di Riccardo Barlaam
Anche in Italia si sono accorti che conviene investire in Africa. L'ultima analisi del rischio paese della Sace (la compagnia pubblica che assicura le aziende italiane all'estero) indica il Sudafrica come primo paese del continente nero a ottenere una categoria di rischio bassa come mercato emergente dalle mille opportunità. Non è una novità.
La Rainbow nation fa parte del G 20, produce un terzo del Pil dell'intero continente. E ha ben 32 aziende nella classifica delle prime 50 aziende africane per fatturato. Il successo dell'organizzazione dei Mondiale di calcio, poi, con investimenti per circa 3 miliardi di dollari è sotto gli occhi di tutti. Ironia della sorte il rapporto Sace con le sue tardive conclusioni arriva quando la partita è stata già giocata e probabilmente persa. I vecchi paesi coloniali sono stati spiazzati dall'avanzata cinese che in pochi anni ha cambiato il volto del continente e mischiato le carte. Dove l'Europa, con il suo paternalismo post coloniale prometteva la Cina con la diplomazia del sorriso, come formiche operose senza troppo clamore faceva, realizzava. Dove la Banca mondiale o i Grandi della terra, nei vari G 8 promettevano, la Cina ancora faceva. Fa bene per questo l'ad di Sace Alessandro Castellano a suggerire ora alle imprese italiane di «sfruttare l'asse tra Africa e Cina.
Dal 2000 a oggi gli investimenti cinesi in Africa sono cresciuti in maniera esponenziale: hanno raggiunto i 20 miliardi di dollari, erano 7,8 miliardi nel 2000. La Cina è diventata il primo esportatore mondiale di prodotti industriali. La sua economia cresce a tassi mai conosciuti in precedenza, con fabbriche e cantieri caratterizzati da un insaziabile bisogno di materie prime: petrolio, minerali, legname. Nel 2008 le importazioni cinesi di questi prodotti dall'Africa ammontavano, in valore, a 56 miliardi di dollari, superiori a quelle degli Stati Uniti.
Non solo. Con oltre un miliardo di consumatori a basso reddito, centinaia di grandi città da risanare, un enorme arretrato di infrastrutture da costruire o modernizzare, l'Africa è anche un immenso mercato per grandi e piccole imprese cinesi che possono fornire e realizzare tutto ciò di cui il continente ha bisogno, dai vestiti ai televisori, dagli aeroporti alle reti di telefonia, dalle fabbriche di cemento agli zuccherifici. Nel 2008 le esportazioni cinesi in Africa ammontavano a 51 miliardi di dollari: il conto tra import ed export è così quasi pareggiato. In pochi anni la Cina è riuscita quindi a decuplicare l'interscambio con i paesi del continente nero. Con la diplomazia del sorriso. Con pragmatismo e non interferenza nelle questioni interne.
Determinanti per la crescita delle relazioni economiche sono stati i Forum di cooperazione Cina-Africa (Focac). Se ne sono svolti quattro finora. L'ultimo nel 2009 in Egitto. Un vertice bilaterale un po' particolare, tra uno stato sovrano – la Cina appunto – e un intero continente. Da questi forum è nata CinAfrica. Qualche giorno fa inoltre è arrivato anche il sigillo dai paesi africani su questo patto di ferro. Durante l'ultimo vertice dell'Unione africana che si è svolto a Kampala, in Uganda, terminato martedì scorso, è venuta fuori una dichiarazione che ha il sapore del congedo dall'Europa e le sue politiche di aiuto e dai complicati programmi di aiuto della Banca mondiale.
Il commissario all'economia dell'Unione africana Maxwell Mkwezalamba ha detto che ormai «l'Africa può fare a meno degli aiuti delle nazioni occidentali e della banca mondiale. Per lo sviluppo e l'integrazionedell'Africa siamo stati per troppotempo dipendenti delmondo occidentale non possiamo continuare così», ha spiegato ai giornalisti Mkwezalamba. Questo non vuol dire che faranno da soli gli africani, ma che sono aperti («sono i benvenuti») ai partner che vogliono lavorare assieme alla Cina per l'Africa. Mkwezalamba ha spiegato che le condizioni restrittive e le complicazioni burocratiche poste dai partner tradizionali europei e americani e da organizzazioni come la Banca mondiale per avere i prestiti agevolati e i finanziamenti hanno avuto come conseguenza il fatto che le nazioni africane si siano gettate nelle braccia della Cina. Che al contrario non è interessata alle questione interne ma solo al business. «Non ci serve a molto sapere che la Banca mondiale ha deciso oggi di concederci prestite agevolati per 100 milioni di dollari, se poi passano più di due anni per dar luogo a quella promessa», ha concluso». Ciao, ciao sembrano dire all'occidente gli africani: preferiamo i cinesi alle vostre promesse vuote.
