Furti, lettere e codici: a qualcuno piace molto caldo
di Piero Vietti
di Piero Vietti
“Sono abituato ad avere a che fare con tutta la faccenda del 1998, e la possibilità che si stia andando verso un periodo più lungo – 10 anni – al di là di quanto ti aspetti dalla Niña. Sarà speculazione, ma se questa possibilità la vedo io, c’è il rischio che la vedano anche altri. Ad ogni modo, penso che taglierò gli ultimi punti dalla curva prima del mio prossimo discorso, in modo che quel trend verso il basso sembri l’effetto della fine della serie, piuttosto che il risultato dei recenti anni freddi”.
Se fosse stato Michael Crichton a scrivere la storia di e-mail rubate all’Università dell’East Anglia che in questi giorni preoccupa (e non poco) alcuni dei più influenti climatologi del mondo, in pochi avrebbero trovato il romanzo noioso. Nella notte di venerdì 20 novembre il Centro di ricerca sul clima (Cru) dell’Università inglese ha subito un attacco da parte di un pirata informatico (forse agevolato da una talpa interna) che ha pubblicato su un server russo 62 mega byte di e-mail e allegati scambiati dal 1996 a oggi tra gli scienziati del famoso Centro che da tempo collabora con l’Ipcc nella stesura dei rapporti dell’Onu sui cambiamenti climatici (rapporti in cui si sostiene che le emissioni di CO2 prodotte dall’uomo starebbero surriscaldando pericolosamente il nostro pianeta).
Nella mattina di venerdì diversi blog specializzati (primo tra tutti Air Vent, poi Climate Audit e What’s up with that) riportano la notizia con alcuni stralci di queste e-mail. Subito i cosiddetti “scettici” dell’origine antropica del global warming si affrettano a dire che in quelle mail c’è la pistola fumante del grande raggiro perpetrato dai cosiddetti “catastrofisti”: in effetti la lettura di questa corrispondenza (scaricabile ormai da molti siti sulla rete, primo tra tutti quello del Wall Street Journal) svela un fitto scambio di informazioni e pareri tra gli studiosi del global warming su come filtrare le informazioni per selezionare cosa far passare al pubblico e cosa no. In poche parole, i climatologi si consigliano a vicenda di non pubblicare dati e numeri che contesterebbero la loro teoria.
Fino a venerdì pomeriggio nessun sito di informazione riprende la notizia, soprattutto in Italia. Solo Climate Monitor, un blog scientifico che si occupa di climatologia, parla della faccenda invitando intanto alla calma. Al momento infatti nessuno ha ancora né smentito né confermato la fuga di materiale dal Cru. Il Foglio contatta l’Università dell’East Anglia: un portavoce conferma “l’attacco di un pirata informatico” ma non garantisce che tutto il materiale finito in rete sia genuino. Nel tardo pomeriggio la Bbc dà la notizia del furto di e-mail senza accennare nello specifico al loro contenuto; poco dopo il Guardian fa lo stesso, ma citando alcuni nomi di scienziati presenti nella corrispondenza elettronica e riportando alcuni brani della stessa. Tra questi, quello che più ha eccitato gli scettici:
Uno degli scienziati più attivi in questo scambio di e-mail, P. J., scrive a diversi colleghi che ha “appena utilizzato il trucchetto di Mann (noto climatologo, ndr) per nascondere il declino (delle temperature, ndr) in alcune serie a partire dal 1981”.
A questo punto sulla rete è il caos, le parole “trick” (trucchetto) e “hide the decline” (nascondere il declino) sono inequivocabili, dicono in molti. Nella sera di venerdì anche il New York Times racconta l’accaduto. Sabato, in Italia, solo il Foglio ne parla: il mistero è ancora fitto, nessuno degli scienziati coinvolti ha parlato nel merito (alcuni sono intervenuti per dire che il furto di corrispondenza è un reato). Domenica il Corriere della Sera e la Stampa scrivono dell’accaduto. Lunedì sui giornali italiani non c’è già più traccia della notizia, che invece resta nei giornali internazionali: il Wall Street Journal gli dedica l’intera pagina tre, ieri, e quello stesso articolo è il più letto del giorno sul sito Web. Altre mail vengono pubblicate. E’ ancora P. J. a scrivere:
“Non voglio vedere nessuno di questi studi nel report dell’Ipcc. K. e io li terremo fuori in un modo o nell’altro, anche se dovessimo arrivare a ridefinire che cos’è un peer-review”.
