I marchi che presto non ci saranno più
di Mariarosa Mancuso
Per una Nutella che regge, sfidando i decenni che passano (“ma allora anche in Italia avete la Nutella” fu il commento di uno spettatore francese dopo aver visto “Bianca” di Nanni Moretti), altri marchi spariscono. Fa da profeta di sventura il sito 24/7 Wall Street, che periodicamente elenca le aziende a rischio di scomparsa, per difficoltà finanziarie o stanchezza del prodotto. Prima accadeva ogni anno, la crisi ha avvicinato le scadenze. Ad aprile del 2009 è stato pubblicato l’elenco dei marchi che non sarebbero sopravvissuti al 2010, a dicembre sono stati aggiunti altri marchi, tra cui Newsweek, Motorola, Eastman Kodak. La lista dei marchi destinati a scomparire nel 2011 è datata 15 giugno. Tra questi, il videonoleggio Blockbuster e il Reader’s Digest, travolti dai tempi che cambiano, anche se un’azienda ha dominato gli ultimi vent’anni e l’altra risale al 1922 (l’edizione italiana, partita nel 1948 con il nome ridondante “Selezione dal Reader’s Digest” ha chiuso nel 2007).
“Noi siamo Blockbuster, non teniamo questo genere di film” spiega compunto il commesso a un cliente che chiede un film appena un po’ strano, del genere che poteva avere in catalogo la videoteca dove lavorava Quentin Tarantino o uno dei commessi di “Clerks”. La catena teneva solo film per famiglie di grandi incassi in sala, quando non esisteva Netflix (che spedisce a casa i dvd, nei paesi dove funzionano le poste), non esisteva lo streaming, non esisteva il download più o meno legale, non esisteva il video on demand. Uno andava al negozio con l’insegna blu e gialla, affittava la cassetta (con preghiera di riavvolgimento dopo la visione), aggiungeva la pizza surgelata, i marshmallow o il popcorn. Quasi sempre dimenticava di restituirla in tempo, pagando un supplemento. Finché qualcuno inventò il Quickbox, dove far scivolare la cassetta anche in orario di chiusura.
Peggio dei dinosauri, o del gigantesco telefono cellulare con antenna e batteria a tracolla che Gordon Gekko, in “Wall Street 2 – Il denaro non dorme mai”, si vede restituire all’uscita dal carcere. Dalla parte degli azionisti può essere seccante, dalla parte dello spettatore dovrebbe essere una delle sparizioni che non provoca nostalgia (ma la sindrome “Anima mia”, dal programma di Fabio Fazio che tirò fuori dalla naftalina i Cugini di campagna e Mal dei Primitives, sta sempre in agguato).
Neanche il Reader’s Digest merita rimpianti, con le sue rubrichette intitolate “Una persona che non dimenticherò mai”, con le sue storie di sciagure a lieto fine, con la collana di libri condensati per i lettori stanchevoli e annoiati dalle descrizioni, quel po’ di dietrologia spicciola suggerita da articoli (uno compare sull’ultimo numero, che pure ha un iPhone in copertina) intitolati “quel che il tuo macellaio non ti dice”. Meno che mai meritano nostalgia i sandalacci Crocs, in pura plastica colorata e con i buchi per lo sfiato, anche loro ben avviati sulla strada dell’estinzione.
“Noi siamo Blockbuster, non teniamo questo genere di film” spiega compunto il commesso a un cliente che chiede un film appena un po’ strano, del genere che poteva avere in catalogo la videoteca dove lavorava Quentin Tarantino o uno dei commessi di “Clerks”. La catena teneva solo film per famiglie di grandi incassi in sala, quando non esisteva Netflix (che spedisce a casa i dvd, nei paesi dove funzionano le poste), non esisteva lo streaming, non esisteva il download più o meno legale, non esisteva il video on demand. Uno andava al negozio con l’insegna blu e gialla, affittava la cassetta (con preghiera di riavvolgimento dopo la visione), aggiungeva la pizza surgelata, i marshmallow o il popcorn. Quasi sempre dimenticava di restituirla in tempo, pagando un supplemento. Finché qualcuno inventò il Quickbox, dove far scivolare la cassetta anche in orario di chiusura.
Peggio dei dinosauri, o del gigantesco telefono cellulare con antenna e batteria a tracolla che Gordon Gekko, in “Wall Street 2 – Il denaro non dorme mai”, si vede restituire all’uscita dal carcere. Dalla parte degli azionisti può essere seccante, dalla parte dello spettatore dovrebbe essere una delle sparizioni che non provoca nostalgia (ma la sindrome “Anima mia”, dal programma di Fabio Fazio che tirò fuori dalla naftalina i Cugini di campagna e Mal dei Primitives, sta sempre in agguato).
Neanche il Reader’s Digest merita rimpianti, con le sue rubrichette intitolate “Una persona che non dimenticherò mai”, con le sue storie di sciagure a lieto fine, con la collana di libri condensati per i lettori stanchevoli e annoiati dalle descrizioni, quel po’ di dietrologia spicciola suggerita da articoli (uno compare sull’ultimo numero, che pure ha un iPhone in copertina) intitolati “quel che il tuo macellaio non ti dice”. Meno che mai meritano nostalgia i sandalacci Crocs, in pura plastica colorata e con i buchi per lo sfiato, anche loro ben avviati sulla strada dell’estinzione.
«Il Foglio» del 20 luglio 2010
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