09 luglio 2007

«Inutile»: un aggettivo adatto a tutte le censure

Da Augusto a San Paolo fino alle rivoluzioni: migliaia di libri sono stati bruciati con lo stesso pretesto
di Luciano Canfora
Il cardinale Baronio bruciò le sue poesie giovanili. Augusto, al tempo suo, aveva vietato al bibliotecario che governava la biblioteca bilingue fondata dallo stesso Augusto di rendere accessibili al pubblico le poesie giovanili di Giulio Cesare. L’apostolo Paolo ad Efeso agevola la «spontanea» decisione, da parte di coloro che «praticavano attività oziose», di bruciare i propri libri in piazza (Atti 19, 19). La scienza «oziosa» è lì definita anche «curiositas» (traduzione di Gerolamo). Nella Prima lettera ai Corinzi (1, 20) esaltava l’annichilimento della scienza «profana» «resa stolta da Dio» («quae a Deo stulta facta est»). E Fozio, illuminato patriarca «umanista» della Chiesa di Costantinopoli, deposto bensì per ragioni politiche, fu però accusato, tra il plauso dei legati pontifici venuti da Roma, di insegnare ai suoi adepti appunto la scienza profana. Il meccanismo innescato da tali accuse poteva risultare micidiale. Secondo una leggenda semi-storiografica di origine araba, il califfo Omar avrebbe ordinato la distruzione delle preziose collezioni di libri di Alessandria perché «inutili» se conformi - nel contenuto - a quanto già si legge nel Corano e altrimenti dannose, se in contrasto con esso. La cultura araba aveva in sé anticorpi autocritici (come del resto quella greco-bizantina), se seppe dar vita ad un siffatto aneddoto, certo non animato da intento edificante. Ma dal libro unico al libretto rosso il passo è, purtroppo, assai breve. Ed è una pena che si debbano ogni volta fare i necessari passi indietro (dopo essersi spinti fino allo spasmo dell’intolleranza) attraverso ragionamenti più o meno sofistici miranti a conciliare culture dichiarate - quando prevale il fanatismo - inconciliabili. Gerolamo, dotto padre della Chiesa e affettuosa calamita di signore adoranti (non certo un «padre Sergio»!), quasi si pentiva e si puniva per la propria predilezione verso Plauto: ma per fortuna comunque lo leggeva, e ha anche fatto molto per elaborare quei sofismi che ci hanno salvato (in parte) la cultura antica, altrimenti destinata all’annichilimento in quanto «stulta». Anche la Rivoluzione francese fu (tra le molte cose che fu) una durissima «rivoluzione culturale», con punte di estremismo distruttivo, che abili e illuminati «sofisti» seppero (in parte) contenere. Come quell’abate di Saint-Léger, insigne bibliografo e adoratore del romanzo erotico greco, che seppe fermare con un buon ragionamento la proposta di distruggere i libri della Bibliothèque Royale (ormai Nationale) e sostituirli con dei riassunti da affidare all’editore Didot. Come «inutili» furono allora distrutte tonnellate di libri ecclesiastici (messali, libri di devozione ma non solo) confiscati ai conventi e accatastati nei dépôts. Per evitare il peggio furono chiamati, a salvare il salvabile, uomini di «vecchia» cultura che si erano messi al servizio della Rivoluzione (i vari Barbier, Chardon de la Rochette, Saint-Léger stesso). E ci volle, al tempo della nuova rivoluzione «culturale», quella bolscevica, tutto il duro «patriottismo russo» di Stalin per riportare nelle scuole e nelle accademie della nuova Russia lo studio dell’impero di Bisanzio e dell’antica Russia di Ivan IV e dei suoi successori, laddove nei furori dell’«anno uno» della Rivoluzione s’era decretato che la storia si doveva studiare a partire dalla Comune di Parigi, «inutile» essendo tutta quella precedente. «Inutile». Plinio il Vecchio, uno scienziato che simboleggia la scelta di vita per la conoscenza, leggeva e annotava libri in ogni possibile momento della sua operosa giornata. Soleva dire - racconta il nipote in una lettera - che «non c’è libro cattivo da una cui pagina non si possa trarre un minimo di utile». Aveva ragione.
« Corriere della Sera » del 22 maggio 2007

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