Tradotta la «Storia dei crimini monetari» dello studioso americano Alexander Del Mar, che poco prima del 1929 ricostruì le complicità occulte fra speculatori
di Giancarlo Galli
Anche gli sviluppi dell’attuale crisi economico-finanziaria che ha messo in ginocchio l’intero pianeta gettando un’ombra sinistra sulla mitizzata «globalizzazione», sembrano dimostrare come gli uomini nulla o quasi abbiano appreso dalla storia; e quanto siano lesti a dimenticare, subito riannodando con speculazione ed ingordigia, mentre i politici un po’ ovunque eccellono nel «predicar bene e razzolar male ». Un paio di esempi concreti. Su un versante, a meno di due anni dal più spaventoso crack del dopoguerra, i banchieri hanno ripreso, con spavalda autoreferenzialità, ad autoconcedersi dei bonus milionari nonostante la salute dei loro istituti (spesso salvati dal fallimento con danaro pubblico), permanga precaria. Sull’altro gli stati ed i loro governi, più o meno democratici, si sono messi a far funzionare a pieno regime i torchi, immettendo sul mercato miliardi e miliardi di dollari, euro, yen e yuan. Accumulando debiti faraonici. Lo stato italiano ha raggiunto un indebitamento di 1761 miliardi, pari al 115 per cento del Pil, cioè l’ammontare della ricchezza prodotta in un anno. È un record negativo mondiale, secondo solo a quello del Giappone, ma nemmeno le altre principali nazioni viaggiano in acque migliori. Ad esempio la Francia è sul punto di lanciare il «Prestito Sarkozy», da 100 miliardi, per tappare i buchi.
A loro volta, le aziende s’indebitano a tutto spiano, approfittando dell’azzeramento (provvisorio) dei tassi d’interesse. Domanda: che ne sarà di questo fiume in piena di carta-cartaccia filigranata, in un domani prossimo venturo, un lustro e magari anche meno?
La risposta è, appunto, nella storia: una gigantesca ondata inflazionistica che trarrà dai guai i debitori, lasciando il cerino fra le mani dei creditori, in particolare i piccoli risparmiatori. Infatti il tourbillon di moneta cartacea s’appoggia su sabbie mobili, incerte: la cosiddetta «credibilità del sistema». Una fantasiosa entità (quasi un’araba fenice), concepita e partorita da compiacenti economisti: un tempo al servizio di imperatori, re, principi (usi a cancellare con un regale colpo di spugna i loro debiti), ora dei nuovi potenti. Che il nostro futuro economicofinanziario l’avevano, e nemmeno alla lontana, previsto?); «Siamo intervenuti in tempo!» (ma con danaro pubblico, privilegiando gli interessi di pochi). Comunque, auguriamoci abbiano ragione, considerando che le molteplici esperienze del passato non confortano. Anzi.
In questo scenario, lodevole è l’iniziativa di una piccola casa editrice (Excelsior 1881) di pubblicare per la prima volta in Italia, con la graffiante e puntuale prefazione di Francesco Merlo, opinionista di spicco, la Storia dei crimini monetari di Alexander Del Mar, in apparenza postdatata, poiché comparsa in Usa negli anni venti del secolo scorso, venne lestamente spedita in soffitta dagli «addetti ai lavori». Giudicata «inopportuna », in un periodo di boom. Inoltre Del Mar, nato a New York nel 1836 scomparve novantenne nel 1926. Nonostante fosse stato direttore dell’ufficio statistico Usa, delegato americano alle conferenze monetarie internazionali, il suo carattere spigoloso lo rendeva inviso.
Sarà il celeberrimo Nobel per l’economia James Tobin, ispiratore di Kennedy, a «riabilitarlo».
