di Ilaria Ramelli
Alla lettera scritta dal siriaco Mara bar Serapion a suo figlio Sarapion, studente, negli anni Settanta del I secolo d. C. ho dedicato articoli e un capitolo nei miei Stoici Romani Minori ( Bompiani 2008); ne ho anche fornito la prima traduzione italiana. È in un codice siriaco dei secoli VI- VII contenente anche testi in cui la fede cristiana si unisce a temi filosofici e letterarî della cultura greca.
La stessa lettera di Mara è ricca di temi filosofici e interessava i cristiani per la menzione di Gesù in essa, una delle prime che si trovino in fonti pagane, se non forse la prima.
Esortando il figlio a fare altrettanto, Mara diceva di avere studiato la filosofia greca. Ne seguiva le dottrine, specialmente ( neo) stoiche. Il suo interesse per la filosofia ha paralleli ad esempio in quello di un re siriaco per lo stoico Musonio, come ho studiato in Sileno nel 1999.
Gli studi compiuti da lui e dal figlio indicano che erano benestanti e altolocati.
Cureton ascriveva la lettera al padre cristiano di Serapione, futuro vescovo di Antiochia.
Ma l’autore non è un cristiano. Schultheß faceva di Mara uno stoico non cristiano e datava la lettera non oltre la fine del III secolo. Aufhauser la datò al 73- 160 d. C. Come suggerì Blinzler e come ho dimostrato, la lettera non può risalire a molto dopo il 73 d. C., alludendo alla deposizione del re Antioco IV di Commagene da parte dei Romani nel 73 d. C. di cui parla Giuseppe Flavio; l’ex- re esulò da Samosata, occupata dagli invasori, con molti altri.
Anche Zöckler e Eisler, Ewald, Bickell, Mazzarino e Millar hanno datato la lettera a poco dopo il 73. Averincev ritiene che Mara sia vissuto nei più antichi tempi cristiani, che menzioni Gesù, e che sia influenzato soprattutto dallo stoicismo, dati su cui concordano anche Speidel e Tieleman. Dei tre momenti a cui potrebbero riferirsi le circostanze della lettera, la cacciata di cittadini da Samosata e l’esilio a Seleucia, il primo è la conquista romana della Commagene del 72 d. C.; il secondo è la guerra romano- partica del 161- 166 d. C.; il terzo è la lotta fra Shahpur I e Valeriano nel 256 d. C. Ma solo il primo si adatta a quanto dice Mara.
Nel 256 Samosata fu presa dai Persiani, mentre ai tempi di Mara la città era stata conquistata dai Romani. Nel 161- 166 la provincia di Siria fu invasa dai Parti, riconquistata dai Romani, occupata dai Parti e definitivamente posta sotto controllo romano: ma le fonti non menzionano Samosata, e la lettera di Mara non parla di Parti ma solo di Romani.
Resta il 72- 73 d. C., allorché i Romani, con Cesennio Peto, conquistarono la Commagene provocando la fuga del re vassallo e dei suoi da Samosata, la capitale: la dinastia della Commagene, come poi quella dell’Osroene, cessò e la Commagene fu amministrata dai Romani.
Mara esprime fiducia che i Romani non tratteranno lui e i suoi compatrioti come i padroni trattano gli schiavi e che troveranno in loro dei fidi sudditi: lasciandoli tornare in patria, i Romani mostreranno la loro vera grandezza. Anche il figlio di Mara è stato trasferito in un altro paese.
Mara però spera in un rilascio e le sue proteste di fedeltà ai Romani assomigliano a quelle di Abgar Ukkama di Edessa, sia nella corrispondenza con Tiberio sia in altre mosse diplomatiche, come ho studiato in Aevum nel 1999.
Anche i contenuti filosofici della lettera, con forti paralleli con lo stoicismo romano, indicano una datazione alta. Dopo gli anni ’ 80 del II secolo, infatti, questa scuola si esaurì.
Giustino nel II secolo include uno stoico tra i suoi insegnanti di filosofia.
Panteno, maestro di Clemente, attivo ad Alessandria nel II secolo, è definito da Eusebio « filosofo stoico » . Per McVey, Mara era neopitagorico e medio/ neoplatonico. Ma non credendo nell’immortalità dell’anima, non poteva essere platonico. Per McVey, se Mara fosse stato stoico, avrebbe incluso Zenone di Cizio tra i saggi perseguitati. A parte la debolezza dell’argumentum ex silentio, i testi che ella invoca si riferiscono a Zenone di Elea. Anche Chin considera la lettera un tardo esercizio retorico, tipo khreia: la parte finale è una battuta arguta. Ma l’aneddoto finale fu aggiunto successivamente, come il carteggio Musonio-Apollonio di Tiana, che è un esercizio retorico e non fa parte delle sue Diatribe, autentiche.
