di Geraldina Colotti
«La fame è la più terribile arma di distruzione di massa che esista sul pianeta». Così il presidente del Brasile, Luiz Inacio Lula da Silva, è intervenuto al vertice Fao sulla sicurezza alimentare, che si è aperto ieri in una Roma blindata. Non che manchino i mezzi per sconfiggerla - ha detto ancora Lula - ma chi tiene i cordoni della borsa mondiale, preferisce impiegarli per il profitto. Infatti, «di fronte alla crisi, i leader mondiali non hanno esitato a spendere centinaia e centinaia di miliardi di dollari per salvare le banche, mentre ne sarebbe bastata la metà per far fronte all'emergenza alimentare».
Un atto d’accusa contro «le speculazioni irresponsabili» e la «sregolatezza» del sistema finanziario dei paesi ricchi intorno ai loro prodotti. Un monito ai molti che «sembrano aver perso la capacità di indignarsi» di fronte alle cifre sempre più allarmanti della fame, che colpisce 1,02 miliardi di persone nel mondo (un sesto della popolazione complessiva). Un nuovo appello ai paesi sviluppati affinché mantengano gli «impegni assunti». Un appello ripreso, con accenti diversi, dai capi di stato di Africa, Asia e America latina, che hanno risposto all’invito: a partire dalla presidente del Cile, Michelle Bachelet, che ha puntato il dito contro le «società escludenti» che producono «disuguaglianza».
Ma i leader dei paesi ricchi erano in gran parte assenti, a partire da Usa, Francia, Inghilterra e Germania. Poco più di un anno fa, si erano impegnati a ridurre della metà il numero degli affamati entro il 2015 e, da allora, i malnutriti sono passati da 850 milioni a oltre un miliardo. Quest’anno, sono aumentati del 9%, il picco più alto dal 1970. Il numero più elevato (642 milioni) si trova in Asia e nel Pacifico, 265 milioni soffrono la fame nell’Africa subsahariana, 53 milioni in America latina, 15 milioni risiedono anche nei paesi sviluppati. Come ha spiegato il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, nel suo intervento di apertura «Oggi più di 17mila bambini moriranno di fame, uno ogni cinque secondi, sei milioni l’anno».
Un atto d’accusa contro «le speculazioni irresponsabili» e la «sregolatezza» del sistema finanziario dei paesi ricchi intorno ai loro prodotti. Un monito ai molti che «sembrano aver perso la capacità di indignarsi» di fronte alle cifre sempre più allarmanti della fame, che colpisce 1,02 miliardi di persone nel mondo (un sesto della popolazione complessiva). Un nuovo appello ai paesi sviluppati affinché mantengano gli «impegni assunti». Un appello ripreso, con accenti diversi, dai capi di stato di Africa, Asia e America latina, che hanno risposto all’invito: a partire dalla presidente del Cile, Michelle Bachelet, che ha puntato il dito contro le «società escludenti» che producono «disuguaglianza».
Ma i leader dei paesi ricchi erano in gran parte assenti, a partire da Usa, Francia, Inghilterra e Germania. Poco più di un anno fa, si erano impegnati a ridurre della metà il numero degli affamati entro il 2015 e, da allora, i malnutriti sono passati da 850 milioni a oltre un miliardo. Quest’anno, sono aumentati del 9%, il picco più alto dal 1970. Il numero più elevato (642 milioni) si trova in Asia e nel Pacifico, 265 milioni soffrono la fame nell’Africa subsahariana, 53 milioni in America latina, 15 milioni risiedono anche nei paesi sviluppati. Come ha spiegato il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, nel suo intervento di apertura «Oggi più di 17mila bambini moriranno di fame, uno ogni cinque secondi, sei milioni l’anno».
«Il Manifesto» del 16 novembre 2009
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