di Ilvo Diamanti
Pochi giorni fa l'amministrazione di una località in provincia di Mantova, governata da una coalizione Lega-Pdl, ha invitato i cittadini, con manifesti eloquenti, a denunciare i clandestini che risiedono entro i confini comunali. D'altronde, un'esortazione analoga era stata rivolta ai medici ospedalieri, in una versione preliminare del "pacchetto sicurezza" presentata dal governo. Segni di una marcia inarrestabile, che conduce - anzi: ci ha già immersi - in un mondo nuovo. La società spiona. Che tutti sono chiamati a costruire, rafforzare, estendere. In nome della sicurezza.
È strano, questo orientamento, perché contrasta con il pensiero unico dell'epoca, che ha come riferimenti la libertà e l'individuo. Riassunti nella libertà individuale. Ancora oggi, reclamata come valore irrinunciabile della nostra civiltà. Liberale (appunto) e liberata da ogni totalitarismo. Tanto più dopo il passaggio dalla comunità tradizionale alla metropoli. Fino alla nascita della "società in rete", di cui parla Manuel Castells. Dove le relazioni avvengono a distanza, senza vincoli di spazio e di tempo. A dispetto di ciò, oggi il paradigma dominante si ispira alla sicurezza. Reclama il controllo sociale. Affidato non più alla comunità, ma agli individui stessi. Oppure allo stato. O ancora: al mercato.
Ciascuno è, dunque, chiamato a difendere se stesso, la famiglia: dagli altri, da ogni altro. Mentre, fra i cittadini, c'è ampia disponibilità a delegare alle istituzioni pubbliche e ad agenzie private il compito di difenderli. A costo di cedere porzioni crescenti della nostra libertà personale. D'altronde, il territorio desertificato delle nostre infinite periferie urbane è controllato dai sistemi di videosorveglianza.
Telecamere dovunque, che registrano i nostri passi e i nostri passaggi. Soggetti pubblici e privati ci spiano e filmano tutti, dappertutto. Davanti agli sportelli bancari, nei supermercati, nei giardini pubblici, nei parcheggi sotterranei e all'aperto. Senza sollevare grandi timori, fra i cittadini. Al contrario. Come rileva un'indagine di Demos-Unipolis, condotta nelle scorse settimane (per l'Osservatorio su "Sicurezza, percezione e informazione"), circa nove italiani su dieci sono favorevoli ad "aumentare la sorveglianza con telecamere in strada e nei luoghi pubblici". Circa uno su due: a "consentire al governo di monitorare le transazioni bancarie". Infine, uno su tre: a "rendere più facile per le autorità leggere la posta, le e-mail o intercettare le telefonate senza il consenso delle persone".
Insomma, spioni e spiati, senza troppa angoscia, senza troppi dubbi. È il clima del tempo. Favorito dai media e dalle tecnologie. Evocare Orwell è fin troppo facile. Visto che il Grande Fratello è divenuto un format televisivo di successo globale. Archetipo di tutti i reality show. Il GF, dove i concorrenti stanno rinchiusi in una casa, ciascuno da solo contro tutti gli altri, come ha osservato Bauman. Mentre il mondo fuori li spia, a (tele) comando. Una società allo specchio, fatta di spettatori che apprendono l'arte di arrangiarsi, di guardare e di guardarsi. Dagli altri. Non a caso 7 italiani su 10 dicono che occorre cautela nel rapporto con gli altri; che ti potrebbero fregare (sondaggio Demos, novembre 2009). Dunque: ciascuno per proprio conto. Sottoposto a un "controllo continuo", in un presente istantaneo e dilatato (per evocare Deleuze).
