L'anniversario e il mito
di Henri Levy Bernard
Stiamo costruendo un nuovo mito: quello della «caduta-del-Muro-che-nessuno-aveva-previsto». Perché insomma, che nessuno abbia saputo nulla del momento in cui l'evento si sarebbe verificato, è probabile. Che lo scenario stesso dell'episodio, il concatenamento di cause e circostanze che finirono col farlo avverare, siano ancor oggi un enigma, d' accordo. Che nessuna spiegazione storica potesse renderne perfettamente conto, poiché le rivoluzioni quando appaiono sospendono sempre, per principio, la normale logica storica; che all'epoca fossimo testimoni di una sorta di miracolo che ci fece vedere i piccoli popoli delle piccole nazioni d'Europa centrale che toglievano alle grandi potenze il timone della grande Storia e si riappropriavano del proprio destino, è un'evidenza. Ma partire da questa evidenza per concludere che abbiamo assistito allo spettacolo in uno stato di totale stupore, passare dal fatto, vero, che l'evento era incalcolabile all'idea, sbagliata, che fosse inimmaginabile; insomma, concludere dal carattere straordinario di tale ribaltamento che il mondo intero aveva digerito la favola di un sovietismo imperituro, non è conforme né alla verità delle cose né alla memoria di coloro che ebbero la fortuna di vivere quel momento inaudito. Ricordo scrittori, da Shalamov a Solzenicyn, che avevano previsto con molta chiarezza il crollo del comunismo. Ricordo uomini e donne, chiamati dissidenti, che, come Andrei Amalrik che fin dal 1970 firmava un libro dal titolo inequivocabile «Sopravvivrà l'Unione Sovietica fino al 1984?», avevano dubbi solo riguardo alla data. Ricordo, per limitarmi a chi non c' è più, un altro saggista, il mio amico Jean-François Revel, che se non avesse creduto quei regimi agonizzanti, mai sarebbe stato tanto afflitto dalla «tentazione totalitaria» nelle democrazie, dalla «grande parata» alla quale esse si abbandonavano per compiacere gli uomini di pietra di un sovietismo anch'esso pietrificato, dalla loro incomprensibile, penosa, suicida «vigliaccheria». Ricordo Michel Foucault ripetere che qualsiasi formazione discorsiva e politica ha un atto di nascita, dunque un atto di decesso, e che anche questa formazione avrebbe finito, come le altre, col morire. Ricordo Giovanni Paolo II quando, evocando l'apparizione della Vergine Maria che fin dal 1917 annunciava la morte del comunismo ai tre pastorelli di Fatima, ci diceva senza giri di parole che l'ora tanto attesa non era più, a un tratto, molto lontana. Ricordo semplici persone che incontravo nei miei viaggi nella Cecoslovacchia, nella Polonia, nell' Urss di prima del 1989 e che sempre meno si lasciavano ingannare da una mistificazione che si reggeva ormai solo sulla paura o sulla ignavia di un «mondo libero» che tradiva i propri valori. In altri termini, stiamo confondendo tranquillamente due cose: vigliaccheria e cecità. Il fatto che non si sia voluto ascoltare e il fatto che nulla sia stato detto. Da un lato, l'atteggiamento dei Kissinger, Brandt o Giscard d' Estaing che sbattono la porta in faccia ai reietti dell'Est; quello della Thatcher o di Mitterrand che fecero di tutto, fino all' ultimo, per impedire la riunificazione tedesca e salvare quel che si poteva salvare del vecchio ordine; infine, quello di un ceto intellettuale che, è vero, nella sua immensa maggioranza, in Italia come in Francia, non ha trovato nulla da ridire sullo scandalo che collocava la metà dell' Europa in uno spazio, un tempo, una civiltà, definitivamente diversi; tutto questo lo stiamo confondendo con l'apparente mutismo dell'altra parte, con il lungo brontolio silenzioso dei popoli che, sul posto, avevano capito tutto da molto tempo e aspettavano l'ultima scintilla per osare dire che il re, cioè la dittatura, era nudo. Più di un errore, tale confusione è una colpa. È peggio di una leggenda, è una disinformazione. E questa disinformazione, lungi dal dissipare la menzogna, la fa vivere in un altro modo. È così che si cancellano, col pensiero, decenni di storia del pensiero e di lotta. Ed è così che si prepara il futuro, pieno di disillusioni, di una Storia riscritta, trafficata, revisionista. Non se ne può più della banalità, dei cliché ripetuti fino alla nausea; rendiamo onore a coloro che, con la propria testa e i propri piedi, hanno visto il crollo arrivare e l'hanno accelerato.
(traduzione di Daniela Maggioni)
«Corriere della sera» del 12 novembre 2009
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