul catastrofismo ecologista
Un misto di New Age con relazioni nel mondo protestante americano, che legge la Bibbia in maniera letteralistica. Ma soprattutto un nuovo ritorno del «finimondismo» di marca ecologista. È questo, secondo Riccardo Cascioli e Antonio Gaspari, il terreno di cultura del «mito 2012», l’idea, ormai entrata nell’opinione pubblica, che fra due anni ci sarà nientemeno che la fine del mondo. Cascioli, giornalista di «Avvenire», e Gaspari, direttore del Centro di scienze ambientali dell’università Europea di Roma, approfondiscono l’argomento in «2012. Catastrofismo e fine dei tempi» (Piemme, pagine 2010, euro 15,50), da oggi nelle librerie, di cui anticipiamo qui uno stralcio. Scrivono gli autori, già artefici di altri volumi sul tema («Le bugie degli ambientalisti 1 e 2»): «Il 2012 è frutto di una strategia di disinformazione catastrofista, che getta l’uomo nell’angoscia e nel timore del domani. Le 'grandi paure' che del nostro tempo sono instillate da soggetti interessati a trarne profitto politico ed economico».
Ma in entrambi i casi i Maya non considerano affatto che questa sia la fine del mondo: il calendario del computo lungo prevede infatti un Quinto sole e i baktun sono venti.
Anni fa Carlos Barrios, antropologo e sciamano dei Mam, una delle ventisei tribù maya che abitano il Guatemala, descrisse chiaramente la situazione: «Gli antropologi visitano i templi, leggono steli e iscrizioni e confezionano storie sui Maya, tuttavia non interpretano i segni in modo corretto, lavorano solo di immaginazione... Altri scrivono delle profezie nel nome dei Maya; dicono che il mondo finirà nel dicembre 2012. Gli anziani maya sono furibondi per questo, il mondo non finirà, sarà trasformato. Sono gli indigeni – non altri – a possedere i calendari e a sapere come interpretarli correttamente».
Come nasce allora questo mito della fine del mondo legato ai Maya? «Si tratta di una teoria» ha spiegato Massimo Introvigne «inventata da un teorico del New Age nato in Messico ma cittadino statunitense, José Arguelles, a partire dagli anni ’70 e illustrata particolarmente nel suo volume del 1987 The Mayan Factor (in italiano Il fattore maya. La via al di là della tecnologia, Wip, Bari 1999). Pur avendo ottenuto un dottorato e diretto corsi in varie università, la materia di Arguelles è la storia dell’arte, non l’archeologia o la cultura maya. Se, in aggiunta, si tiene conto del fatto che molte sue teorie, stando a quanto egli stesso ha francamente dichiarato, derivano da «visioni» che avrebbe avuto sotto l’influsso dell’Lsd, si può capire perché non un solo specialista accademico dei Maya abbia mai preso sul serio Arguelles o le sue teorie sul 2012». Eppure in uno dei libri di maggior successo sul 2012, quello del conduttore del programma Rai Voyager, Roberto Giacobbo, Arguelles viene presentato come «il maggiore conoscitore al mondo del popolo e della cultura maya». Arguelles e i suoi sostenitori, comunque, fanno riferimento al monumento 6 del sito archeologico maya di Tortuguero, in Messico, «che in corrispondenza della fine del tredicesimo baktun allude in termini peraltro confusi alla discesa di divinità e al fatto che «verrà il nero». I commentatori accademici delle iscrizioni di Tortuguero pensano che si faccia riferimento anche qui a future cerimonie» che accompagnano sempre la fine dei baktun. «In ogni caso, se si prova a guardare complessivamente ai testi di Tortuguero, si trovano riferimenti anche ai baktun dal quattordicesimo al ventesimo, quindi è certo che i Maya dell’epoca di questi monumenti (secolo VII d.C.) non pensavano che il mondo sarebbe finito nel nostro 2012».
