«Il caso Rudd è una conferma della scelta del Senato»
di Pier Luigi Fornari
In attesa che la proposta di legge sul fine vita approdi in autunno nell’aula della Camera, Raffaele Calabrò, relatore del disegno di legge approvato al Senato (poi assunto dalla commissione Affari sociali di Montecitorio come testo base), evidenzia il valore di uno dei punti chiave: «la non vincolatività» delle dichiarazioni anticipate di trattamento. «È un principio che ha fatto scalpitare l’opposizione parlamentare – osserva il senatore del Pdl, che è anche docente di cardiologia – la quale durante l’iter parlamentare gridava che un uomo deve sentirsi libero e padrone di decidere di volere accelerare la sua morte e nessuno né tanto meno il medico può andare contro una dichiarazione di volontà scritta. Ma in questi giorni, come relatore della legge, avrei gioco facile ad affermare che la non vincolatività delle intenzioni di volontà non era affatto peregrina».
A cosa si riferisce?
Alla vicenda di Richard Rudd, l’inglese che aveva più volte affermato che lui non avrebbe mai voluto una vita attaccata ad un macchinario, non avrebbe mai voluto trascorrere il resto dei suoi giorni paralizzato, che staccassero la spina se non poteva più avere una vita normale. Ma invece al momento in cui i medici stavano per sospendere la respirazione artificiale, attraverso il movimento degli occhi ha comunicato ai familiari e ai medici che lui, sì proprio lui, aveva deciso di vivere.
Chissà se in Italia vedremo mai il documentario della Bbc che riprende quel momento.
Sono immagini bioeticamente importanti?
Si. Vorrei che fossero in molti a vedere quelle palpebre che si muovono, le pupille che rotano a sinistra per affermare la loro dedizione alla vita. Quel battito di ciglia dovrebbe farci riflettere che trovarsi al confine tra la vita e la morte, come è accaduto al paziente inglese, può portaci a rinnegare quanto credevamo con cieca convinzione, lontani da quella 'misteriosa frontiera'.
Sta difendo il suo operato di relatore del disegno di legge al Senato?
No, mi muove a parlare la speranza che questa esperienza faccia comprendere che la nostra visione della vita e della malattia, che la nostra concezione di una condizione dignitosa muta a seconda delle circostanze, delle vicissitudini, che godiamo o siamo privati di ottima salute, sia fisica che psichica. Muta persino con gli anni, raramente le persone anziane vorrebbero morire.
Insomma, il decidere 'ora per allora' può giocare brutti scherzi.
La malattia e ancor più quella condizione estrema tra la vita e la morte richiedono umiltà, prudenza e cautela. Ancor più quando una persona si trova in uno stato di fragilità, quando non è più quel leone che affermava sicuro che una vita senza poter correre, lavorare e senza comunicare con il mondo esterno non merita di essere vissuta.
Cosa può scoprire un malato in quelle condizioni?
Che anche con un sondino si conserva una dignità, che anche così si preferisce andare avanti.
Allora quale interpretazione delle dichiarazioni anticipate di trattamento lei teme?
Un 'ora per allora' che non tiene in debita considerazione che la tecnologia e la medicina corrono per fortuna - veloci verso nuovi traguardi, che un soggetto può ignorare mentre stende le sue volontà.
E l’autodeterminazione?
Il valore orientativo delle dichiarazioni non viola in nessun modo l’autonomia del soggetto, presumendo che nessun paziente si priverebbe della possibilità di beneficiare di quei trattamenti che si rendessero disponibili in un periodo successivo alla manifestazione della sua volontà.
E il ruolo del medico?
È esattamente in questo ambito che deve essere inquadrato, non deve limitarsi a eseguire meccanicamente, come un burocrate, i desideri del paziente, ma ha l’obbligo morale di valutarne l’attualità in relazione alla situazione clinica e ai nuovi sviluppi scientifici. Perché un buon medico ricorderà sempre che ogni malato porta con sé un valore incondizionato, fondamento di ogni agire medico.
A cosa si riferisce?
Alla vicenda di Richard Rudd, l’inglese che aveva più volte affermato che lui non avrebbe mai voluto una vita attaccata ad un macchinario, non avrebbe mai voluto trascorrere il resto dei suoi giorni paralizzato, che staccassero la spina se non poteva più avere una vita normale. Ma invece al momento in cui i medici stavano per sospendere la respirazione artificiale, attraverso il movimento degli occhi ha comunicato ai familiari e ai medici che lui, sì proprio lui, aveva deciso di vivere.
Chissà se in Italia vedremo mai il documentario della Bbc che riprende quel momento.
Sono immagini bioeticamente importanti?
Si. Vorrei che fossero in molti a vedere quelle palpebre che si muovono, le pupille che rotano a sinistra per affermare la loro dedizione alla vita. Quel battito di ciglia dovrebbe farci riflettere che trovarsi al confine tra la vita e la morte, come è accaduto al paziente inglese, può portaci a rinnegare quanto credevamo con cieca convinzione, lontani da quella 'misteriosa frontiera'.
Sta difendo il suo operato di relatore del disegno di legge al Senato?
No, mi muove a parlare la speranza che questa esperienza faccia comprendere che la nostra visione della vita e della malattia, che la nostra concezione di una condizione dignitosa muta a seconda delle circostanze, delle vicissitudini, che godiamo o siamo privati di ottima salute, sia fisica che psichica. Muta persino con gli anni, raramente le persone anziane vorrebbero morire.
Insomma, il decidere 'ora per allora' può giocare brutti scherzi.
La malattia e ancor più quella condizione estrema tra la vita e la morte richiedono umiltà, prudenza e cautela. Ancor più quando una persona si trova in uno stato di fragilità, quando non è più quel leone che affermava sicuro che una vita senza poter correre, lavorare e senza comunicare con il mondo esterno non merita di essere vissuta.
Cosa può scoprire un malato in quelle condizioni?
Che anche con un sondino si conserva una dignità, che anche così si preferisce andare avanti.
Allora quale interpretazione delle dichiarazioni anticipate di trattamento lei teme?
Un 'ora per allora' che non tiene in debita considerazione che la tecnologia e la medicina corrono per fortuna - veloci verso nuovi traguardi, che un soggetto può ignorare mentre stende le sue volontà.
E l’autodeterminazione?
Il valore orientativo delle dichiarazioni non viola in nessun modo l’autonomia del soggetto, presumendo che nessun paziente si priverebbe della possibilità di beneficiare di quei trattamenti che si rendessero disponibili in un periodo successivo alla manifestazione della sua volontà.
E il ruolo del medico?
È esattamente in questo ambito che deve essere inquadrato, non deve limitarsi a eseguire meccanicamente, come un burocrate, i desideri del paziente, ma ha l’obbligo morale di valutarne l’attualità in relazione alla situazione clinica e ai nuovi sviluppi scientifici. Perché un buon medico ricorderà sempre che ogni malato porta con sé un valore incondizionato, fondamento di ogni agire medico.
Il relatore al Senato del provvedimento: «La condizione tra la vita e la morte richiede umiltà, prudenza e cautela L’esperienza mostra che in condizioni di fragilità si cambia parere»
«Avvenire» del 20 luglio 2010
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