D'altronde, le nuove tecnologie della comunicazione rendono possibile ogni intrusione nel privato, immediatamente (senza mediazione). E lo rendono, anzi, di pubblico dominio. Ogni cellulare è dotato di videocamera e di apparecchio fotografico. Per cui ciascuno può riprendere chiunque, in ogni luogo. Riversarne le immagini in rete. In tempo reale. E tutti possono essere spiati e ascoltati ovunque, da soggetti pubblici ma anche privati. Per motivi di sicurezza, ma anche di interesse. Visto che le informazioni private e personali hanno un valore di mercato crescente.
Così avviene il paradosso della perdita di libertà prodotta dalla conquista della libertà. Perché la comunicazione è libertà, Internet è libertà. Come è possibile ribellarsi, opporsi, semplicemente criticare: senza apparire "nemici" della libertà? Nostalgici del tempo passato? Tuttavia, lo sconfinamento fra società della comunicazione e della sorveglianza; fra società in rete e spiona: è continuo e pervasivo. Questa tendenza ha da tempo contaminato la politica. Basta pensare, per ultimi, ai grandi "affaires" degli ultimi mesi. Berlusconi, Marrazzo. Fino alle indiscrezioni sulla Mussolini. Filmati, video, telefonate, servizi fotografici.
Chissà quanti altri capitoli in preparazione o già predisposti, sul punto di irrompere, in questa saga della società spiona. Che ha, da tempo, un organo ufficiale autorevole, pubblicato - ovviamente - in rete, la cui testata recita - ovviamente - DagoSpia. Così rischiamo di scivolare, rapidamente, lungo la deriva delatoria senza accorgercene. E di subirla senza quasi combattere. Assuefatti, più che sopraffatti.
Spinti dalla "società spiona", dove i confini tra privato e pubblico, fra noi e gli altri si confondono, anche nella vita quotidiana. Dove ciascuno si rinchiude nel (e si maschera da) privato anche in pubblico; quando è con gli altri. Dove ciascuno è osservato dagli altri e sorvegliato dal pubblico, anche nel privato. Quando si illude di essere solo. Dove tutti - o quasi - indossano occhiali scuri. Non per difendersi dalla luce abbagliante. (Molti li portano anche di sera, perfino di notte). Ma dagli altri. Per guardare senza essere guardati. Per puntare gli occhi sugli altri senza che gli altri possano vedere i nostri occhi. La società spiona: in nome della sicurezza rischia di trasformarci in nemici. Non solo degli Altri. Ma anche di noi stessi.
È strano, questo orientamento, perché contrasta con il pensiero unico dell'epoca, che ha come riferimenti la libertà e l'individuo. Riassunti nella libertà individuale. Ancora oggi, reclamata come valore irrinunciabile della nostra civiltà. Liberale (appunto) e liberata da ogni totalitarismo. Tanto più dopo il passaggio dalla comunità tradizionale alla metropoli. Fino alla nascita della "società in rete", di cui parla Manuel Castells. Dove le relazioni avvengono a distanza, senza vincoli di spazio e di tempo. A dispetto di ciò, oggi il paradigma dominante si ispira alla sicurezza. Reclama il controllo sociale. Affidato non più alla comunità, ma agli individui stessi. Oppure allo stato. O ancora: al mercato.
Ciascuno è, dunque, chiamato a difendere se stesso, la famiglia: dagli altri, da ogni altro. Mentre, fra i cittadini, c'è ampia disponibilità a delegare alle istituzioni pubbliche e ad agenzie private il compito di difenderli. A costo di cedere porzioni crescenti della nostra libertà personale. D'altronde, il territorio desertificato delle nostre infinite periferie urbane è controllato dai sistemi di videosorveglianza.
Telecamere dovunque, che registrano i nostri passi e i nostri passaggi. Soggetti pubblici e privati ci spiano e filmano tutti, dappertutto. Davanti agli sportelli bancari, nei supermercati, nei giardini pubblici, nei parcheggi sotterranei e all'aperto. Senza sollevare grandi timori, fra i cittadini. Al contrario. Come rileva un'indagine di Demos-Unipolis, condotta nelle scorse settimane (per l'Osservatorio su "Sicurezza, percezione e informazione"), circa nove italiani su dieci sono favorevoli ad "aumentare la sorveglianza con telecamere in strada e nei luoghi pubblici". Circa uno su due: a "consentire al governo di monitorare le transazioni bancarie". Infine, uno su tre: a "rendere più facile per le autorità leggere la posta, le e-mail o intercettare le telefonate senza il consenso delle persone".
