di Umberto Veronesi
Le polemiche sorte intorno alla proposta di una mia nomina a presidente dell’Agenzia per la Sicurezza Nucleare non mi stupiscono, anzi sono comprensibili e in gran parte giustificate.
In particolare capisco il pensiero del Pd di fronte all’offerta che mi ha rivolto il governo: riflette un dilemma che io stesso ho vissuto e sto ancora vivendo. Mi sono chiesto infatti se fosse giusto compiere una scelta che va contro la posizione del partito con il quale ho accettato di candidarmi al Senato.
Oppure se non fosse più corretto operare una sorta di autocensura e dire no al coordinamento di un piano che pure considero importante per lo sviluppo del Paese. Alla fine ha prevalso in me il desiderio di partecipare con decisione al ritorno del nucleare in Italia, se pure a condizione di un programma ineccepibile dal punto di vista della qualità scientifica, della sicurezza per l’uomo e per l’ambiente e della sostenibilità economica.
Con questa scelta è difficile continuare l’attività senatoriale. Già avevo elaborato dentro di me questa consapevolezza, che poi mi è stata espressa da molti membri del partito. Ha ragione il senatore del Pd Roberto Della Seta: non potrei perché gli impegni sarebbero troppi, ma anche perché la mia coscienza non me lo permetterebbe. La legittima discussione sulla mia scelta ha tuttavia oscurato agli occhi della gente le sue motivazioni: perché sono così convinto del nucleare da assumermi un incarico così spinoso e largamente impopolare? Che cosa glielo fa fare, professore, mi chiedono i pazienti e gli amici più stretti? Mi spinge la mia convinzione che l’energia nucleare è un progresso scientifico straordinario per l’uomo e, proprio poiché ci credo, ritengo in coscienza di dover offrire tutto il mio impegno di scienziato e di cittadino perché il mio Paese, che amo, sia all’avanguardia in questo settore e non rimanga arenato per motivi ideologici.
Vorrei ricordare che il nucleare è nato in Italia grazie a Enrico Fermi e quando nel dicembre 1942 lui e la sua squadra festeggiarono con un fiasco di vino Chianti (fiasco che fu firmato da tutti i fisici presenti e che diventò da allora un oggetto di «culto») si aprì una nuova era per la scienza e per l’umanità. Il brindisi era per la scoperta della «pila atomica» che era in grado di produrre enormi quantità di energia con la rottura di un atomo di uranio colpito da un neutrone. Fermi scoprì che per produrre energia non è necessaria la combustione (che consuma ossigeno) né il riscaldamento a carbone, o petrolio, e trovò quindi una soluzione potenziale al crescente fabbisogno energetico nel mondo. La politica poi fece un uso tragicamente improprio della sua scoperta, facendo costruire la bomba che gettò un’ombra indelebile su questo progresso.
Sul nucleare come fonte di energia io mi sento di poter rassicurare la popolazione circa la sostanziale assenza di rischio. L’attività delle centrali nucleari produce energia pulita, senza emissioni (presenti invece nei processi di combustione) di sostanze che rappresentano un rischio di malattie respiratorie, allergiche o tumorali nell’uomo.
Ma ciò di cui la gente ha paura sono gli incidenti alle centrali. Va detto che in 40 anni di utilizzo del nucleare nel mondo si sono verificati solo 2 casi: quello di Three Mile Island in Pennsylvania nel 1979, che non provocò nessuna contaminazione e nessuna vittima, e quello di Cernobil nel 1986, che fu un vero disastro. Spesso però si ignora che a Cernobil la causa fu la leggerezza e l’incompetenza del personale. Il direttore aveva esperienza solo di impianti a carbone e il capo ingegnere ne aveva soltanto con i reattori nucleari preparati per i sottomarini sovietici. Si è inoltre unito il fatto che il reattore era già allora inadeguato e tecnologicamente incapace di autoproteggersi dal rischio di malfunzionamento e infine che la tragedia avvenne nel corso di un esperimento, in cui furono paradossalmente violate tutte le regole di sicurezza e di buon senso. Si tratta quindi di un evento unico che ha dei tratti di pura assurdità, e che oggi non si potrebbe ripetere. La presenza di un rischio molto limitato non toglie nulla al compito dell’agenzia per la Sicurezza, che mantiene un ruolo importante e va gestita con fermezza e senza compromessi. Il mio obiettivo potrebbe essere non solo dare una certezza solida alla popolazione, ma anche mettere a punto un modello nuovo di approccio al concetto di sicurezza, più attento ai bisogni reali di salute e di tranquillità dei cittadini.
