di Andrea Ichino
Il 25 luglio abbiamo pubblicato sulla pagina dei commenti una proposta futuribile per la riforma della scuola - l'abolizione dell'ora di ginnastica in cambio di un bonus palestra per le famiglie- dell'economista e professore universitario presso l'Università di Bologna Andrea Ichino. L'articolo è stato commentato anche da Gigi Garanzini che ha a sua volta rilanciato, suggerendo una revisione dell'insegnamento: da educazione fisica a educazione civica. Gli utenti stanno partecipando numerosissimi al dibattito con lettere e mail. Voi che ne pensate?
Gli italiani soffrono di una strana forma di schizofrenia: chiedono allo stato di erogare ogni sorta di servizi pubblici, lamentandosi se questi vengono tolti o negati, e al tempo stesso protestano contro un prelievo fiscale asfissiante ma inevitabile se quei servizi li deve fornire la pubblica amministrazione. Se poi, come spesso accade, i servizi richiesti sono forniti in modo inefficiente dal governo, ancor meno si capisce perché gli italiani vogliano a tutti i costi che sia questo, e non il mercato, a fornirli.
Facciamo un esempio concreto. Attualmente gli italiani pagano attraverso le tasse l'insegnamento dell'educazione fisica che i loro figli ricevono a scuola. Nel panorama vacillante dell'istruzione pubblica italiana, la ginnastica è forse uno degli ambiti più disastrati, soprattutto per le condizioni fatiscenti delle palestre e delle attrezzature di cui i nostri edifici scolastici sono dotati. Tanto è vero che, al pomeriggio, gli adolescenti italiani vengono iscritti dai loro genitori a ogni tipo di associazione sportiva privata che possa far fare a loro quell'esercizio fisico essenziale per la crescita, che la scuola pubblica, nella maggior parte dei casi, non è in grado di offrire al mattino. Quindi i genitori italiani pagano due volte per la ginnastica dei loro figli: allo stato al mattino, per un servizio inefficiente, e ai privati al pomeriggio per un servizio di qualità commisurata alle loro preferenze e possibilità.
Gli italiani non sembrano rendersi conto di questo e nemmeno realizzano che quanto essi pagano allo stato per un servizio inadeguato non è poco. Ci sono 33.830 insegnanti di educazione fisica nelle scuole medie inferiori e superiori italiane, la cui retribuzione lorda annua è di circa 29.071 euro (con 15 anni di anzianità). Gli studenti negli stessi ordini di scuola sono 4.218.953. Quindi ci sono circa 125 studenti per ogni insegnante. Se ipoteticamente il ministero dell'Istruzione togliesse la ginnastica dai programmi scolastici mandando a casa gli insegnanti di questa materia, si potrebbero restituire a ogni studente circa 233 euro ogni anno. Con questa somma si possono acquistare nel mercato privato attività sportive di qualità mediamente migliore di quella offerta dalla scuola pubblica e per almeno sei mesi se non di più (ad esempio, sei ore di basket alla settimana più le partite domenicali, inclusa divisa e magliette). Al tempo stesso una buona parte degli insegnanti di educazione fisica lasciati a casa dal ministero (almeno quelli bravi) potrebbe trovare lavoro nel mercato privato, dal momento che aumenterebbe la domanda pomeridiana di educazione fisica e attività sportiva per i giovani adolescenti. Ci sarebbe un problema di transizione e forse alcuni degli insegnanti meno capaci non troverebbero lavoro nel settore privato e avrebbero bisogno di un supporto assistenziale almeno in vista di una riconversione ad altri lavori. Ma se il problema è questo affrontiamolo direttamente con mezzi appropriati, non attraverso la finzione di un servizio pubblico inefficiente e inutilmente costoso per il contribuente.
La maggior parte degli italiani probabilmente reagirebbe con stupore a una proposta di questo tipo, partendo dal presupposto che sia un diritto inalienabile del cittadino ricevere un'educazione fisica adeguata da parte dello stato, e in particolare che tutti i cittadini, anche quelli poveri, debbano poter accedere a questo diritto. Ma se lo stato richiede a ognuno di noi una spesa rilevante per fornire un servizio che in realtà è ben lontano dall'essere adeguato (soprattutto per i poveri che non hanno alternative), non sarebbe meglio chiedere allo stato di farsi da parte rendendoci i soldi, in modo da consentirci di organizzare da soli quanto necessario per produrre il servizio? Del resto, così facciamo per altri servizi non meno importanti dell'educazione fisica: ad esempio, l'istruzione stradale per la guida di motociclette e automobili, attualmente fornita da imprese private a prezzi di mercato. Perché non chiediamo che questo tipo di istruzione venga fornita direttamente dallo stato mediante insegnanti pubblici pagati dalle nostre tasse? Forse perché le implicazioni ideologiche del codice della strada sono meno rilevanti ed è quindi accettabile che l'istruzione stradale venga impartita liberamente da privati? Ma se questo è il motivo, tutto sommato esso varrebbe anche per la ginnastica e forse per altri servizi attualmente pubblici.
Se invece il problema vero fosse quello dell'uguaglianza nell'accesso a beni ritenuti essenziali per tutti, lo si potrebbe risolvere meglio in altri modi, ad esempio tassando i ricchi per sussidiare i poveri con voucher per l'acquisto di quei beni, senza bisogno che sia lo stato a produrli in prima persona.