In che consisteva la supposta «follia intellettuale» di Del Mar? Secondo il Nobel (1999) Robert Mundell, «seppe porre domande mai formulate in precedenza, a cui fornì risposte anticonformiste e spregiudicate». Traduzione in soldoni: Del Mar individuò, alle radici di ogni crisi monetaria dal ’600 in poi, le complicità occulte fra speculatori e politici. In sostanza, denunciando il laissez-faire che propiziò i «crimini monetari ». Affascinante, nei suoi scritti, la battaglia perduta contro i «verdoni » (dollari di carta esentati dalla copertura aurea); il modo in cui venne estromesso dal circuito l’argento che per la sua diffusione avrebbe potuto costituire una garanzia reale. E via-via sino alla follia tecnocratica di un edificio privo di fondamenta. Cos’è, infatti se non un «artificio», il danaro che maneggiamo? Da qui, e dal distacco dalla realtà, il susseguirsi dalle crisi. Certo, Del Mar non nega il progresso intervenuto, grazie anche alla vieppiù rapida circolazione monetaria. Tuttavia, leggendo fra le righe (splendido l’intervento ad un congresso a Memphis, nel 1895), emerge la sua pulsione per un mondo più equilibrato, meno ingiusto. Poiché è difficile dargli torto, le sue pagine appaiono per molti versi profetiche.
A loro volta, le aziende s’indebitano a tutto spiano, approfittando dell’azzeramento (provvisorio) dei tassi d’interesse. Domanda: che ne sarà di questo fiume in piena di carta-cartaccia filigranata, in un domani prossimo venturo, un lustro e magari anche meno?
La risposta è, appunto, nella storia: una gigantesca ondata inflazionistica che trarrà dai guai i debitori, lasciando il cerino fra le mani dei creditori, in particolare i piccoli risparmiatori. Infatti il tourbillon di moneta cartacea s’appoggia su sabbie mobili, incerte: la cosiddetta «credibilità del sistema». Una fantasiosa entità (quasi un’araba fenice), concepita e partorita da compiacenti economisti: un tempo al servizio di imperatori, re, principi (usi a cancellare con un regale colpo di spugna i loro debiti), ora dei nuovi potenti. Che il nostro futuro economicofinanziario l’avevano, e nemmeno alla lontana, previsto?); «Siamo intervenuti in tempo!» (ma con danaro pubblico, privilegiando gli interessi di pochi). Comunque, auguriamoci abbiano ragione, considerando che le molteplici esperienze del passato non confortano. Anzi.
In questo scenario, lodevole è l’iniziativa di una piccola casa editrice (Excelsior 1881) di pubblicare per la prima volta in Italia, con la graffiante e puntuale prefazione di Francesco Merlo, opinionista di spicco, la Storia dei crimini monetari di Alexander Del Mar, in apparenza postdatata, poiché comparsa in Usa negli anni venti del secolo scorso, venne lestamente spedita in soffitta dagli «addetti ai lavori». Giudicata «inopportuna », in un periodo di boom. Inoltre Del Mar, nato a New York nel 1836 scomparve novantenne nel 1926. Nonostante fosse stato direttore dell’ufficio statistico Usa, delegato americano alle conferenze monetarie internazionali, il suo carattere spigoloso lo rendeva inviso.
Sarà il celeberrimo Nobel per l’economia James Tobin, ispiratore di Kennedy, a «riabilitarlo».
In che consisteva la supposta «follia intellettuale» di Del Mar? Secondo il Nobel (1999) Robert Mundell, «seppe porre domande mai formulate in precedenza, a cui fornì risposte anticonformiste e spregiudicate». Traduzione in soldoni: Del Mar individuò, alle radici di ogni crisi monetaria dal ’600 in poi, le complicità occulte fra speculatori e politici. In sostanza, denunciando il laissez-faire che propiziò i «crimini monetari ». Affascinante, nei suoi scritti, la battaglia perduta contro i «verdoni » (dollari di carta esentati dalla copertura aurea); il modo in cui venne estromesso dal circuito l’argento che per la sua diffusione avrebbe potuto costituire una garanzia reale. E via-via sino alla follia tecnocratica di un edificio privo di fondamenta. Cos’è, infatti se non un «artificio», il danaro che maneggiamo? Da qui, e dal distacco dalla realtà, il susseguirsi dalle crisi. Certo, Del Mar non nega il progresso intervenuto, grazie anche alla vieppiù rapida circolazione monetaria. Tuttavia, leggendo fra le righe (splendido l’intervento ad un congresso a Memphis, nel 1895), emerge la sua pulsione per un mondo più equilibrato, meno ingiusto. Poiché è difficile dargli torto, le sue pagine appaiono per molti versi profetiche.
Alexander Del Mar, Storia dei crimini finanziari, Excelsior 1881, pp. 264, € 15,50
«Avvenire» del 21 novembre 2009
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