La stessa lettera di Mara è ricca di temi filosofici e interessava i cristiani per la menzione di Gesù in essa, una delle prime che si trovino in fonti pagane, se non forse la prima.
Esortando il figlio a fare altrettanto, Mara diceva di avere studiato la filosofia greca. Ne seguiva le dottrine, specialmente ( neo) stoiche. Il suo interesse per la filosofia ha paralleli ad esempio in quello di un re siriaco per lo stoico Musonio, come ho studiato in Sileno nel 1999.
Gli studi compiuti da lui e dal figlio indicano che erano benestanti e altolocati.
Cureton ascriveva la lettera al padre cristiano di Serapione, futuro vescovo di Antiochia.
Ma l’autore non è un cristiano. Schultheß faceva di Mara uno stoico non cristiano e datava la lettera non oltre la fine del III secolo. Aufhauser la datò al 73- 160 d. C. Come suggerì Blinzler e come ho dimostrato, la lettera non può risalire a molto dopo il 73 d. C., alludendo alla deposizione del re Antioco IV di Commagene da parte dei Romani nel 73 d. C. di cui parla Giuseppe Flavio; l’ex- re esulò da Samosata, occupata dagli invasori, con molti altri.
Anche Zöckler e Eisler, Ewald, Bickell, Mazzarino e Millar hanno datato la lettera a poco dopo il 73. Averincev ritiene che Mara sia vissuto nei più antichi tempi cristiani, che menzioni Gesù, e che sia influenzato soprattutto dallo stoicismo, dati su cui concordano anche Speidel e Tieleman. Dei tre momenti a cui potrebbero riferirsi le circostanze della lettera, la cacciata di cittadini da Samosata e l’esilio a Seleucia, il primo è la conquista romana della Commagene del 72 d. C.; il secondo è la guerra romano- partica del 161- 166 d. C.; il terzo è la lotta fra Shahpur I e Valeriano nel 256 d. C. Ma solo il primo si adatta a quanto dice Mara.
Nel 256 Samosata fu presa dai Persiani, mentre ai tempi di Mara la città era stata conquistata dai Romani. Nel 161- 166 la provincia di Siria fu invasa dai Parti, riconquistata dai Romani, occupata dai Parti e definitivamente posta sotto controllo romano: ma le fonti non menzionano Samosata, e la lettera di Mara non parla di Parti ma solo di Romani.
Resta il 72- 73 d. C., allorché i Romani, con Cesennio Peto, conquistarono la Commagene provocando la fuga del re vassallo e dei suoi da Samosata, la capitale: la dinastia della Commagene, come poi quella dell’Osroene, cessò e la Commagene fu amministrata dai Romani.
Mara esprime fiducia che i Romani non tratteranno lui e i suoi compatrioti come i padroni trattano gli schiavi e che troveranno in loro dei fidi sudditi: lasciandoli tornare in patria, i Romani mostreranno la loro vera grandezza. Anche il figlio di Mara è stato trasferito in un altro paese.
Mara però spera in un rilascio e le sue proteste di fedeltà ai Romani assomigliano a quelle di Abgar Ukkama di Edessa, sia nella corrispondenza con Tiberio sia in altre mosse diplomatiche, come ho studiato in Aevum nel 1999.
Anche i contenuti filosofici della lettera, con forti paralleli con lo stoicismo romano, indicano una datazione alta. Dopo gli anni ’ 80 del II secolo, infatti, questa scuola si esaurì.
Giustino nel II secolo include uno stoico tra i suoi insegnanti di filosofia.
Panteno, maestro di Clemente, attivo ad Alessandria nel II secolo, è definito da Eusebio « filosofo stoico » . Per McVey, Mara era neopitagorico e medio/ neoplatonico. Ma non credendo nell’immortalità dell’anima, non poteva essere platonico. Per McVey, se Mara fosse stato stoico, avrebbe incluso Zenone di Cizio tra i saggi perseguitati. A parte la debolezza dell’argumentum ex silentio, i testi che ella invoca si riferiscono a Zenone di Elea. Anche Chin considera la lettera un tardo esercizio retorico, tipo khreia: la parte finale è una battuta arguta. Ma l’aneddoto finale fu aggiunto successivamente, come il carteggio Musonio-Apollonio di Tiana, che è un esercizio retorico e non fa parte delle sue Diatribe, autentiche.
«Avvenire» del 17 novembre2009
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