Non è facile capire in base a quale criterio gli italiani vogliano che alcuni servizi siano rigorosamente pubblici mentre altri possano invece essere acquistati e venduti nel mercato secondo le sue leggi. Ma sarebbe opportuno che gli italiani cominciassero a pensarci, per rendersi conto che forse, in molti casi, converrebbe contrattare con Tremonti un taglio nell'erogazione di qualche servizio pubblico in cambio di riduzioni contestuali e immediate del prelievo fiscale.
Gli italiani soffrono di una strana forma di schizofrenia: chiedono allo stato di erogare ogni sorta di servizi pubblici, lamentandosi se questi vengono tolti o negati, e al tempo stesso protestano contro un prelievo fiscale asfissiante ma inevitabile se quei servizi li deve fornire la pubblica amministrazione. Se poi, come spesso accade, i servizi richiesti sono forniti in modo inefficiente dal governo, ancor meno si capisce perché gli italiani vogliano a tutti i costi che sia questo, e non il mercato, a fornirli.
Facciamo un esempio concreto. Attualmente gli italiani pagano attraverso le tasse l'insegnamento dell'educazione fisica che i loro figli ricevono a scuola. Nel panorama vacillante dell'istruzione pubblica italiana, la ginnastica è forse uno degli ambiti più disastrati, soprattutto per le condizioni fatiscenti delle palestre e delle attrezzature di cui i nostri edifici scolastici sono dotati. Tanto è vero che, al pomeriggio, gli adolescenti italiani vengono iscritti dai loro genitori a ogni tipo di associazione sportiva privata che possa far fare a loro quell'esercizio fisico essenziale per la crescita, che la scuola pubblica, nella maggior parte dei casi, non è in grado di offrire al mattino. Quindi i genitori italiani pagano due volte per la ginnastica dei loro figli: allo stato al mattino, per un servizio inefficiente, e ai privati al pomeriggio per un servizio di qualità commisurata alle loro preferenze e possibilità.
Gli italiani non sembrano rendersi conto di questo e nemmeno realizzano che quanto essi pagano allo stato per un servizio inadeguato non è poco. Ci sono 33.830 insegnanti di educazione fisica nelle scuole medie inferiori e superiori italiane, la cui retribuzione lorda annua è di circa 29.071 euro (con 15 anni di anzianità). Gli studenti negli stessi ordini di scuola sono 4.218.953. Quindi ci sono circa 125 studenti per ogni insegnante. Se ipoteticamente il ministero dell'Istruzione togliesse la ginnastica dai programmi scolastici mandando a casa gli insegnanti di questa materia, si potrebbero restituire a ogni studente circa 233 euro ogni anno. Con questa somma si possono acquistare nel mercato privato attività sportive di qualità mediamente migliore di quella offerta dalla scuola pubblica e per almeno sei mesi se non di più (ad esempio, sei ore di basket alla settimana più le partite domenicali, inclusa divisa e magliette). Al tempo stesso una buona parte degli insegnanti di educazione fisica lasciati a casa dal ministero (almeno quelli bravi) potrebbe trovare lavoro nel mercato privato, dal momento che aumenterebbe la domanda pomeridiana di educazione fisica e attività sportiva per i giovani adolescenti. Ci sarebbe un problema di transizione e forse alcuni degli insegnanti meno capaci non troverebbero lavoro nel settore privato e avrebbero bisogno di un supporto assistenziale almeno in vista di una riconversione ad altri lavori. Ma se il problema è questo affrontiamolo direttamente con mezzi appropriati, non attraverso la finzione di un servizio pubblico inefficiente e inutilmente costoso per il contribuente.
La maggior parte degli italiani probabilmente reagirebbe con stupore a una proposta di questo tipo, partendo dal presupposto che sia un diritto inalienabile del cittadino ricevere un'educazione fisica adeguata da parte dello stato, e in particolare che tutti i cittadini, anche quelli poveri, debbano poter accedere a questo diritto. Ma se lo stato richiede a ognuno di noi una spesa rilevante per fornire un servizio che in realtà è ben lontano dall'essere adeguato (soprattutto per i poveri che non hanno alternative), non sarebbe meglio chiedere allo stato di farsi da parte rendendoci i soldi, in modo da consentirci di organizzare da soli quanto necessario per produrre il servizio? Del resto, così facciamo per altri servizi non meno importanti dell'educazione fisica: ad esempio, l'istruzione stradale per la guida di motociclette e automobili, attualmente fornita da imprese private a prezzi di mercato. Perché non chiediamo che questo tipo di istruzione venga fornita direttamente dallo stato mediante insegnanti pubblici pagati dalle nostre tasse? Forse perché le implicazioni ideologiche del codice della strada sono meno rilevanti ed è quindi accettabile che l'istruzione stradale venga impartita liberamente da privati? Ma se questo è il motivo, tutto sommato esso varrebbe anche per la ginnastica e forse per altri servizi attualmente pubblici.
Se invece il problema vero fosse quello dell'uguaglianza nell'accesso a beni ritenuti essenziali per tutti, lo si potrebbe risolvere meglio in altri modi, ad esempio tassando i ricchi per sussidiare i poveri con voucher per l'acquisto di quei beni, senza bisogno che sia lo stato a produrli in prima persona.
Non è facile capire in base a quale criterio gli italiani vogliano che alcuni servizi siano rigorosamente pubblici mentre altri possano invece essere acquistati e venduti nel mercato secondo le sue leggi. Ma sarebbe opportuno che gli italiani cominciassero a pensarci, per rendersi conto che forse, in molti casi, converrebbe contrattare con Tremonti un taglio nell'erogazione di qualche servizio pubblico in cambio di riduzioni contestuali e immediate del prelievo fiscale.
«Il Sole 24 Ore» del 25 luglio 2010
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