Il sistema paritario, pagato a caro prezzo dalle famiglie, ha anticipato percorsi ripresi dalle statali
di Luisa Ribolzi
Il carattere prevalentemente ideologico del dibattito sulla scuola paritaria porta spesso nel nostro Paese ad un eccesso di astrattezza, che finisce con l’ignorare quello che succede quotidianamente nelle aule e fuori. Tanto per fare un esempio, perché nessuno valorizza il ruolo che il sistema paritario da sempre riveste nel qualificare giovani neolaureati privi di ogni esperienza, che poi vincono i concorsi e si inseriscono, mediamente con ottimi risultati, nel sistema statale, che invece tende a occuparsi sempre di meno di formare i nuovi insegnanti? Addirittura, non è ancora sconta- to che le scuole paritarie possano essere presenti nel sistema di praticantato previsto dalle nuove leggi per la formazione iniziale dei docenti.
Si tratta solo di un esempio, anche se macroscopico, del ruolo che le scuole paritarie hanno, e ancora più potrebbero avere, nell’ottimizzazione del nostro sistema scolastico nazionale, composto, per chi lo avesse dimenticato, di scuole autonome statali e di scuole paritarie. Questo ruolo mi pare duplice: da un lato, il sistema paritario, grazie alla maggiore autonomia di cui gode, pagata peraltro a caro prezzo dalle famiglie, dato che riceve finanziamenti pubblici che oscillano da ridotti a inesistenti, ha potuto sperimentare in anticipo soluzioni didattiche e organizzative che potrebbero essere riprese utilmente anche dalle scuole statali (basti pensare all’abitudine a lavorare in rete), dall’altro l’attuazione di una reale parità potrebbe tradursi in un risparmio, o almeno in un più razionale uso dei fondi investiti in istruzione.
Questa affermazione, che può sembrare paradossale, non è difficile da documentare. Al momento, e il dossier dell’Agesc lo ha ampiamente provato, l’esistenza di un settore paritario in larga misura pagato dagli utenti (che non godono di alcuno sgravio fiscale e quindi finanziano anche il sistema delle scuole statali) consente allo Stato un risparmio di alcuni miliardi di euro. Ricerche svolte in molti Paesi europei ed extraeuropei sui mercati educativi, hanno mostrato che i costi pro-capite di ogni studente nel sistema pubblico sono maggiori, talvolta molto maggiori, di quelli privati, per cui un finanziamento alla famiglie che consentisse un maggiore ricorso alle scuole private si tradurrebbe in un risparmio finale. Questo vale anche di fronte all’obiezione che le scuole private tendono ad escludere i ragazzi più «costosi » (stranieri, disabili, svantaggiati), perché le scuole ricevono un pagamento più consistente per questi ragazzi.
In Italia questo tipo di studi non è presente, sia per la sua oggettiva difficoltà, sia – temo – per la diffusione dell’idea preconcetta che la scuola paritaria costituisca, a priori, un aggravio di costi. Certamente gli elementi da valutare sarebbero molti, dal come costituire un mercato integrato degli insegnanti, che potrebbero spostarsi senza penalizzazioni fra i due settori, al come stabilire il punto in cui scatta il risparmio, e infine a come risolvere il problema dei 'produttori', visto che di fronte a un aumento della domanda non tutte le scuole di qualità sarebbero disponibili ad allargare incondizionatamente l’offerta. Quello che è certo è che la «fuga nel privato» paventata dai difensori più strenui del monopolio statale non ci sarebbe, sia per motivi banalmente contingenti, come la struttura del territorio che non consente la moltiplicazione dell’offerta di scuole, sia per motivi legati alla domanda aggiuntiva, che le stime più larghe portano a non più del 12 - 15 per cento. Sarebbe veramente interessante, sgombrato il terreno dai pregiudizi, capire come si muoverebbe il sistema in Italia.
Si tratta solo di un esempio, anche se macroscopico, del ruolo che le scuole paritarie hanno, e ancora più potrebbero avere, nell’ottimizzazione del nostro sistema scolastico nazionale, composto, per chi lo avesse dimenticato, di scuole autonome statali e di scuole paritarie. Questo ruolo mi pare duplice: da un lato, il sistema paritario, grazie alla maggiore autonomia di cui gode, pagata peraltro a caro prezzo dalle famiglie, dato che riceve finanziamenti pubblici che oscillano da ridotti a inesistenti, ha potuto sperimentare in anticipo soluzioni didattiche e organizzative che potrebbero essere riprese utilmente anche dalle scuole statali (basti pensare all’abitudine a lavorare in rete), dall’altro l’attuazione di una reale parità potrebbe tradursi in un risparmio, o almeno in un più razionale uso dei fondi investiti in istruzione.
Questa affermazione, che può sembrare paradossale, non è difficile da documentare. Al momento, e il dossier dell’Agesc lo ha ampiamente provato, l’esistenza di un settore paritario in larga misura pagato dagli utenti (che non godono di alcuno sgravio fiscale e quindi finanziano anche il sistema delle scuole statali) consente allo Stato un risparmio di alcuni miliardi di euro. Ricerche svolte in molti Paesi europei ed extraeuropei sui mercati educativi, hanno mostrato che i costi pro-capite di ogni studente nel sistema pubblico sono maggiori, talvolta molto maggiori, di quelli privati, per cui un finanziamento alla famiglie che consentisse un maggiore ricorso alle scuole private si tradurrebbe in un risparmio finale. Questo vale anche di fronte all’obiezione che le scuole private tendono ad escludere i ragazzi più «costosi » (stranieri, disabili, svantaggiati), perché le scuole ricevono un pagamento più consistente per questi ragazzi.
In Italia questo tipo di studi non è presente, sia per la sua oggettiva difficoltà, sia – temo – per la diffusione dell’idea preconcetta che la scuola paritaria costituisca, a priori, un aggravio di costi. Certamente gli elementi da valutare sarebbero molti, dal come costituire un mercato integrato degli insegnanti, che potrebbero spostarsi senza penalizzazioni fra i due settori, al come stabilire il punto in cui scatta il risparmio, e infine a come risolvere il problema dei 'produttori', visto che di fronte a un aumento della domanda non tutte le scuole di qualità sarebbero disponibili ad allargare incondizionatamente l’offerta. Quello che è certo è che la «fuga nel privato» paventata dai difensori più strenui del monopolio statale non ci sarebbe, sia per motivi banalmente contingenti, come la struttura del territorio che non consente la moltiplicazione dell’offerta di scuole, sia per motivi legati alla domanda aggiuntiva, che le stime più larghe portano a non più del 12 - 15 per cento. Sarebbe veramente interessante, sgombrato il terreno dai pregiudizi, capire come si muoverebbe il sistema in Italia.
«Avvenire» del 27 novembre 2009
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