Ma a proposito del «ritorno» previsto per la fine del 2012, qui si innesta un altro mito legato alle profezie maya, ovvero la loro presunta origine extraterrestre. È stato ancora Arguelles a parlare dei Maya Galattici, «viaggiatori del tempo e dello spazio», che a un certo punto avrebbero deciso di fare tappa sulla terra e poi sparire. «I Maya sarebbero venuti su questo pianeta con un obiettivo preciso: fornire un quadro completo di informazioni circa la natura e la funzione della Terra nel sistema solare e nel campo galattico in questa particolare era, quella cioè che va dal 3113 a.C. al 2012 d.C.». Sarebbero poi spariti, sempre secondo Arguelles, perché sapevano dell’arrivo di tempi nefasti e non volevano correre il rischio di essere distrutti. In pratica questi alieni così evoluti avrebbero battuto in ritirata prevedendo l’arrivo degli spagnoli guidati da Hernán Cortés nel 1519.
È una tesi decisamente stravagante, ma è un tentativo di dare credibilità all’idea – altrimenti difficilmente giustificabile – di un popolo maya estremamente avanzato quanto a osservazione astronomica. E quindi affidabile quanto a previsione della fine del mondo. In realtà non è neanche storicamente dimostrato che i Maya avessero conoscenze di astronomia avanzate. Dal punto di vista scientifico «i Maya furono certamente dei grandi 'osservatori del cielo notturno', ma nulla di più». E pur con tutto il rispetto per culture antiche «affermare che civiltà così primitive avessero avuto delle conoscenze scientifiche solo recentemente acquisite dal mondo occidentale, è semplicemente fantascienza. (...). Le loro ottime conoscenze astronomiche erano solo ed esclusivamente empiriche e superficiali, senza nessuna comprensione profonda delle dinamiche chimico- fisiche riguardanti gli astri».
Inoltre, bisogna ricordare un punto decisivo: «In ogni cultura il calendario ci dice quando secondo un certo modo di calcolo termina un ciclo: ma che cosa succede alla fine di questo ciclo non ce lo dicono l’astronomia ma la religione o l’astrologia. Il problema, però, è che non si ha neppure la certezza che i Maya avessero un’astrologia. Tutto quello che si può dire è che è possibile – ma non certo – che alcuni segni trovati in diversi codici (principalmente quello detto di Parigi, acquisito dalla Biblioteca Nazionale della capitale francese nel 1832, ma ce ne sono di meno chiari anche altrove), mettessero in corrispondenza animali e costellazioni, creando una sorta di zodiaco, forse con significato astrologico. Siamo dunque in presenza di una congettura sull’esistenza di tredici simboli che potrebbero formare uno zodiaco e che secondo l’interpretazione più autorevole sono: due tipi diversi di uccelli (ma è difficile identificare quali siano), uno squalo o pesce 'xoc', uno scorpione, una tartaruga, un serpente a sonagli, un serpente più grande ma non identificato quanto alla specie, uno scheletro, un pipistrello, più due animali che corrispondono a zone del codice (di Parigi) troppo danneggiate per un’identificazione certa. Dal momento che non è neppure certo che esistesse un’astrologia maya, ogni congettura su 'previsioni' collegate a questa astrologia è del tutto insensata». E infatti, come abbiamo visto, le attuali tribù maya non aspettano affatto la fine del mondo per il 2012.
L’«inventore» dell’anno fatidico è un oscuro docente universitario adepto del New Age, dedito agli stupefacenti Il «vero» antropologo della tribù, Carlos Barrios: «La popolazione locale
Tutta la verità sul catastrofismo ecologista
Un misto di New Age con relazioni nel mondo protestante americano, che legge la Bibbia in maniera letteralistica. Ma soprattutto un nuovo ritorno del «finimondismo» di marca ecologista. È questo, secondo Riccardo Cascioli e Antonio Gaspari, il terreno di cultura del «mito 2012», l’idea, ormai entrata nell’opinione pubblica, che fra due anni ci sarà nientemeno che la fine del mondo. Cascioli, giornalista di «Avvenire», e Gaspari, direttore del Centro di scienze ambientali dell’università Europea di Roma, approfondiscono l’argomento in «2012. Catastrofismo e fine dei tempi» (Piemme, pagine 2010, euro 15,50), da oggi nelle librerie, di cui anticipiamo qui uno stralcio. Scrivono gli autori, già artefici di altri volumi sul tema («Le bugie degli ambientalisti 1 e 2»): «Il 2012 è frutto di una strategia di disinformazione catastrofista, che getta l’uomo nell’angoscia e nel timore del domani. Le 'grandi paure' che del nostro tempo sono instillate da soggetti interessati a trarne profitto politico ed economico».
«Avvenire» del 27 luglio 2010
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