Tecnicamente il “peer review” è un processo con cui viene valutata la qualità di una ricerca, per decidere se pubblicarla su una rivista o finanziarla. Questa viene sottoposta al giudizio di altri scienziati esperti nello stesso campo dell’autore e scelti nella comunità internazionale. Di cosa parlano questi studi per la cui non pubblicazione il professor P. J. sarebbe pronto a ridefinire la procedura di questo processo? I siti che riportano la notizia parlano di studi “non utili alla causa del global warming antopico”. A questo punto le reazioni non ufficiali hanno cominciato a uscire: gli scienziati coinvolti hanno scritto la loro versione su Real Climate, un blog nato proprio da alcuni di loro. La cosa interessante è che non è arrivata nessuna smentita su quanto scritto nelle mail (a questo punto da considerare tutte genuine?), ma solo precisazioni sul significato di alcuni termini usati in gergo colloquiale e accuse di “decontestualizzare” i contenuti degli scambi epistolari. Resta il fatto che i contenuti sono abbastanza espliciti, e misteriosamente quasi nessun quotidiano li ha analizzati.
La linea che sta passando – anche in Italia – è che questo “attacco” sia stato portato da chi vuole far fallire la Conferenza sul clima di Copenaghen. Così, la Stampa domenica intervistava il geologo Bob Ward che sosteneva come “le mail dell’East Anglia vergognosamente rubate mostrano solo la frustrazione degli scienziati per i continui attacchi di questi sedicenti scettici che sanno dire solo di no”. In sostanza, in quelle e-mail ci sarebbero solo le lamentele di chi sta salvando il mondo ma non è capito dai colleghi “negazionisti”, e non la prova che questi scienziati falsificassero i dati perché non sapevano come sostenere la loro teoria di fronte alla realtà. Leggiamo questo passaggio da una lettera di K.T. riportato anche dalla Stampa:
“Il fatto è che non possiamo spiegare l’assenza di riscaldamento in questo momento storico”.
Tranne il Telegraph (che sul suo sito pubblica un’interessante antologia delle frasi più contestate) e pochi altri, nessuno sottolinea l’incertezza scientifica che appare evidente nei botta e risposta tra i membri del Cru. Si fa notare solo quanto sia sospetto che proprio a pochi giorni da Copenaghen questo materiale sia stato reso pubblico. Il Guardian si lancia addirittura in una excusatio non petita: “Non ci sono tracce di alcuna cospirazione tra climatologi, allora perché la risposta dell’Università dell’East Anglia è stata così patetica?”. In effetti dalla sola lettura delle e-mail è difficile parlare di complotto organizzato, ma si può notare una rete di connivenze, omertà e collusione votata allo scopo di dimostrare le proprie idee, più che trovare per esse conferme scientifiche. Così almeno la pensa Lord Lawson, Chairman della Global Warming Policy Foundation, che ieri ha chiesto che si apra un’inchiesta sui contenuti “molto gravi” delle mail, “che colpiscono al cuore l’integrità e la credibilità scientifica”. Scrive M.M. in una delle e-mail:
“Sappiamo tutti che in questo dibattito il problema non è affatto ciò che è vero o falso”.
Ognuno può avere gli amici che gli pare, ma certo non può non destare qualche sospetto la vicinanza che emerge dal materiale del Cru tra gli scienziati e certe organizzazioni ambientaliste dall’approccio spesso poco scientifico per quello che riguarda i cambiamenti climatici. Così ci sarebbe la richiesta a Greenpeace di un endorsement alla “causa” (sic) fatta appena prima della ratifica del protocollo di Kyoto, e la richiesta fatta dal Wwf australiano perché il Centro di ricerca alzi la percentuale di rischio di occorrenza di siccità ed eventi estremi in Australia, così che il Wwf possa fare un “big public splash”, un gran bel botto.
Detto questo, come ha scritto in un editoriale il blog Climate Monitor, sono i 3.500 file allegati alle e-mail la parte più interessante della storia.
