La Chiesa e l'arte
di Davide Rondoni
Il Papa ha parlato agli artisti che da tutto il mondo hanno accettato il suo invito. Lo ha fatto in un modo fortissimo. Ha detto: «La bellezza ferisce». Ha ripetuto che tra arte e fede c’è «affinità». E che nulla del genio di un artista è tolto o mortificato dalla fede. È stata una cosa intensa. E sobria. Alta e sobria. Sì, è vero c’era lo sfarzo magnifico della Cappella Sistina. C’era la delicata, violenta bellezza della infinita serie di sale dei musei vaticani. C’era l’aria bambinesca di tanti di noi che ci aggiravamo tra quei tesori. C’era il cantore in veste di pizzo che dice all’amico: «Ahò, ma c’è Venditti! » C’erano il buffet e quelli che si complimentavano per l’opera dell’altro. E c’erano quelli che dicevano d’essersi visti l’ultima volta negli anni Settanta. Insomma, c’era tutto quel che non può non esserci in ogni genere di ritrovo tra artisti. Ma soprattutto c’è stato l’invito sobrio e alto di papa Benedetto. L’invito ribadito a una «amicizia», cioè a tendere insieme alla bellezza. E alla visione. A servire con l’opera dell’artista non la «seducente», «ipocrita», «vana» bellezza che viene spacciata per tale e che alimenta solo la «brama». Ma quella che rivela i tesori dello spirito, che lancia segnali e ponti tra l’umano che siamo e l’infinito a cui tendiamo.
L’invito essenziale, potente del Papa, calibrato su tanti testi precedenti, su citazioni dei suoi predecessori Paolo VI e Giovanni Paolo II e alcuni pensatori tra cui Von Balthasar, è stato rivolto a una platea di artisti di ogni genere. Nomi più o meno noti al grande pubblico. Protagonisti d’ogni genere di arte: dalla danza alla poesia, dall’architettura alla musica. Si era lì in tanti eppure in un numero necessariamente esiguo ma, per così dire, era l’occasione d’ascoltare una parola in realtà rivolta a tutti coloro che lo desiderano. E il Papa non ha voluto cavarsela con qualche frase di circostanza. Ha affrontato il cuore del problema dell’arte. Che si chiama «bellezza ». Nonostante il pensiero della nostra epoca, ha ricordato Benedetto, sia spesso guidato o influenzato da persone che alla parola reagiscono con un 'sorrisetto' di compatimento, il problema dell’artista riguarda il significato della parola bellezza e la sua esperienza. Più volte il Papa ha richiamato che questo gesto di artisti stava avvenendo nella cornice di una sala che è luogo privilegiato dell’arte e della storia della Chiesa. Lì si eleggono i papi, e di quei dipinti Giovanni Paolo II ha detto che in un certo senso la Bibbia attendeva Michelangelo per farsi visibile. Una sintesi di arte e fede.
Benedetto non ha perso tempo a delineare una «teoria sull’arte». Ha ripetuto quel che gli artisti per esperienza sanno: l’arte è una finestra sul mistero della vita. Nemmeno ha dato qualche consiglio morale agli artisti. Ha chiesto solo di stare dalla parte della speranza, che è vera figlia della bellezza. E ha fatto vedere la storia d’arte che la Chiesa ha mosso e ospitato nei secoli, invitando a farne parte. Tutti, fedeli o no, santi o peccatori. Lontani che si credono vicini, o vicini che si credono lontani. Non ha chiesto di aderire a una teoria, ha offerto un’amicizia. E oggi, tra i tanti che sull’arte speculano, chiacchierano, tessono inganni, o mulinano aria fritta, chi davvero offre una cosa chiamata amicizia agli artisti e al loro lavoro? Per questo in tanti, di ogni genere, abbiamo accettato l’invito di Papa Benedetto.
L’invito essenziale, potente del Papa, calibrato su tanti testi precedenti, su citazioni dei suoi predecessori Paolo VI e Giovanni Paolo II e alcuni pensatori tra cui Von Balthasar, è stato rivolto a una platea di artisti di ogni genere. Nomi più o meno noti al grande pubblico. Protagonisti d’ogni genere di arte: dalla danza alla poesia, dall’architettura alla musica. Si era lì in tanti eppure in un numero necessariamente esiguo ma, per così dire, era l’occasione d’ascoltare una parola in realtà rivolta a tutti coloro che lo desiderano. E il Papa non ha voluto cavarsela con qualche frase di circostanza. Ha affrontato il cuore del problema dell’arte. Che si chiama «bellezza ». Nonostante il pensiero della nostra epoca, ha ricordato Benedetto, sia spesso guidato o influenzato da persone che alla parola reagiscono con un 'sorrisetto' di compatimento, il problema dell’artista riguarda il significato della parola bellezza e la sua esperienza. Più volte il Papa ha richiamato che questo gesto di artisti stava avvenendo nella cornice di una sala che è luogo privilegiato dell’arte e della storia della Chiesa. Lì si eleggono i papi, e di quei dipinti Giovanni Paolo II ha detto che in un certo senso la Bibbia attendeva Michelangelo per farsi visibile. Una sintesi di arte e fede.
Benedetto non ha perso tempo a delineare una «teoria sull’arte». Ha ripetuto quel che gli artisti per esperienza sanno: l’arte è una finestra sul mistero della vita. Nemmeno ha dato qualche consiglio morale agli artisti. Ha chiesto solo di stare dalla parte della speranza, che è vera figlia della bellezza. E ha fatto vedere la storia d’arte che la Chiesa ha mosso e ospitato nei secoli, invitando a farne parte. Tutti, fedeli o no, santi o peccatori. Lontani che si credono vicini, o vicini che si credono lontani. Non ha chiesto di aderire a una teoria, ha offerto un’amicizia. E oggi, tra i tanti che sull’arte speculano, chiacchierano, tessono inganni, o mulinano aria fritta, chi davvero offre una cosa chiamata amicizia agli artisti e al loro lavoro? Per questo in tanti, di ogni genere, abbiamo accettato l’invito di Papa Benedetto.
«Avvenire» del 22 novembre 2009
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