La dittatura di Pol Pot in Cambogia aveva causato 1,7 milioni di vittime
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L'ex direttore del carcere S-21: «Ho fatto parte del regime e mi spiace per le vittime. Ma non avevo altra scelta»
MILANO - Una condanna a 40 anni di prigione è stata chiesta per Duch, il capo della prigione del regime dei Khmer rossi di Pol Pot, in Cambogia, dove si calcola che 15.000 persone siano state torturate e uccise tra il 1975 e il 1979. Il procuratore internazionale William Smith, a sorpresa, non ha chiesto l'ergastolo per l'accusato, il cui vero nome è Kaing Guek Eav, giudicato per crimini di guerra e crimini contro l'umanità per aver diretto la prigione nota come «S-21». «La sola pena appropriata sarebbe l'ergastolo» - ha precisato Smith - «ma diversi fattori inducono a commutare la pena». Tra questi, ha citato i quasi dieci anni di detenzione provvisoria già subita, parte della quale giuridicamente illegale, e la sua «parziale» cooperazione con la corte, nonchè il suo «contributo alla riconciliazione nazionale».
RICHIESTA DI PERDONO - Prendendo la parola dopo la richiesta formulata dall'accusa, Kaing Guek Eav ha riconosciuto di «essere stato un membro delle forze di Pol Pot, e di conseguenza di essere psicologicamente responsabile, di fronte all'intera popolazione cambogiana, per le anime dei morti». Duch (si pronuncia «Doik»), che aveva già chiesto più volte perdono per la morte di 15 mila persone nel carcere-simbolo del genocidio cambogiano, ha aggiunto di essere «profondamente rammaricato e colpito da una distruzione di scala così ampia».
SCELTA OBBLIGATA - Nonostante l'apparente pentimento, Duch, 67 anni, si è anche però sempre difeso sostenendo di non aver avuto altra scelta che eseguire gli ordini, altrimenti sarebbe stato ucciso. La fine del processo, il primo contro un ex membro del regime costato 1,7 milioni di morti, è prevista per marzo 2010.
RICHIESTA DI PERDONO - Prendendo la parola dopo la richiesta formulata dall'accusa, Kaing Guek Eav ha riconosciuto di «essere stato un membro delle forze di Pol Pot, e di conseguenza di essere psicologicamente responsabile, di fronte all'intera popolazione cambogiana, per le anime dei morti». Duch (si pronuncia «Doik»), che aveva già chiesto più volte perdono per la morte di 15 mila persone nel carcere-simbolo del genocidio cambogiano, ha aggiunto di essere «profondamente rammaricato e colpito da una distruzione di scala così ampia».
SCELTA OBBLIGATA - Nonostante l'apparente pentimento, Duch, 67 anni, si è anche però sempre difeso sostenendo di non aver avuto altra scelta che eseguire gli ordini, altrimenti sarebbe stato ucciso. La fine del processo, il primo contro un ex membro del regime costato 1,7 milioni di morti, è prevista per marzo 2010.
«Corriere della sera» del 25 novembre 2009
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