Destra e sinistra
di Pierluigi Battista
Dopo 15 anni, chi dovrebbe spingere alla pacificazione preferisce indossare la divisa del piromane Quando il dibattito politico diventa odio tra nemici
L'odio non è il carburante del conflitto politico, ma la sua degenerazione. E se il cardinal Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale, esorta a riporre le armi dell'odio politico, è segno che la degenerazione sta raggiungendo in Italia soglie allarmanti. Anche perché la politica dell' odio è il frutto amaro di una disillusione. Il tramonto delle ideologie non ha incivilito il conflitto politico. Malgrado le prediche (inutili) l'avversario resta pur sempre un Nemico. In una democrazia le teste si contano: ma resiste caparbia, nelle viscere dell'Italia bellicosa e militante, la tentazione piuttosto di tagliarle, le teste. In un umiliante confronto con ciò che normalmente accade nelle altre democrazie d' ccidente. Fa parte dell' eterno «carattere» italiano questa spinta irresistibile alla guerra civile strisciante, al fratricidio, al trionfo dello spirito di fazione? Edmondo Berselli, nel libro omaggio d'amore alla sua labrador Liù, ricorda i versi di Toti Scialoja: «Il sogno segreto dei corvi di Orvieto/ è mettere a morte i corvi di Orte». Lo spaventoso vuoto di idee e di progetti è compensato dall' attesa dell' annichilimento simbolico del nemico. Si occupa il tempo confidando nell' intervento salvifico della ghigliottina. O delle manette. O della censura. Il bipolarismo politico viene stravolto nelle pulsioni primitive del bipolarismo antropologico. A sinistra e a destra si coltiva irresponsabilmente il mito avariato delle «due» Italie incapaci di riconoscersi a vicenda, di legittimarsi reciprocamente, di concepire una lotta politica anche feroce se non nelle movenze di una guerra totale per la vita e per la morte. I politici impegnati nei duelli da talk-show non parlano: strillano, danno sulla voce, coprono con l'insulto la sobria prosaicità dell'argomentazione logica. La razionalità politica è soppiantata dalla retorica dell'indignazione. L'Italia politicamente perdente è convinta che il governo sia usurpato da una banda di malfattori. Quella vincente è ossessionata dalla sindrome del complotto, della trama oscura che gli sconfitti starebbero slealmente tessendo per rovesciare il verdetto delle urne. Riaffiorano mali antichi dell'Italia. Ma l'appello ai tempi lunghi della storia non può assolvere le colpe dei protagonisti della cronaca. Se dopo 15 anni non si è esaurito, o almeno ridotto di dosi accettabili, il serbatoio dell'odio politico è perché chi dovrebbe imprimere una poderosa spinta alla moderazione, alla pacificazione, alla normalizzazione, preferisce invece indossare la divisa del piromane. È l'ennesima frattura che si apre tra la società e la sua rappresentanza politica. Malgrado la crisi, per fortuna non si avvertono in Italia le scosse dell'odio sociale. In compenso non si estingue l'odio politico. Nella società, le due Italie convivono: talvolta malamente, ma convivono. È sulla scena politica (e giornalistica, purtroppo) che invece si recita la rappresentazione teatrale dell'odio. Un odio post-ideologico, ma non per questo meno tossico. Un pulviscolo avvelenato che stagna ai vertici del conflitto politico e sembra incombere come una maledizione su quella che dovrebbe essere un' aperta competizione tra le parti. «Basta odio», è l'appello del cardinal Bagnasco. Per non lasciarsene sommergere per i prossimi quindici anni.
«Corriere della Sera» dell'11 novembre 2009
Nessun commento:
Posta un commento