Dopo l'articolo di Della Loggia
di Gherardo Colombo
Caro Direttore, le scrivo a proposito dell'articolo di Ernesto Galli della Loggia «Scuola - Così la democrazia diventa catechismo», pubblicato sul Corriere di domenica 8 novembre. Sono più d'uno i punti sui quali la mia opinione diverge da quella dell'autore. Il primo riguarda la presentazione della questione. Per evidenziare l'invasività del nuovo insegnamento, il professor Galli della Loggia ricorre ad un numero: 429 sono le ore che - dai sei ai 18 anni - ciascun giovane dovrà dedicare all' apprendimento di «Cittadinanza e Costituzione». Certo, il numero non è insignificante, ma si tratta, come rileva anche il professore, di un'ora alla settimana: circa un trentesimo delle ore passate a scuola, ogni settimana, dagli studenti (e alle elementari, peraltro, l'insegnamento non è obbligatorio, ma solo suggerito). È la metà o un terzo delle ore dedicate all'educazione fisica, a seconda dei gradi scolastici. Gli altri insegnanti, pertanto, potranno continuare a proporre la Cultura e l'Istruzione senza eccessivo timore che questo nuovo insegnamento soffochi la libera formazione dell' identità dei discepoli. Il secondo riguarda il contenuto della Cultura e dell'Istruzione nel nostro Paese: è proprio sicuro il professor Galli della Loggia che la scuola proponga prospettive culturali davvero tanto varie da consentire una sufficiente possibilità di scegliere il modello che più aggrada? La nostra scuola non è, forse, fatta di cultura nord-occidentale? Magari monca, talora, di parti importanti di quel pensiero che non del tutto si confà con il cattolicesimo? E non le succede di ignorare, quasi del tutto, il pensiero filosofico e religioso che stanno fuori di quel modello? Sono allora, i nostri ragazzi, davvero liberi di formarsi la loro identità, o non sono piuttosto liberi di formarsi l'identità del nord-occidentale (vorrei si tenesse conto che non si tratta di una critica, ma di una constatazione)? Il terzo ha a che fare con la natura della Costituzione. Secondo il professore, insegnandola, la Costituzione «viene sottratta alla dimensione storico-politica, che è e dovrebbe essere propriamente l'unica sua», e trasformata in una sorte di vangelo, di religione politica. Ora, però, oltre ad avere (nelle sue origini) una dimensione storico-politica, la Costituzione è (attualmente) una legge. Anzi, non una legge, ma la legge fondamentale, la prima legge del nostro stare insieme. Vogliamo che si continui - come si è fatto finora - a non preoccuparsi che i cittadini conoscano la prima legge alla quale sono chiamati a rispondere? Non è che, per caso, la Costituzione debba essere conosciuta anche da chi intenda modificarla? Attraverso la discussione in classe gli insegnanti potrebbero ricongiungere la dimensione storica della Costituzione con il suo essere legge e dibattere con gli studenti quali parti siano attuali e quali invece attuabili. Non discuterne sarebbe forse meglio? Il fatto che sia legge evidenzia un altro aspetto, questa volta pratico. Quando si acquista una nuova auto, una nuova lavatrice, un nuovo software per la gestione della biblioteca, generalmente lo strumento è accompagnato da un libretto di istruzioni. Se approfondiamo solo un po' la riflessione, ci accorgiamo che gran parte del nostro tempo è dedicata non a guidare l'auto, a fare il bucato, a catalogare e rendere reperibili i nostri libri, a pedalare sulla cyclette o a dedicarsi ad altre occupazioni simili. No, la gran parte del nostro tempo è dedicata a intrecciare e mantenere rapporti, a intessere relazioni, a decidere quali comportamenti assumere nei confronti delle persone con le quali siamo in contatto. Dove sono le istruzioni per le relazioni? Certo, i «libretti» sono tanti, e spesso provengono proprio dalla Cultura e dall'Istruzione come le ha descritte Ernesto Galli della Loggia. Ma quelle istruzioni non bastano, è anche necessario conoscere gli aspetti più pratici, tipo «se giri la chiave si accende il motore». La Costituzione è anche un «libretto di istruzioni», è il primo riferimento per quel che riguarda i rapporti con le altre persone, quello che ti dice il perché e il per come del funzionamento della società nella quale vivi. Mi chiedo, sempre più spesso, se l'elevato livello di trasgressività alle leggi e il dilagare dell'arroganza non dipendano anche dalla generale scarsa conoscenza della Costituzione. Su una cosa sono d'accordo con il professor Galli della Loggia: Cultura ed Istruzione non si impongono. Ma Cultura ed Istruzione si possono proporre, e credo sia difficile proporre ciò che non si condivide. E credo, contemporaneamente, che non sia né scandaloso né disdicevole proporre la cultura che promana dalla nostra legge fondamentale. Forse, anzi, è una cosa che va fatta. Prestando, certo, attenzione alle opinioni divergenti, ma nello stesso tempo sottolineando gli aspetti, oltre che legali, anche storici e culturali che hanno portato a scriverla e ad adottarla. Ed evidenziando il perché essa si basa sul rispetto reciproco, considerato l'antidoto ai drammi e alle tragedie che le persone avevano concretamente vissuto nella prima metà del secolo scorso. Certo, sarebbe bello - anche qui concordo con il professor Galli della Loggia - che la nostra Costituzione venisse insegnata mentre si trattano le altre materie, ma credo che oggi non tutti gli insegnanti ne sarebbero capaci. Ed allora ecco che è necessario, a mio parere, introdurre quell'ora settimanale di Cittadinanza e Costituzione. «Corriere della Sera» del 13 novembre 2009
