13 novembre 2009

Il prezzo della sicurezza non può essere la paura

I diritti umani contro l'invadenza dello stato leviatano
di Guido Rossi
Il rapporto tra libertà e giustizia di fronte alle sfide del terrorismo: una proposta in difesa della civiltà giuridica
Nel ventennio della Convenzione dell’Onu sui diritti dei minori (1989) si è verificata una profonda modifica nella storia della società umana. La globalizzazione ha cambiato radicalmente la vita economica, politica e sociale dei popoli e degli individui, senza che i diritti umani, ma potrei più semplicemente dire il diritto, ne abbiano seguito e disciplinato l’evolversi. Delle «quattro libertà» che il presidente F. D. Roosevelt, già nel suo messaggio del 6 gennaio 1941 al Congresso americano, ripreso nella Carta atlantica, indicava come obiettivi della futura politica: «libertà di opinione, libertà di religione, libertà dal bisogno, libertà dalla paura», è proprio quest’ultima che oggi è più che mai venuta a mancare. Nel mondo globalizzato non è fiorita la libertà dalla paura, quanto piuttosto è emersa strisciante la schiavitù nella paura. Strisciante perché indissolubilmente legata all’affabulazione che domina la società dell’informazione, dei media e in generale di tutto il mondo politico e sociale.
È la protezione da parte dello Stato-nazione che ha finito dunque per creare anch’essa la paura e che per proteggere il cittadino è stata autorizzata a sospendere il diritto e a collocarsi al di sopra della legge. È allora su una prospettiva contraria che bisogna affrontare il problema. Più la società è impaurita, più i diritti, di qualsivoglia natura siano, devono porsi sopra le eccezioni, e quindi anche sopra le leggi, quando queste li infrangono. Le esigenze di sicurezza proposte dal Leviatano non possono prevaricare i diritti fondamentali, e qui intendo quelli genericamente considerati come diritti umani e/o diritti costituzionali, laddove le Costituzioni, almeno quelle che derivano dalla «Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino » del 1789 li prevedano. È a questo incrocio che l’orizzonte dei diritti si accomuna ai concetti di libertà e di giustizia, sicché la loro difesa può e deve contrastare, opporsi e persino negare le ragioni d’eccezione a loro contrarie, poste dalla pretesa di sicurezza. La tutela del cittadino lo fa altrimenti schiavo della paura e rinunciatario ai suoi fondamentali diritti.
Non è certo un caso che la più sconcertante antinomia fra Stato e diritti si sia storicamente evidenziata nel Terrore rivoluzionario francese, che è poi, e non solo lessicalmente, il fondamento derivativo del terrorismo attuale, cioè di quella Rivoluzione dalla quale sono nate le più importanti dichiarazioni universali dei diritti dell’uomo. Paura, sicurezza, diritti si confondono allora in un incerto e inquietante squilibrio, dove la prevaricazione diventa confusa mediazione politica, giuridica e civile. È così che la paura diventa terrore, e il terrorismo, senza né Stato né confine, giustifica guerre e violazioni di diritti civili, quelli che Norberto Bobbio ebbe a definire di prima generazione, e ai quali potremmo genericamente riferirci come diritti individuali fondamentali di libertà. Così ancora, di fronte alla paura del terrorismo, l’orizzonte dei diritti si oscura, fino a eclissarsi.
Sei settimane dopo l’11 settembre 2001, data della distruzione delle Twin Towers, viene emanato il «Patriot Act», il quale, oltre al resto, dà poteri al governo americano di procedere ad investigazioni segrete anche nelle case private di cittadini americani e persino di chiedere i tabulati delle persone che hanno acquistato libri e chiesto a prestito nelle pubbliche biblioteche libri che possono avere qualche attinenza con ideologie riferibili al terrorismo. Intanto nella guerra al terrorismo, più di seicentocinquanta detenuti nella base di Guantanamo (ma altri in Iraq, in Afghanistan, nell’Isola Diego Garcia nell’Oceano Indiano) vivono in condizioni definite «inumane», soggetti solo alle corti marziali, senza diritto alla difesa e senza alcuna possibilità di appello se non al presidente degli Stati Uniti o al ministro della Difesa. Il reclutamento dei presunti terroristi, privati di qualunque diritto, anche quello proprio dei prigionieri secondo la Convenzione di Ginevra, viene giustificato qualificandoli enemy combatants e di conseguenza, in quanto tali, privi di qualsivoglia diritto, anche quello di non subire torture d’ogni genere. La magia delle parole ridicolizza a volte il diritto. Il principio è che la sicurezza è prioritaria, sicché ogni misura iniqua o indegna, ancorché solo marginale o teorica, è giustificata
Fra le tante voci che si levano contro, vi è quella particolarmente autorevole di uno dei maggiori filosofi viventi, Ronald Dworkin, che denuncia il governo americano per la violazione dei diritti civili. Né il diritto penale, né il diritto di guerra ammettono che ragioni di sicurezza siano al primo posto e garantiscano l’applicazione del principio di eccezione, di derivazione schmittiana, per calpestare i diritti. Di fronte alle società impaurite dai pericoli, gli Stati sovrani aumentano la loro protezione nei confronti delle comunità in generale, obbligando a volte i singoli a seguire imposizioni che spesso neppure il più blando paternalismo giuridico potrebbe sopportare o giustificare, sottraendo loro altre volte i più elementari diritti, quale quello certamente più conculcato, cioè il diritto alla privacy, o altre volte imponendo sanzioni o scatenando punizioni ingiuste e palesemente inique. È questo, dunque, così inquietante e negativo l’orizzonte dei diritti nell’era moderna?
La risposta è no. La dottrina dei diritti umani, apparsa dal 1945, in modo dirompente sulla scena internazionale ha soffocato le ambizioni di distruzione e di violenza del Leviatano, imponendo spesso alla comunità mondiale l’affermazione di principi di democratizzazione degli Stati e la condivisione di diritti umani che sopravanzano la sovranità dei singoli Stati. La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo approvata il 10 dicembre 1948 dalle Nazioni Unite ne è un compendio, cui sono poi seguite Convenzioni a livello universale, fra le quali quella, che compie vent’anni, sui diritti dei minori (1989). Se il sistema dei diritti umani è il primo pilastro che deve interrompere la violenza del Leviatano, il secondo altrettanto importante e che pure ha una straordinaria valenza storica è quello dell’applicazione dei princìpi giuridici laddove la norma positiva sia inadeguata. Il problema dei princìpi e della loro validità negli ordinamenti giuridici è stato da tempo indagato soprattutto nell’ambito della filosofia del diritto ed è andato di pari passo con quella straordinaria categoria giuridica che va sotto il nome di «Rule of Law». Principi e norme, paritetici fondamenti dei diritti, la cui applicazione deve essere rispettosa della realtà per evitare che il mondo del diritto diventi iniquo e ingiusto. La conclusione è che i diritti umani e i principi di un «Rule of Law» (globalizzato), che non manca certo di tradizione nei maggiori nostri pensatori, a partire da G.B. Vico, sono il più civile orizzonte dei diritti che, invano, il Leviatano per fugare la paura tende sempre più a conculcare.
«Corriere della sera» del 13 novembre 2009

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