Insomma, spioni e spiati, senza troppa angoscia, senza troppi dubbi. È il clima del tempo. Favorito dai media e dalle tecnologie. Evocare Orwell è fin troppo facile. Visto che il Grande Fratello è divenuto un format televisivo di successo globale. Archetipo di tutti i reality show. Il GF, dove i concorrenti stanno rinchiusi in una casa, ciascuno da solo contro tutti gli altri, come ha osservato Bauman. Mentre il mondo fuori li spia, a (tele) comando. Una società allo specchio, fatta di spettatori che apprendono l'arte di arrangiarsi, di guardare e di guardarsi. Dagli altri. Non a caso 7 italiani su 10 dicono che occorre cautela nel rapporto con gli altri; che ti potrebbero fregare (sondaggio Demos, novembre 2009). Dunque: ciascuno per proprio conto. Sottoposto a un "controllo continuo", in un presente istantaneo e dilatato (per evocare Deleuze).
D'altronde, le nuove tecnologie della comunicazione rendono possibile ogni intrusione nel privato, immediatamente (senza mediazione). E lo rendono, anzi, di pubblico dominio. Ogni cellulare è dotato di videocamera e di apparecchio fotografico. Per cui ciascuno può riprendere chiunque, in ogni luogo. Riversarne le immagini in rete. In tempo reale. E tutti possono essere spiati e ascoltati ovunque, da soggetti pubblici ma anche privati. Per motivi di sicurezza, ma anche di interesse. Visto che le informazioni private e personali hanno un valore di mercato crescente.
Così avviene il paradosso della perdita di libertà prodotta dalla conquista della libertà. Perché la comunicazione è libertà, Internet è libertà. Come è possibile ribellarsi, opporsi, semplicemente criticare: senza apparire "nemici" della libertà? Nostalgici del tempo passato? Tuttavia, lo sconfinamento fra società della comunicazione e della sorveglianza; fra società in rete e spiona: è continuo e pervasivo. Questa tendenza ha da tempo contaminato la politica. Basta pensare, per ultimi, ai grandi "affaires" degli ultimi mesi. Berlusconi, Marrazzo. Fino alle indiscrezioni sulla Mussolini. Filmati, video, telefonate, servizi fotografici.
Chissà quanti altri capitoli in preparazione o già predisposti, sul punto di irrompere, in questa saga della società spiona. Che ha, da tempo, un organo ufficiale autorevole, pubblicato - ovviamente - in rete, la cui testata recita - ovviamente - DagoSpia. Così rischiamo di scivolare, rapidamente, lungo la deriva delatoria senza accorgercene. E di subirla senza quasi combattere. Assuefatti, più che sopraffatti.
Spinti dalla "società spiona", dove i confini tra privato e pubblico, fra noi e gli altri si confondono, anche nella vita quotidiana. Dove ciascuno si rinchiude nel (e si maschera da) privato anche in pubblico; quando è con gli altri. Dove ciascuno è osservato dagli altri e sorvegliato dal pubblico, anche nel privato. Quando si illude di essere solo. Dove tutti - o quasi - indossano occhiali scuri. Non per difendersi dalla luce abbagliante. (Molti li portano anche di sera, perfino di notte). Ma dagli altri. Per guardare senza essere guardati. Per puntare gli occhi sugli altri senza che gli altri possano vedere i nostri occhi. La società spiona: in nome della sicurezza rischia di trasformarci in nemici. Non solo degli Altri. Ma anche di noi stessi.
«La Repubblica» del 29 novembre 2009
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