di Pierluigi Battista
Umberto Veronesi si dimette da senatore del Pd, come gli è stato imperiosamente richiesto dal segretario Bersani. Perché è «fuori linea»? Perché è un irregolare, o addirittura, se dovesse accettare la direzione dell’Agenzia per il nucleare, perché è vagamente un «collaborazionista», uno che accetta incarichi dal nemico in persona? È stupefacente questa repentina riscoperta dell’«intellettuale organico», dell’esperto che in cambio di un seggio parlamentare dovrebbe dire soltanto di sì. Veronesi dovrebbe rinunciare a una convinzione radicata, mai nascosta, sull’uso dell’energia nucleare come scelta più sicura di approvvigionamento energetico. Una convinzione sbagliata? Può darsi, ma è la convinzione di Veronesi. Nota anche prima che il Pd gli proponesse un impegno al Senato. Se c’è un’incompatibilità di principio tra il nucleare e il Pd, perché allora il Pd ha offerto un seggio senatoriale a un nuclearista conclamato? E se invece non c’è incompatibilità, dove sta il delitto politico nell’accettare la direzione dell’organismo che dovrebbe coordinare il programma nucleare italiano? Anche il fatto che la proposta a Veronesi provenga dall’attuale maggioranza non sembra un buon argomento a favore di Bersani. Dovremmo compiacerci della scelta del governo di indicare per l’Agenzia del nucleare un nome autorevole, e non una figura «schierata». E invece Veronesi è costretto a difendersi dalle accuse risentite del suo stesso partito. Ora Veronesi si dimetterà. Per motivi, dice, di ruoli istituzionali che non possono coesistere. Ma forse farebbe meglio a motivare le dimissioni preannunciando egli stesso l’inutilità di restare in un partito che non ammette divergenze sul nucleare e che chiede allo scienziato il prestigio del suo nome, ma non l’autonomia del suo giudizio. Un tempo gli intellettuali venivano disputati per le loro firme altisonanti e per disegnare impegnative visioni del mondo. Poi si è aperta l’èra dei «saperi» e delle competenze. Ecco, sui temi della salute e della scienza, la «competenza» di Veronesi sembrerebbe acclarata e indiscutibile. Un po’meno, evidentemente, la sua propensione alla disciplina di partito e alla difesa della «linea». Indisciplinato quanto basta, potrebbe prendere l’occasione per riflettere sull’ennesima disillusione degli intellettuali che entrano in Parlamento.
«Corriere della Sera» del 25 luglio 2010
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