Se dei ricercatori insegnano teorie poi rivelatesi false, ciò rientra nel normale cammino del «progresso». Ma se càpita alla religione, essa verrà ritenuta colpevole nei secoli dei secoli
di Andrea Vaccaro
Una specie di barzelletta nata in circoli proscienza ultraortodossi presenta la signora addetta alle pulizie di un grande polo universitario che, nel giorno del suo pensionamento, si reca per il saluto nell’ufficio del rettore: «Ascolti, ho lavorato per tanti anni qui e non mi sono mai lamentata di nulla, ma oggi glielo voglio proprio dire: i professori del Dipartimento di filosofia sono ordinatissimi, non c’è mai un foglio appallottolato nel cestino; ma quelli del Dipartimento di fisica sono dei gran pasticcioni, cartocci dappertutto, appunti svolazzanti e lavagne piene di scarabocchi!
». Il rettore, con tono comprensivo: «La spiegazione è semplice, signora. I fisici elaborano ipotesi, fanno calcoli e poi li verificano. Spesso si accorgono di aver sbagliato e ricominciano daccapo. I filosofi, invece, scrivono i loro pensieri astratti, poi si rileggono e, anche se non sono molto soddisfatti, scrollano le spalle e dicono: vabbé, tanto è metafisica …!». In effetti, è un’idea molto diffusa che le proposizioni scientifiche, rispetto a quelle filosofiche, possiedano una sorta di bollino di garanzia. Dinanzi al refrain: «Lo dice la scienza!» raramente si sollevano obiezioni, tanto che, con una punta di critica, l’epistemologo Paul Feyerabend osservava che «c’è la separazione tra Stato e Chiesa, ma non c’è nessuna separazione tra Stato e scienza!».
Anche quando una teoria scientifica viene sorpassata e sostituita da un’altra, non si va molto più in là di espressioni tenui quali «cambio di paradigma» o «riorientamento gestaltico ». Della complessa opera di inizio anni Sessanta La struttura delle rivoluzioni scientifiche di Thomas Kuhn è sopravvissuta soprattutto la componente apologetica, secondo cui una teoria scientifica che è a tutti gli effetti un’anticaglia rimane pur sempre «vera» nel quadro delle conoscenze e dei dati sperimentali dell’epoca in cui si è affermata. Così, però, non è leale.
Se una comunità religiosa ha errato una volta nel corso della sua storia, ciò rimane una macchia indelebile che per alcuni, addirittura, invalida le capacità veritative di detta comunità nei secoli dei secoli. Se è una comunità scientifica, invece, ad insegnare una credenza fallace, questo rientra nella fisiologia del progresso epistemico e non inficia la validità del suo statuto e del suo metodo. L’astronomia tolemaica – per attenersi all’esempio più eclatante tra quelli menzionati da Kuhn – passava, ai suoi tempi, come una teoria scientifica esatta, ma in realtà, senza attorcigliare troppo le parole, era semplicemente sbagliata. La scienza ha insegnato e «vestito» di oggettività, dunque, teorie sbagliate. Addirittura, poi, la logica del progresso scientifico può avere risvolti totalmente diversi da quelli desiderati dai suoi propugnatori. Se ogni impalcatura concettuale deve essere ineluttabilmente rimpiazzata (per superamento, perfezionamento o rivoluzione) da un’altra, ecco che l’unica cosa che rimane ferma in questo divenire è proprio la certezza che le cosiddette «verità» scientifiche di ogni epoca, compresa la nostra, appariranno, nei secoli futuri, credenze primitive, se non propriamente errate.
La conoscenza scientifica è indubitabilmente da riconoscere come uno dei più lodevoli sforzi dell’umanità ed uno dei doni più preziosi dell’intelligenza, ma, per guadagnare i gradi della verità, tanto dovrà ancora correre, ipotizzare e poi accartocciare. Una piccola vendetta nei confronti dei colleghi scienziati da parte dei professori del Dipartimento di filosofia. Quelli, per intenderci, con i cestini vuoti.
». Il rettore, con tono comprensivo: «La spiegazione è semplice, signora. I fisici elaborano ipotesi, fanno calcoli e poi li verificano. Spesso si accorgono di aver sbagliato e ricominciano daccapo. I filosofi, invece, scrivono i loro pensieri astratti, poi si rileggono e, anche se non sono molto soddisfatti, scrollano le spalle e dicono: vabbé, tanto è metafisica …!». In effetti, è un’idea molto diffusa che le proposizioni scientifiche, rispetto a quelle filosofiche, possiedano una sorta di bollino di garanzia. Dinanzi al refrain: «Lo dice la scienza!» raramente si sollevano obiezioni, tanto che, con una punta di critica, l’epistemologo Paul Feyerabend osservava che «c’è la separazione tra Stato e Chiesa, ma non c’è nessuna separazione tra Stato e scienza!».
Anche quando una teoria scientifica viene sorpassata e sostituita da un’altra, non si va molto più in là di espressioni tenui quali «cambio di paradigma» o «riorientamento gestaltico ». Della complessa opera di inizio anni Sessanta La struttura delle rivoluzioni scientifiche di Thomas Kuhn è sopravvissuta soprattutto la componente apologetica, secondo cui una teoria scientifica che è a tutti gli effetti un’anticaglia rimane pur sempre «vera» nel quadro delle conoscenze e dei dati sperimentali dell’epoca in cui si è affermata. Così, però, non è leale.
Se una comunità religiosa ha errato una volta nel corso della sua storia, ciò rimane una macchia indelebile che per alcuni, addirittura, invalida le capacità veritative di detta comunità nei secoli dei secoli. Se è una comunità scientifica, invece, ad insegnare una credenza fallace, questo rientra nella fisiologia del progresso epistemico e non inficia la validità del suo statuto e del suo metodo. L’astronomia tolemaica – per attenersi all’esempio più eclatante tra quelli menzionati da Kuhn – passava, ai suoi tempi, come una teoria scientifica esatta, ma in realtà, senza attorcigliare troppo le parole, era semplicemente sbagliata. La scienza ha insegnato e «vestito» di oggettività, dunque, teorie sbagliate. Addirittura, poi, la logica del progresso scientifico può avere risvolti totalmente diversi da quelli desiderati dai suoi propugnatori. Se ogni impalcatura concettuale deve essere ineluttabilmente rimpiazzata (per superamento, perfezionamento o rivoluzione) da un’altra, ecco che l’unica cosa che rimane ferma in questo divenire è proprio la certezza che le cosiddette «verità» scientifiche di ogni epoca, compresa la nostra, appariranno, nei secoli futuri, credenze primitive, se non propriamente errate.
La conoscenza scientifica è indubitabilmente da riconoscere come uno dei più lodevoli sforzi dell’umanità ed uno dei doni più preziosi dell’intelligenza, ma, per guadagnare i gradi della verità, tanto dovrà ancora correre, ipotizzare e poi accartocciare. Una piccola vendetta nei confronti dei colleghi scienziati da parte dei professori del Dipartimento di filosofia. Quelli, per intenderci, con i cestini vuoti.
«Avvenire» del 19 novembre 2009
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