Il sociologo Stark: per ogni chiesa la condizione di monopolio è dannosa, meglio la concorrenza. I monoteismi hanno avuto la meglio sul politeismo perché il prodotto che "vendevano" era più affidabile
di Rino Cammilleri
Rodney Stark è uno dei massimi sociologi delle religioni viventi. Docente di Scienze sociali alla Baylor University, Texas, da noi è noto anche per il fondamentale La vittoria della ragione. Come il cristianesimo ha prodotto libertà, progresso e ricchezza (Lindau) e, col collega Massimo Introvigne, Dio è tornato. Indagine sulla rivincita delle religioni in Occidente (Piemme).
Stark applica con successo le teorie economiche allo sviluppo e diffusione delle religioni, partendo dalla semplice constatazione che sia l’economia che i culti hanno lo stesso soggetto: l’uomo e la sua psicologia. Dunque, dati alla mano, osserva che la condizione di «libero mercato» è l’ideale per le fedi. Come la concorrenza costringe gli imprenditori ad aguzzare l’ingegno per produrre beni migliori a minor costo, così la condizione di monopolio è in ultima istanza dannosa per una chiesa, i cui uomini si adagiano sugli allori e finiscono per non dedicarsi più al proselitismo. Questo fenomeno lo si coglie bene a proposito delle «chiese di Stato», come quelle protestanti dell’Europa settentrionale, le quali sono sull’orlo della sparizione: esistenti sulla carta (e sulla dichiarazione dei redditi, giacché è lo stato a occuparsi del loro mantenimento) sono ormai vuoti simulacri quasi del tutto privi di seguito.
L’ultima fatica di Stark tradotta in italiano è Un unico vero Dio. Le conseguenze storiche del monoteismo (Lindau, pagg. 374, euro 24,50). L’inizio è una onesta ammissione: «Fino a pochissimo tempo fa praticamente quasi tutti gli studiosi di scienze sociali che si occupavano di religione lo facevano a partire da motivazioni antireligiose e pre-fondavano la loro opera sull’ateismo. Molti lo fanno ancora». Poi, Stark passa a esaminare il motivo per cui i monoteismi hanno vinto o addirittura soppiantato i politeismi. È praticamente uno solo: il «prodotto» offerto dal monoteismo (una divinità creatrice e onnipotente) è migliore di una selva di dèi, ciascuno con poteri ridotti e generalmente poco interessati ai problemi umani.
La maggior parte del libro, tuttavia, è dedicata, come dice il sottotitolo, alle conseguenze storiche della vittoria del monoteismo. Le pagine più interessanti sono quelle in cui Stark dimostra che ogni monoteismo è, contrariamente a quel che si crede, tollerante con i dissenzienti e perfino con gli altri monoteismi. Sebbene ogni monoteismo affermi con forza l’unicità e la giustezza del suo credo (il che significa che gli altri sono falsi), non si attiva per la repressione delle devianze se non quando si sente minacciato. Cioè, storicamente, quando un monoteismo «entra in guerra» con un altro. In tal caso, è costretto a serrare i ranghi e non sopporta al suo interno possibili «quinte colonne» di qualunque genere. Lo si vede, per esempio, nel singolare silenzio delle eresie tra il V-VI secolo e l’epoca delle crociate. Non che non ci fossero, ma i cristiani le tollerarono fino a quando il loro mondo non fu minacciato dall’Islam. Stark dimostra che lo stesso fenomeno si riscontra all’interno di quest’ultimo. Ciò vale anche per gli ebrei, che la cristianità, pur potendo farlo, non pensò mai di estirpare radicalmente dal suo seno. Solo in tempi di crociate si scatenarono i pogrom e, per giunta, quasi tutti localizzati nel bacino del Reno, dove l’autorità sia civile che ecclesiastica era debolissima a causa della frammentazione. Né le cose andavano meglio tra i musulmani: nel 1148 agli ebrei di Cordova fu ordinato di convertirsi all’Islam, pena la morte, o andarsene. La famiglia del famoso Maimonide passò all’Islam; altri («raramente viene ricordato») preferirono emigrare nei regni cristiani. Quando, nel 1260, i mongoli (ancora pagani) conquistarono la Persia, la popolazione musulmana si avventò sugli ebrei in ogni città.