E’ lì che chi se ne intende potrà verificare se e cosa sia stato occultato. “Se le e-mail del Cru possono essere aperte a interpretazioni, il codice commentato dal suo programmatore ci dice come sono andate le cose”, scriveva ieri il blog di Anthony Watts (http://www.wattsupwiththat.com/), un famoso meteorologo assai attivo nel blogsfera. Il codice in questione è il programma usato per costruire l’insieme delle temperature medie superficiali (il dataset), i cui dati provengono dalle osservazioni sparse per il mondo (sia terrestri sia superficiali) e che in sostanza è fondamentale per capire se fa più caldo o più freddo. Dopo essere stati trattati, ovvero normalizzati in una griglia, corretti in base a molti parametri, i dati vengono mediati su scala spaziale globale e su scala temporale mensile e resi pubblici. Il dataset si chiama “Hadcrut3” ed è una delle fonti più accreditate nello studio dell’andamento delle temperature. Nonostante le tante richieste di molti scienziati, questo codice non era mai stato rilasciato per intero. Un lettore particolarmente attento ha spulciato tra gli allegati trovandolo accompagnato da un’annotazione molto curiosa:
"Il programmatore del codice consiglia di “non inserire nel grafico (dati, ndr) successivi al 1960 perché questi saranno artificialmente aggiustati per sembrare più simili alle vere temperature”.
Si legge ancora sul blog di Anthony Watts: “I dati o raccontano la storia della natura oppure no. E dati che sono stati ‘artificialmente aggiustati per sembrare più simili alle vere temperature’ sono dati falsi, che portano a falsi risultati”. Sarà interessante vedere cosa succederà nei prossimi giorni e nelle settimane che ci separano dalla Conferenza sui cambiamenti climatici (dal 7 al 18 dicembre). Intanto la controffensiva è partita: i mezzi di informazione italiani non ne parlano (ieri è intervenuto il solo Luca Mercalli, meteorologo ospite fisso di “Che tempo che fa”, il programma di Fabio Fazio, che ha troncato la discussione dicendo che poiché le e-mail sono diventate pubbliche con un furto, e quindi illegalmente, non devono essere prese in considerazione) e quelli stranieri puntano ai tempi “sospetti”. Con tempismo invidiabile ieri l’Onu ha fatto sapere che “le concentrazioni di gas serra hanno raggiunto il più alto livello di sempre”, e per questo a Copenaghen gli Stati Uniti proporranno un obiettivo per il taglio della CO2. Quegli stessi Stati Uniti che, a oggi, sono i veri “killer” della Conferenza sul clima, dopo che Obama ha detto ai cinesi che in Danimarca non si deciderà un tetto alle emissioni, ma in pratica si rimanderà il tutto al prossimo anno. Resta da capire se tenedo conto delle rivelazioni di questi giorni o no.
Se fosse stato Michael Crichton a scrivere la storia di e-mail rubate all’Università dell’East Anglia che in questi giorni preoccupa (e non poco) alcuni dei più influenti climatologi del mondo, in pochi avrebbero trovato il romanzo noioso. Nella notte di venerdì 20 novembre il Centro di ricerca sul clima (Cru) dell’Università inglese ha subito un attacco da parte di un pirata informatico (forse agevolato da una talpa interna) che ha pubblicato su un server russo 62 mega byte di e-mail e allegati scambiati dal 1996 a oggi tra gli scienziati del famoso Centro che da tempo collabora con l’Ipcc nella stesura dei rapporti dell’Onu sui cambiamenti climatici (rapporti in cui si sostiene che le emissioni di CO2 prodotte dall’uomo starebbero surriscaldando pericolosamente il nostro pianeta).
Nella mattina di venerdì diversi blog specializzati (primo tra tutti Air Vent, poi Climate Audit e What’s up with that) riportano la notizia con alcuni stralci di queste e-mail. Subito i cosiddetti “scettici” dell’origine antropica del global warming si affrettano a dire che in quelle mail c’è la pistola fumante del grande raggiro perpetrato dai cosiddetti “catastrofisti”: in effetti la lettura di questa corrispondenza (scaricabile ormai da molti siti sulla rete, primo tra tutti quello del Wall Street Journal) svela un fitto scambio di informazioni e pareri tra gli studiosi del global warming su come filtrare le informazioni per selezionare cosa far passare al pubblico e cosa no. In poche parole, i climatologi si consigliano a vicenda di non pubblicare dati e numeri che contesterebbero la loro teoria.
