19 novembre 2009

Alberoni: "Per salvare l’amore torno a Adamo ed Eva"

Il sociologo esordisce nella narrativa con un dialogo in cui due amanti scoprono l’incanto dell’eros e della pubertà. Come il primo uomo e la prima donna, ma dopo una vita di eccessi
di Enrico Groppali
Nello studio severo di Francesco Alberoni campeggia solitario sullo sfondo di una magnifica riproduzione di Venere e Adone, il celebre quadro di Janssens Abraham, il profilo sdegnoso dell’autore di Sesso e amore. Che il suo fotografo ha voluto ritrarre di sbieco, immerso nei suoi pensieri, «a somiglianza di un abate di Port Royal» come sottolinea con ironia l’uomo che nel suo ultimo libro, I dialoghi degli amanti (Rizzoli, pagg. 320, euro 19,50) ha teorizzato la natura dell’impulso che ci avvince tenacemente all’altro sesso. «Chissà perché - si chiede - l’amico Fabrizio Ferri per la pubblicità di questo che è il mio primo romanzo, mi ha inchiodato a un’immagine così ascetica, fuori dal tempo e dallo spazio?». Non azzardo nessuna ipotesi, a meno che l’ascetismo non domini da cima a fondo I dialoghi degli amanti. Vero o falso? «Sia falso che vero» enuncia con un filo d’ironia lo scrittore che, in Innamoramento e amore, indagò con suprema finezza l’insorgere di quello stato d’abbandono in cui precipitiamo non appena Cupido scocca la sua freccia fatale.

Perché?
«Perché l’amore, all’inizio, è ascetismo puro, non se n’è accorto?».

Sarà, ma come mai a detta di chi ha avuto la fortuna di leggerlo in anteprima, «I dialoghi degli amanti» è stato definito una sorta di breviario erotico?
«Erotico... non esageriamo. Il mio romanzo non si prefigge lo scopo che perseguiva Nabokov quando creò Lolita. Pensi che Sakùntala e Roger, i miei protagonisti, vivono la loro continua attrazione con lo stesso impeto e lo stesso pudore di Dafni e Cloe, i due pastori adolescenti del romanzo pastorale di Longo Sofista».

Non mi dica che si è rifatto a un idillio del terzo secolo dopo Cristo...
«Ma no, che idea! Era solo per farle capire che, allora come oggi, chi ama sprofonda in un Eden di cui ignora l’entità, lo sviluppo, la meta ultima».

Mi ha convinto. Ma cosa accade tra Roger e Sakùntala?
«Il mio è un libro ambientato nel futuribile, ovvero il tempo in cui stiamo vivendo, tremando per le insidie che ci aspettano e tuttavia felici di provare all’unisono, e per fortuna all’ennesima potenza, l’ebbrezza e lo sconvolgimento dei sensi».

Ma da dove provengono questi amanti, così teneri e indifesi da vivere solo d’amore? Sono gli eredi dei Figli dei fiori o i rampolli dell’era tecnologica?
«Io credo che siamo alla vigilia di una mutazione antropologica. Qualcosa di simile, con le dovute proporzioni, a ciò che avveniva nell’antica Sparta».

In che senso, scusi?
«Come nella città-stato dell’antichità, io penso che lo Stato laico, di cui l’America è espressione dominante, finirà per sottrarre alle madri naturali, dopo il concepimento, l’educazione dei figli. Affidandoli a strutture separate, i maschi da una parte, le femmine dall’altra per potenziarne l’inserimento nella società adulta».

Perbacco, che tesi terrificante!
«Non si è accorto che, per creare degli esseri superefficienti e perfetti, la società tende a deprezzare l’amore riducendolo al puro commercio del sesso?».

Sì, d’accordo, ma non vedo come...
«Come si ha oggi più che mai paura dell’amore? Eppure, si tende a considerare avulso dal sesso il sentimento più puro che esista!».

Ammettiamolo pure, ma torniamo al suo libro. Come mai non ha espresso il suo pensiero in un nuovo saggio?
«Perché considero chiusa, per il momento almeno, la mia funzione di guida spirituale attraverso gli strumenti della sociologia. Che, nel caso dell’amore, si esprimono in bellissime teorie, negando a priori le parole vere degli esseri umani».

Il romanzo, invece...
«Il romanzo, soprattutto un romanzo come il mio non a caso strutturato dal principio alla fine come un dialogo ininterrotto, raccoglie le confidenze di due esseri folgorati dall’amore, come me, come lei, come ognuno di noi».

Può farmene un esempio?
«Sia Roger che Sakùntala, dopo squallide e molteplici esperienze sessuali, riscoprono nel coito le origini e il senso profondo della vita».

In che modo?
«Da adulti, non appena s’incontrano, si affaccia davanti a loro, che non hanno mai vissuto l’ansia e lo stupore della prima adolescenza, l’incanto della pubertà».

E questo li cambia radicalmente?
«Sì, perché amandosi paragonano, nel corso dell’amplesso, gli organi deputati al piacere a fiori e a foglie, a frutti e a profumi. Sono i nuovi Adamo ed Eva della società prossima ventura».

Addirittura?
«Ma certo. Tutti noi, nella letteratura, abbiamo conosciuto un’infinità di amanti focosi che...».

Che si limitavano a cercare l’orgasmo, vuol dire?
«Ha proprio ragione. Pensi, per esempio, a cosa fa con lo stalliere Connie in L’amante di Lady Chatterley. Una donna innamorata dell’erotismo, non dell’amore».

Mentre Sakùntala e Roger?
«Sono due bambini che, educati come schiavi genetici, spezzano le catene e rinascono uno nell’altro. Fino a credere lui di essere il figlio della sua donna e lei la madre del suo uomo».

Tornando cioè alle origini?
«Già, alle origini dell’universo e, speriamo, di un nuovo umanesimo».
«Il Giornale» del 19 novembre 2009

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