La Rainbow nation fa parte del G 20, produce un terzo del Pil dell'intero continente. E ha ben 32 aziende nella classifica delle prime 50 aziende africane per fatturato. Il successo dell'organizzazione dei Mondiale di calcio, poi, con investimenti per circa 3 miliardi di dollari è sotto gli occhi di tutti. Ironia della sorte il rapporto Sace con le sue tardive conclusioni arriva quando la partita è stata già giocata e probabilmente persa. I vecchi paesi coloniali sono stati spiazzati dall'avanzata cinese che in pochi anni ha cambiato il volto del continente e mischiato le carte. Dove l'Europa, con il suo paternalismo post coloniale prometteva la Cina con la diplomazia del sorriso, come formiche operose senza troppo clamore faceva, realizzava. Dove la Banca mondiale o i Grandi della terra, nei vari G 8 promettevano, la Cina ancora faceva. Fa bene per questo l'ad di Sace Alessandro Castellano a suggerire ora alle imprese italiane di «sfruttare l'asse tra Africa e Cina.
Dal 2000 a oggi gli investimenti cinesi in Africa sono cresciuti in maniera esponenziale: hanno raggiunto i 20 miliardi di dollari, erano 7,8 miliardi nel 2000. La Cina è diventata il primo esportatore mondiale di prodotti industriali. La sua economia cresce a tassi mai conosciuti in precedenza, con fabbriche e cantieri caratterizzati da un insaziabile bisogno di materie prime: petrolio, minerali, legname. Nel 2008 le importazioni cinesi di questi prodotti dall'Africa ammontavano, in valore, a 56 miliardi di dollari, superiori a quelle degli Stati Uniti.
Non solo. Con oltre un miliardo di consumatori a basso reddito, centinaia di grandi città da risanare, un enorme arretrato di infrastrutture da costruire o modernizzare, l'Africa è anche un immenso mercato per grandi e piccole imprese cinesi che possono fornire e realizzare tutto ciò di cui il continente ha bisogno, dai vestiti ai televisori, dagli aeroporti alle reti di telefonia, dalle fabbriche di cemento agli zuccherifici. Nel 2008 le esportazioni cinesi in Africa ammontavano a 51 miliardi di dollari: il conto tra import ed export è così quasi pareggiato. In pochi anni la Cina è riuscita quindi a decuplicare l'interscambio con i paesi del continente nero. Con la diplomazia del sorriso. Con pragmatismo e non interferenza nelle questioni interne.
Determinanti per la crescita delle relazioni economiche sono stati i Forum di cooperazione Cina-Africa (Focac). Se ne sono svolti quattro finora. L'ultimo nel 2009 in Egitto. Un vertice bilaterale un po' particolare, tra uno stato sovrano – la Cina appunto – e un intero continente. Da questi forum è nata CinAfrica. Qualche giorno fa inoltre è arrivato anche il sigillo dai paesi africani su questo patto di ferro. Durante l'ultimo vertice dell'Unione africana che si è svolto a Kampala, in Uganda, terminato martedì scorso, è venuta fuori una dichiarazione che ha il sapore del congedo dall'Europa e le sue politiche di aiuto e dai complicati programmi di aiuto della Banca mondiale.
Il commissario all'economia dell'Unione africana Maxwell Mkwezalamba ha detto che ormai «l'Africa può fare a meno degli aiuti delle nazioni occidentali e della banca mondiale. Per lo sviluppo e l'integrazionedell'Africa siamo stati per troppotempo dipendenti delmondo occidentale non possiamo continuare così», ha spiegato ai giornalisti Mkwezalamba. Questo non vuol dire che faranno da soli gli africani, ma che sono aperti («sono i benvenuti») ai partner che vogliono lavorare assieme alla Cina per l'Africa. Mkwezalamba ha spiegato che le condizioni restrittive e le complicazioni burocratiche poste dai partner tradizionali europei e americani e da organizzazioni come la Banca mondiale per avere i prestiti agevolati e i finanziamenti hanno avuto come conseguenza il fatto che le nazioni africane si siano gettate nelle braccia della Cina. Che al contrario non è interessata alle questione interne ma solo al business. «Non ci serve a molto sapere che la Banca mondiale ha deciso oggi di concederci prestite agevolati per 100 milioni di dollari, se poi passano più di due anni per dar luogo a quella promessa», ha concluso». Ciao, ciao sembrano dire all'occidente gli africani: preferiamo i cinesi alle vostre promesse vuote.
«Il Sole 24 Ore» del 30 luglio 2010
Nessun commento:
Posta un commento