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La risposta
Ideologia invece di Cultura Così nasce uno Stato etico
di Ernesto Galli Della Loggia
Tralascio le obiezioni minori che il dottor Colombo mi muove per concentrarmi su quelle più importanti. Non prima di avergli fatto notare però, e ribadito, che l'attenzione (critica) verso il nuovo insegnamento di «Cittadinanza e Costituzione» non dipende dall'ammontare di ore, più o meno alto, ad esso dedicate, bensì dal valore altamente sintomatico che a mio giudizio la sua introduzione nel nostro ordinamento scolastico riveste. Sintomatico di che cosa? Della trasformazione strisciante che da anni, come ho scritto, investe la scuola italiana: da luogo di apprendimento di contenuti disciplinari e di esperienza in prima persona dei connessi valori e forme culturali - dove essenzialmente per questa via si realizza la formazione della personalità morale e civile dei discepoli - ad agenzia educativa dedita alla prescrittiva somministrazione diretta di tavole di valori (l'educazione stradale, alimentare, affettiva, adesso l'educazione alla «cittadinanza» e alla «Costituzione») meccanicamente desunte da un dover essere civico-ideologico. Per l'appunto l'Educazione al posto dell'Istruzione, l'Ideologia al posto della Cultura. Su questo mutamento della «missione», del senso del nostro sistema scolastico, che era poi il cuore del problema che intendevo sollevare, mi avrebbe fatto piacere conoscere l'opinione del dottor Colombo, che invece preferisce intrattenersi su quello che a suo giudizio sarebbe il carattere parziale e limitato della cultura che si insegna nelle scuole italiane. Perché, egli scrive, si tratterebbe esclusivamente della «cultura nord-occidentale», la quale, aggiunge, «manca, talora, di parti importanti del pensiero che non del tutto si confà con il cattolicesimo». In verità non capisco bene che cosa sia questa «cultura nord-occidentale». È per caso la cultura che partendo dalle radici greco-latine si è riversata poi nello stampo cristiano e attraverso l'Umanesimo, il Rinascimento e l'Illuminismo è arrivata fino a noi? Ma se è questa (dove però il Nord, mi permetto di osservare, c' entra come i cavoli con la merenda), quale altra cultura, mi domando, bisognerebbe secondo il dottor Colombo studiare nelle nostre scuole? E a quale altra cultura, del resto, appartengono i libri che solitamente pubblica la casa editrice Garzanti di cui il dottor Colombo stesso è Presidente? Alla cultura degli Inuit? A quella islamica? E quali sono, mi chiedo ancora, «le parti importanti del pensiero che non si confà con il cattolicesimo» che la cultura «nord-occidentale» insegnata nelle nostre scuole ignorerebbe? Lutero e Spinoza, Nietzsche e Freud, Marx e Darwin, Foucault e Lévi-Strauss mi pare che qualche posto ce l'abbiano. E allora? O forse tutto si riduce a un semplice cedimento alla voga anticattolica che oggi va per la maggiore in certi ambienti? Vengo infine alla Costituzione. Caro dottor Colombo, parliamoci chiaro: qui non si tratta affatto di «insegnare cosa dice la Costituzione» (obiettivo più che lodevole, ovviamente) ovvero, per dirla con le sue parole, di spiegare ai giovani «il libretto d'istruzione» rappresentato dalla Carta. Non è questo che si prefigge l'insegnamento «Cittadinanza e Costituzione». E neppure esso intende - come lei scrive - «proporre la cultura che promana dalla nostra legge fondamentale» (il che costituirebbe già un significativissimo salto di qualità perché saremmo comunque passati dalla norma alla «cultura» della norma). L'insegnamento in parola si propone ben altro: e cioè di fare della norma costituzionale - prolungata e articolata nelle modalità per loro natura più estese della categoria di «cittadinanza» - il valore primo, la matrice suprema dei nostri valori non solo sociali (che pure sarebbe non piccola cosa) ma anche personali. Matrice suprema e in certo senso - proprio perché di origine costituzionale - giuridicamente obbligatoria. Eticizzare la Costituzione vuol dire questo. Poiché alla fine, però, una Costituzione è «solo» la carta giuridico-politica di uno Stato, farne un fatto etico vuol dire, che lo si voglia o no, gettare le premesse per uno Stato etico. Magari democratico, non discuto. Ma a me non piace lo stesso.
«Corriere della Sera» del 13 novembre 2009
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