di Paolo Simoncelli
Ieri è morto a Roma, improvvisamente, lo storico Victor Zaslavsky. Aveva compiuto da poco 72 anni. Era nato nel 1937, annus horribilis se pensiamo al luogo di nascita, l’allora sovietica Leningrado, cioè nel pieno delle purghe staliniste.
Una vita che nel microcosmo di una singola esistenza ha seguito l’intera parabola del più lungo e tragico sistema totalitario del ’900. Zaslavsky, laureato in Storia, esule dell’era brezneviana, ha insegnato nelle più importanti università occidentali, da quelle californiane (Berkeley e Stanford) alla canadese Memorial, fino ad approdare negli atenei privati italiani, la Luiss, dove ha insegnato Sociologia politica, occupandosi della storia dell’Europa orientale, e all’Imt di Lucca. Studioso di sociologia politica e storia, ha partecipato al Centro di studi sulla transizione e condiretto la rivista Ventunesimo secolo. Era sposato con Elena Aga Rossi, nota storica dell’età contemporanea, con cui aveva pubblicato un volume di grande richiamo politico e metodologico: Togliatti e Stalin. Il Pci e la politica estera staliniana negli archivi di Mosca (Il Mulino, 1997, ampliato nel 2007). Fu la scoperta di un universo documentario, gli archivi ex sovietici, da cui uscì materiale per riscrivere pagine fondamentali del ’900. Seppe sgretolare la tesi della lungimiranza togliattiana della svolta di Salerno: fu un semplice ordine di Stalin. Da allora continuò una documentatissima serie di lavori che progressivamente fece piazza pulita di dogmi storiografici accertando altre verità rispetto a quelle controllate dai rudi gendarmi ideologici della memoria, impossibilitati a frenare la pericolosa documentazione archivistica reperita da Zaslavsky. Con Lo stalinismo e la sinistra italiana (Mondadori, 2004) liquidò un altro mito togliattiano: il rifiuto di una rivoluzione armata comunista in Italia nel dopoguerra. Non la si ebbe perchè la Jugoslavia di Tito defezionò dal Comintern. Con Il massacro di Katyn (Ideazione, 1998), ampliato in Pulizia di classe (Il Mulino, 2006), Zaslavsky certificò quello che solo la propaganda continuava a far credere: che la strage dei 22 mila ufficiali polacchi fosse stata opera tedesca anzichè sovietica.
Il revisionismo (comprensibilmente temutissimo), prima di praticarlo negli archivi, l’aveva esistenzialmente sperimentato nella verifica di due sistemi ideologici nei quali aveva avuto la ventura di vivere.
Una vita che nel microcosmo di una singola esistenza ha seguito l’intera parabola del più lungo e tragico sistema totalitario del ’900. Zaslavsky, laureato in Storia, esule dell’era brezneviana, ha insegnato nelle più importanti università occidentali, da quelle californiane (Berkeley e Stanford) alla canadese Memorial, fino ad approdare negli atenei privati italiani, la Luiss, dove ha insegnato Sociologia politica, occupandosi della storia dell’Europa orientale, e all’Imt di Lucca. Studioso di sociologia politica e storia, ha partecipato al Centro di studi sulla transizione e condiretto la rivista Ventunesimo secolo. Era sposato con Elena Aga Rossi, nota storica dell’età contemporanea, con cui aveva pubblicato un volume di grande richiamo politico e metodologico: Togliatti e Stalin. Il Pci e la politica estera staliniana negli archivi di Mosca (Il Mulino, 1997, ampliato nel 2007). Fu la scoperta di un universo documentario, gli archivi ex sovietici, da cui uscì materiale per riscrivere pagine fondamentali del ’900. Seppe sgretolare la tesi della lungimiranza togliattiana della svolta di Salerno: fu un semplice ordine di Stalin. Da allora continuò una documentatissima serie di lavori che progressivamente fece piazza pulita di dogmi storiografici accertando altre verità rispetto a quelle controllate dai rudi gendarmi ideologici della memoria, impossibilitati a frenare la pericolosa documentazione archivistica reperita da Zaslavsky. Con Lo stalinismo e la sinistra italiana (Mondadori, 2004) liquidò un altro mito togliattiano: il rifiuto di una rivoluzione armata comunista in Italia nel dopoguerra. Non la si ebbe perchè la Jugoslavia di Tito defezionò dal Comintern. Con Il massacro di Katyn (Ideazione, 1998), ampliato in Pulizia di classe (Il Mulino, 2006), Zaslavsky certificò quello che solo la propaganda continuava a far credere: che la strage dei 22 mila ufficiali polacchi fosse stata opera tedesca anzichè sovietica.
Il revisionismo (comprensibilmente temutissimo), prima di praticarlo negli archivi, l’aveva esistenzialmente sperimentato nella verifica di due sistemi ideologici nei quali aveva avuto la ventura di vivere.
«Avvenire» del 27 novembre 2009
2 commenti:
ti posto di seguito il link ad un articolo dell'Occidentale,giornale col quale aveva più volte collaborato Zaslavsky.
http://www.loccidentale.it/articolo/ricordare+victor+zaslavsky%2C+un+grande+intellettuale+e+un+grande+amico.0082375
Ho ascoltato molte sue lezioni alla Luiss dove insegnava studiando scienze politiche..era un grande storico ed ho apprezzato molti dei suoi articoli. Oggi una testata gli ha reso giustamente omaggio.
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