Fino a venerdì pomeriggio nessun sito di informazione riprende la notizia, soprattutto in Italia. Solo Climate Monitor, un blog scientifico che si occupa di climatologia, parla della faccenda invitando intanto alla calma. Al momento infatti nessuno ha ancora né smentito né confermato la fuga di materiale dal Cru. Il Foglio contatta l’Università dell’East Anglia: un portavoce conferma “l’attacco di un pirata informatico” ma non garantisce che tutto il materiale finito in rete sia genuino. Nel tardo pomeriggio la Bbc dà la notizia del furto di e-mail senza accennare nello specifico al loro contenuto; poco dopo il Guardian fa lo stesso, ma citando alcuni nomi di scienziati presenti nella corrispondenza elettronica e riportando alcuni brani della stessa. Tra questi, quello che più ha eccitato gli scettici:
Uno degli scienziati più attivi in questo scambio di e-mail, P. J., scrive a diversi colleghi che ha “appena utilizzato il trucchetto di Mann (noto climatologo, ndr) per nascondere il declino (delle temperature, ndr) in alcune serie a partire dal 1981”.
A questo punto sulla rete è il caos, le parole “trick” (trucchetto) e “hide the decline” (nascondere il declino) sono inequivocabili, dicono in molti. Nella sera di venerdì anche il New York Times racconta l’accaduto. Sabato, in Italia, solo il Foglio ne parla: il mistero è ancora fitto, nessuno degli scienziati coinvolti ha parlato nel merito (alcuni sono intervenuti per dire che il furto di corrispondenza è un reato). Domenica il Corriere della Sera e la Stampa scrivono dell’accaduto. Lunedì sui giornali italiani non c’è già più traccia della notizia, che invece resta nei giornali internazionali: il Wall Street Journal gli dedica l’intera pagina tre, ieri, e quello stesso articolo è il più letto del giorno sul sito Web. Altre mail vengono pubblicate. E’ ancora P. J. a scrivere:
“Non voglio vedere nessuno di questi studi nel report dell’Ipcc. K. e io li terremo fuori in un modo o nell’altro, anche se dovessimo arrivare a ridefinire che cos’è un peer-review”.
Tecnicamente il “peer review” è un processo con cui viene valutata la qualità di una ricerca, per decidere se pubblicarla su una rivista o finanziarla. Questa viene sottoposta al giudizio di altri scienziati esperti nello stesso campo dell’autore e scelti nella comunità internazionale. Di cosa parlano questi studi per la cui non pubblicazione il professor P. J. sarebbe pronto a ridefinire la procedura di questo processo? I siti che riportano la notizia parlano di studi “non utili alla causa del global warming antopico”. A questo punto le reazioni non ufficiali hanno cominciato a uscire: gli scienziati coinvolti hanno scritto la loro versione su Real Climate, un blog nato proprio da alcuni di loro. La cosa interessante è che non è arrivata nessuna smentita su quanto scritto nelle mail (a questo punto da considerare tutte genuine?), ma solo precisazioni sul significato di alcuni termini usati in gergo colloquiale e accuse di “decontestualizzare” i contenuti degli scambi epistolari. Resta il fatto che i contenuti sono abbastanza espliciti, e misteriosamente quasi nessun quotidiano li ha analizzati.
La linea che sta passando – anche in Italia – è che questo “attacco” sia stato portato da chi vuole far fallire la Conferenza sul clima di Copenaghen. Così, la Stampa domenica intervistava il geologo Bob Ward che sosteneva come “le mail dell’East Anglia vergognosamente rubate mostrano solo la frustrazione degli scienziati per i continui attacchi di questi sedicenti scettici che sanno dire solo di no”. In sostanza, in quelle e-mail ci sarebbero solo le lamentele di chi sta salvando il mondo ma non è capito dai colleghi “negazionisti”, e non la prova che questi scienziati falsificassero i dati perché non sapevano come sostenere la loro teoria di fronte alla realtà. Leggiamo questo passaggio da una lettera di K.T. riportato anche dalla Stampa:
“Il fatto è che non possiamo spiegare l’assenza di riscaldamento in questo momento storico”.
