In Asia centrale la «grande carestia» fu più massiccia che in Ucraina: le scoperte d’archivio dello storico Niccolò Pianciola
di Antonio Giuliano
«Dal 1931 al ’33 l’azione di Mosca per controllare il grano nelle steppe causò un milione e mezzo di morti tra i contadini, un terzo della popolazione di quel tempo»
Che l’Asia centrale fosse una regione strategica se ne accorsero già i grandi conquistatori del passato, da Alessandro Magno a Gengis Khan. E tuttavia per quest’area geografica non c’è mai stata pace.
Sebbene oggi le riserve petrolifere e di gas naturali facciano gola alle potenze mondiali, Paesi come il Kazakistan o l’Uzbekistan scontano tuttora, come pochi altri, le conseguenze del comunismo sovietico.
Dopo anni di ricerche negli archivi ex sovietici, Niccolò Pianciola, docente di Storia dell’Europa orientale all’Università di Trento, ha ricostruito il mosaico di orrori perpetrato da Stalin e compagni nei territori centroasiatici e l’ha illustrato nel documentato volume Stalinismo di frontiera. Colonizzazione agricola, sterminio dei nomadi e costruzione statale in Asia centrale (Viella, pp. 548, euro 40).
Professor Pianciola, perché i kazachi soffrirono più di ogni altra popolazione sovietica la «rivoluzione dall’alto staliniana »?
«Nel biennio 1931-33, quasi 1 milione e mezzo di kazachi (di cui circa tre quarti erano pastori e un quarto agricoltori) morirono durante la grande carestia. Furono vittima della guerra dello stato sovietico contro i contadini per il controllo del grano: i kazachi subirono le requisizioni di grano e divennero l’ultima grande riserva di bestiame dell’Urss. Il prelevamento di bestiame nel 1931 privò i pastori della loro più importante fonte di sussistenza, e la morte di massa iniziò nell’autunno di quell’anno».
Non furono gli ucraini a patire l’esperienza più tragica con l’«Holodomor », (l’uccisione per fame, ndr)?
«Nella carestia morirono un terzo dei kazachi e un quinto degli ucraini. Anche se l’Holodomor ucraino uccise più persone, circa 3,3 milioni di individui.
Però in Ucraina, che costituiva il granaio sovietico, la carestia non fu organizzata dallo Stato. Fu l’imprevista conseguenza delle politiche di Stalin.
Solo dall’autunno del 1932, la carestia divenne un’arma per costringere i contadini al lavoro nelle fattorie collettive e alla consegna del grano. In Kazakistan, nel periodo 1928-1933, l’attacco alla società rurale rese i sopravvissuti totalmente di- pendenti dallo Stato e sancì la definitiva integrazione dei kazachi alle istituzioni sovietiche».
Ma il colonialismo zarista non fu altrettanto repressivo in Asia centrale?
«Il regime zarista fu infinitamente meno aggressivo di quello sovietico nel promuovere trasformazioni economiche e culturali. Era un colonialismo che aveva lasciato in buona parte intatto il sistema sociale e, identificando i locali nella categoria giuridica degli 'allogeni', li separava dagli altri sudditi dell’Impero (per la fiscalità o per gli obblighi militari, ad es.). Il sistema sovietico era invece 2inclusivo': le diverse popolazioni dovevano essere acculturate ai valori bolscevichi e questo significava la messa fuori legge di pratiche sociali e culturali radicate, tra cui quelle religiose».
Oggi invece, sul piano religioso, il fondamentalismo islamico è una minaccia per queste aree?
«L’ateismo di stato, e più ancora singoli provvedimenti repressivi come lo sterminio di due generazioni di dotti islamici nel 1937-38, hanno causato l’interruzione per molti anni degli stretti rapporti che univano l’area centroasiatica alle restanti regioni del mondo musulmano. Tuttavia, la diffusione di ideologie e gruppi di impronta fondamentalista non è stata molto significativa negli ultimi vent’anni in Asia Centrale, anche per il successo delle politiche repressive dei governi. Solo in Tajikistan è presente un partito legale che si rifà a un ideologia islamista. Del resto, l’Urss ha avuto successo nel secolarizzare le popolazioni ».
Come mai la caduta del Muro di Berlino sembra non sia stata avvertita da queste parti?
«Molto è cambiato, anche se c’è stata una forte continuità della classe politica. Islam Karimov e Nursultan Nazarbaev, attuali presidenti rispettivamente dell’Uzbekistan e del Kazakistan, erano già al potere nelle loro repubbliche sovietiche prima del 1991. Petrolio e gas costituiscono una ricchezza enorme per i governi di questi Stati che sfruttano queste risorse per consolidare un solido sistema clientelare. Dopo la catastrofe demografica, le conseguenze maggiori dello stalinismo sono state di tipo culturale, con la perpetuazione di modelli autoritari di gestione del potere. Senza dimenticare le deportare di intere popolazioni e le trasformazioni del sistema produttivo. La storia di quest’area è ancora poco conosciuta, ma è di grande interesse perché riguarda i totalitarismi europei e il colonialismo, il comunismo e le società islamiche.