In particolare capisco il pensiero del Pd di fronte all’offerta che mi ha rivolto il governo: riflette un dilemma che io stesso ho vissuto e sto ancora vivendo. Mi sono chiesto infatti se fosse giusto compiere una scelta che va contro la posizione del partito con il quale ho accettato di candidarmi al Senato.
Oppure se non fosse più corretto operare una sorta di autocensura e dire no al coordinamento di un piano che pure considero importante per lo sviluppo del Paese. Alla fine ha prevalso in me il desiderio di partecipare con decisione al ritorno del nucleare in Italia, se pure a condizione di un programma ineccepibile dal punto di vista della qualità scientifica, della sicurezza per l’uomo e per l’ambiente e della sostenibilità economica.
Con questa scelta è difficile continuare l’attività senatoriale. Già avevo elaborato dentro di me questa consapevolezza, che poi mi è stata espressa da molti membri del partito. Ha ragione il senatore del Pd Roberto Della Seta: non potrei perché gli impegni sarebbero troppi, ma anche perché la mia coscienza non me lo permetterebbe. La legittima discussione sulla mia scelta ha tuttavia oscurato agli occhi della gente le sue motivazioni: perché sono così convinto del nucleare da assumermi un incarico così spinoso e largamente impopolare? Che cosa glielo fa fare, professore, mi chiedono i pazienti e gli amici più stretti? Mi spinge la mia convinzione che l’energia nucleare è un progresso scientifico straordinario per l’uomo e, proprio poiché ci credo, ritengo in coscienza di dover offrire tutto il mio impegno di scienziato e di cittadino perché il mio Paese, che amo, sia all’avanguardia in questo settore e non rimanga arenato per motivi ideologici.
Vorrei ricordare che il nucleare è nato in Italia grazie a Enrico Fermi e quando nel dicembre 1942 lui e la sua squadra festeggiarono con un fiasco di vino Chianti (fiasco che fu firmato da tutti i fisici presenti e che diventò da allora un oggetto di «culto») si aprì una nuova era per la scienza e per l’umanità. Il brindisi era per la scoperta della «pila atomica» che era in grado di produrre enormi quantità di energia con la rottura di un atomo di uranio colpito da un neutrone. Fermi scoprì che per produrre energia non è necessaria la combustione (che consuma ossigeno) né il riscaldamento a carbone, o petrolio, e trovò quindi una soluzione potenziale al crescente fabbisogno energetico nel mondo. La politica poi fece un uso tragicamente improprio della sua scoperta, facendo costruire la bomba che gettò un’ombra indelebile su questo progresso.
Sul nucleare come fonte di energia io mi sento di poter rassicurare la popolazione circa la sostanziale assenza di rischio. L’attività delle centrali nucleari produce energia pulita, senza emissioni (presenti invece nei processi di combustione) di sostanze che rappresentano un rischio di malattie respiratorie, allergiche o tumorali nell’uomo.
Ma ciò di cui la gente ha paura sono gli incidenti alle centrali. Va detto che in 40 anni di utilizzo del nucleare nel mondo si sono verificati solo 2 casi: quello di Three Mile Island in Pennsylvania nel 1979, che non provocò nessuna contaminazione e nessuna vittima, e quello di Cernobil nel 1986, che fu un vero disastro. Spesso però si ignora che a Cernobil la causa fu la leggerezza e l’incompetenza del personale. Il direttore aveva esperienza solo di impianti a carbone e il capo ingegnere ne aveva soltanto con i reattori nucleari preparati per i sottomarini sovietici. Si è inoltre unito il fatto che il reattore era già allora inadeguato e tecnologicamente incapace di autoproteggersi dal rischio di malfunzionamento e infine che la tragedia avvenne nel corso di un esperimento, in cui furono paradossalmente violate tutte le regole di sicurezza e di buon senso. Si tratta quindi di un evento unico che ha dei tratti di pura assurdità, e che oggi non si potrebbe ripetere. La presenza di un rischio molto limitato non toglie nulla al compito dell’agenzia per la Sicurezza, che mantiene un ruolo importante e va gestita con fermezza e senza compromessi. Il mio obiettivo potrebbe essere non solo dare una certezza solida alla popolazione, ma anche mettere a punto un modello nuovo di approccio al concetto di sicurezza, più attento ai bisogni reali di salute e di tranquillità dei cittadini.
«La Stampa» del 29 luglio 2010
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