Tranne il Telegraph (che sul suo sito pubblica un’interessante antologia delle frasi più contestate) e pochi altri, nessuno sottolinea l’incertezza scientifica che appare evidente nei botta e risposta tra i membri del Cru. Si fa notare solo quanto sia sospetto che proprio a pochi giorni da Copenaghen questo materiale sia stato reso pubblico. Il Guardian si lancia addirittura in una excusatio non petita: “Non ci sono tracce di alcuna cospirazione tra climatologi, allora perché la risposta dell’Università dell’East Anglia è stata così patetica?”. In effetti dalla sola lettura delle e-mail è difficile parlare di complotto organizzato, ma si può notare una rete di connivenze, omertà e collusione votata allo scopo di dimostrare le proprie idee, più che trovare per esse conferme scientifiche. Così almeno la pensa Lord Lawson, Chairman della Global Warming Policy Foundation, che ieri ha chiesto che si apra un’inchiesta sui contenuti “molto gravi” delle mail, “che colpiscono al cuore l’integrità e la credibilità scientifica”. Scrive M.M. in una delle e-mail:
“Sappiamo tutti che in questo dibattito il problema non è affatto ciò che è vero o falso”.
Ognuno può avere gli amici che gli pare, ma certo non può non destare qualche sospetto la vicinanza che emerge dal materiale del Cru tra gli scienziati e certe organizzazioni ambientaliste dall’approccio spesso poco scientifico per quello che riguarda i cambiamenti climatici. Così ci sarebbe la richiesta a Greenpeace di un endorsement alla “causa” (sic) fatta appena prima della ratifica del protocollo di Kyoto, e la richiesta fatta dal Wwf australiano perché il Centro di ricerca alzi la percentuale di rischio di occorrenza di siccità ed eventi estremi in Australia, così che il Wwf possa fare un “big public splash”, un gran bel botto.
Detto questo, come ha scritto in un editoriale il blog Climate Monitor, sono i 3.500 file allegati alle e-mail la parte più interessante della storia.
E’ lì che chi se ne intende potrà verificare se e cosa sia stato occultato. “Se le e-mail del Cru possono essere aperte a interpretazioni, il codice commentato dal suo programmatore ci dice come sono andate le cose”, scriveva ieri il blog di Anthony Watts (http://www.wattsupwiththat.com/), un famoso meteorologo assai attivo nel blogsfera. Il codice in questione è il programma usato per costruire l’insieme delle temperature medie superficiali (il dataset), i cui dati provengono dalle osservazioni sparse per il mondo (sia terrestri sia superficiali) e che in sostanza è fondamentale per capire se fa più caldo o più freddo. Dopo essere stati trattati, ovvero normalizzati in una griglia, corretti in base a molti parametri, i dati vengono mediati su scala spaziale globale e su scala temporale mensile e resi pubblici. Il dataset si chiama “Hadcrut3” ed è una delle fonti più accreditate nello studio dell’andamento delle temperature. Nonostante le tante richieste di molti scienziati, questo codice non era mai stato rilasciato per intero. Un lettore particolarmente attento ha spulciato tra gli allegati trovandolo accompagnato da un’annotazione molto curiosa:
"Il programmatore del codice consiglia di “non inserire nel grafico (dati, ndr) successivi al 1960 perché questi saranno artificialmente aggiustati per sembrare più simili alle vere temperature”.
Si legge ancora sul blog di Anthony Watts: “I dati o raccontano la storia della natura oppure no. E dati che sono stati ‘artificialmente aggiustati per sembrare più simili alle vere temperature’ sono dati falsi, che portano a falsi risultati”. Sarà interessante vedere cosa succederà nei prossimi giorni e nelle settimane che ci separano dalla Conferenza sui cambiamenti climatici (dal 7 al 18 dicembre). Intanto la controffensiva è partita: i mezzi di informazione italiani non ne parlano (ieri è intervenuto il solo Luca Mercalli, meteorologo ospite fisso di “Che tempo che fa”, il programma di Fabio Fazio, che ha troncato la discussione dicendo che poiché le e-mail sono diventate pubbliche con un furto, e quindi illegalmente, non devono essere prese in considerazione) e quelli stranieri puntano ai tempi “sospetti”. Con tempismo invidiabile ieri l’Onu ha fatto sapere che “le concentrazioni di gas serra hanno raggiunto il più alto livello di sempre”, e per questo a Copenaghen gli Stati Uniti proporranno un obiettivo per il taglio della CO2. Quegli stessi Stati Uniti che, a oggi, sono i veri “killer” della Conferenza sul clima, dopo che Obama ha detto ai cinesi che in Danimarca non si deciderà un tetto alle emissioni, ma in pratica si rimanderà il tutto al prossimo anno. Resta da capire se tenedo conto delle rivelazioni di questi giorni o no.
«Il Foglio» del 24 novembre 2009
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