Senza lo studio dell’esperienza sovietica in questi territori, non si può capire il presente dell’Asia Centrale».
Sebbene oggi le riserve petrolifere e di gas naturali facciano gola alle potenze mondiali, Paesi come il Kazakistan o l’Uzbekistan scontano tuttora, come pochi altri, le conseguenze del comunismo sovietico.
Dopo anni di ricerche negli archivi ex sovietici, Niccolò Pianciola, docente di Storia dell’Europa orientale all’Università di Trento, ha ricostruito il mosaico di orrori perpetrato da Stalin e compagni nei territori centroasiatici e l’ha illustrato nel documentato volume Stalinismo di frontiera. Colonizzazione agricola, sterminio dei nomadi e costruzione statale in Asia centrale (Viella, pp. 548, euro 40).
Professor Pianciola, perché i kazachi soffrirono più di ogni altra popolazione sovietica la «rivoluzione dall’alto staliniana »?
«Nel biennio 1931-33, quasi 1 milione e mezzo di kazachi (di cui circa tre quarti erano pastori e un quarto agricoltori) morirono durante la grande carestia. Furono vittima della guerra dello stato sovietico contro i contadini per il controllo del grano: i kazachi subirono le requisizioni di grano e divennero l’ultima grande riserva di bestiame dell’Urss. Il prelevamento di bestiame nel 1931 privò i pastori della loro più importante fonte di sussistenza, e la morte di massa iniziò nell’autunno di quell’anno».
Non furono gli ucraini a patire l’esperienza più tragica con l’«Holodomor », (l’uccisione per fame, ndr)?
«Nella carestia morirono un terzo dei kazachi e un quinto degli ucraini. Anche se l’Holodomor ucraino uccise più persone, circa 3,3 milioni di individui.
Però in Ucraina, che costituiva il granaio sovietico, la carestia non fu organizzata dallo Stato. Fu l’imprevista conseguenza delle politiche di Stalin.
Solo dall’autunno del 1932, la carestia divenne un’arma per costringere i contadini al lavoro nelle fattorie collettive e alla consegna del grano. In Kazakistan, nel periodo 1928-1933, l’attacco alla società rurale rese i sopravvissuti totalmente di- pendenti dallo Stato e sancì la definitiva integrazione dei kazachi alle istituzioni sovietiche».
Ma il colonialismo zarista non fu altrettanto repressivo in Asia centrale?
«Il regime zarista fu infinitamente meno aggressivo di quello sovietico nel promuovere trasformazioni economiche e culturali. Era un colonialismo che aveva lasciato in buona parte intatto il sistema sociale e, identificando i locali nella categoria giuridica degli 'allogeni', li separava dagli altri sudditi dell’Impero (per la fiscalità o per gli obblighi militari, ad es.). Il sistema sovietico era invece 2inclusivo': le diverse popolazioni dovevano essere acculturate ai valori bolscevichi e questo significava la messa fuori legge di pratiche sociali e culturali radicate, tra cui quelle religiose».
Oggi invece, sul piano religioso, il fondamentalismo islamico è una minaccia per queste aree?
«L’ateismo di stato, e più ancora singoli provvedimenti repressivi come lo sterminio di due generazioni di dotti islamici nel 1937-38, hanno causato l’interruzione per molti anni degli stretti rapporti che univano l’area centroasiatica alle restanti regioni del mondo musulmano. Tuttavia, la diffusione di ideologie e gruppi di impronta fondamentalista non è stata molto significativa negli ultimi vent’anni in Asia Centrale, anche per il successo delle politiche repressive dei governi. Solo in Tajikistan è presente un partito legale che si rifà a un ideologia islamista. Del resto, l’Urss ha avuto successo nel secolarizzare le popolazioni ».
Come mai la caduta del Muro di Berlino sembra non sia stata avvertita da queste parti?
«Molto è cambiato, anche se c’è stata una forte continuità della classe politica. Islam Karimov e Nursultan Nazarbaev, attuali presidenti rispettivamente dell’Uzbekistan e del Kazakistan, erano già al potere nelle loro repubbliche sovietiche prima del 1991. Petrolio e gas costituiscono una ricchezza enorme per i governi di questi Stati che sfruttano queste risorse per consolidare un solido sistema clientelare. Dopo la catastrofe demografica, le conseguenze maggiori dello stalinismo sono state di tipo culturale, con la perpetuazione di modelli autoritari di gestione del potere. Senza dimenticare le deportare di intere popolazioni e le trasformazioni del sistema produttivo. La storia di quest’area è ancora poco conosciuta, ma è di grande interesse perché riguarda i totalitarismi europei e il colonialismo, il comunismo e le società islamiche.
Senza lo studio dell’esperienza sovietica in questi territori, non si può capire il presente dell’Asia Centrale».
«Avvenire» del 26 novembre 2009
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