Stark sostiene, pure, che Costantino non fu una vera benedizione per il cristianesimo, perché di fatto aprì la strada al monopolio, mentre, come sappiamo, solo la concorrenza è benefica. È un punto a mio avviso da discutere. Speriamo che Stark lo faccia in un prossimo libro.
Stark applica con successo le teorie economiche allo sviluppo e diffusione delle religioni, partendo dalla semplice constatazione che sia l’economia che i culti hanno lo stesso soggetto: l’uomo e la sua psicologia. Dunque, dati alla mano, osserva che la condizione di «libero mercato» è l’ideale per le fedi. Come la concorrenza costringe gli imprenditori ad aguzzare l’ingegno per produrre beni migliori a minor costo, così la condizione di monopolio è in ultima istanza dannosa per una chiesa, i cui uomini si adagiano sugli allori e finiscono per non dedicarsi più al proselitismo. Questo fenomeno lo si coglie bene a proposito delle «chiese di Stato», come quelle protestanti dell’Europa settentrionale, le quali sono sull’orlo della sparizione: esistenti sulla carta (e sulla dichiarazione dei redditi, giacché è lo stato a occuparsi del loro mantenimento) sono ormai vuoti simulacri quasi del tutto privi di seguito.
L’ultima fatica di Stark tradotta in italiano è Un unico vero Dio. Le conseguenze storiche del monoteismo (Lindau, pagg. 374, euro 24,50). L’inizio è una onesta ammissione: «Fino a pochissimo tempo fa praticamente quasi tutti gli studiosi di scienze sociali che si occupavano di religione lo facevano a partire da motivazioni antireligiose e pre-fondavano la loro opera sull’ateismo. Molti lo fanno ancora». Poi, Stark passa a esaminare il motivo per cui i monoteismi hanno vinto o addirittura soppiantato i politeismi. È praticamente uno solo: il «prodotto» offerto dal monoteismo (una divinità creatrice e onnipotente) è migliore di una selva di dèi, ciascuno con poteri ridotti e generalmente poco interessati ai problemi umani.
La maggior parte del libro, tuttavia, è dedicata, come dice il sottotitolo, alle conseguenze storiche della vittoria del monoteismo. Le pagine più interessanti sono quelle in cui Stark dimostra che ogni monoteismo è, contrariamente a quel che si crede, tollerante con i dissenzienti e perfino con gli altri monoteismi. Sebbene ogni monoteismo affermi con forza l’unicità e la giustezza del suo credo (il che significa che gli altri sono falsi), non si attiva per la repressione delle devianze se non quando si sente minacciato. Cioè, storicamente, quando un monoteismo «entra in guerra» con un altro. In tal caso, è costretto a serrare i ranghi e non sopporta al suo interno possibili «quinte colonne» di qualunque genere. Lo si vede, per esempio, nel singolare silenzio delle eresie tra il V-VI secolo e l’epoca delle crociate. Non che non ci fossero, ma i cristiani le tollerarono fino a quando il loro mondo non fu minacciato dall’Islam. Stark dimostra che lo stesso fenomeno si riscontra all’interno di quest’ultimo. Ciò vale anche per gli ebrei, che la cristianità, pur potendo farlo, non pensò mai di estirpare radicalmente dal suo seno. Solo in tempi di crociate si scatenarono i pogrom e, per giunta, quasi tutti localizzati nel bacino del Reno, dove l’autorità sia civile che ecclesiastica era debolissima a causa della frammentazione. Né le cose andavano meglio tra i musulmani: nel 1148 agli ebrei di Cordova fu ordinato di convertirsi all’Islam, pena la morte, o andarsene. La famiglia del famoso Maimonide passò all’Islam; altri («raramente viene ricordato») preferirono emigrare nei regni cristiani. Quando, nel 1260, i mongoli (ancora pagani) conquistarono la Persia, la popolazione musulmana si avventò sugli ebrei in ogni città.
Stark sostiene, pure, che Costantino non fu una vera benedizione per il cristianesimo, perché di fatto aprì la strada al monopolio, mentre, come sappiamo, solo la concorrenza è benefica. È un punto a mio avviso da discutere. Speriamo che Stark lo faccia in un prossimo libro.
«Il Giornale» del 30 novembre 2009
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