Lo studioso francese attacca l’atteggiamento masochista degli intellettuali europei
di Danilo Taino
Pascal Bruckner: l’ideologia penitenziale ci disarma di fronte al pericolo islamista
Per ora, Nicolas Sarkozy conquista gli intellettuali. Ma cosa succederebbe se fossero les intellos a conquistare la mente e l’agenda del candidato alla presidenza francese? E poi, a maggio, «Sarko» vincesse l’Eliseo? Beh, è vero che la Francia non ha mai visto un presidente dare retta ai pensatori, ma una parte del fascino di Sarkozy sta nella capacità di sorprendere. E, comunque, la domanda si forma da sola se si legge il saggio La tirannia della penitenza (Guanda), lavoro di Pascal Bruckner, romanziere, saggista, noveau philosophe che fino a poco tempo fa era attratto da Ségolène Royal, ma adesso - come molti altri della fu sinistra parigina - appoggia l’uomo dell’Ump. Avremmo un neocon al cuore del Vecchio Continente? Bruckner sostiene che l’Occidente e soprattutto l’Europa vivono in gran parte sotto un cielo grigio, nuvole dense create dal senso di colpa per il passato e per la superiorità dell’Ovest in fatto di libertà, democrazia, scienza. Nuvole - denuncia - create e tenute gonfie da un’«ideologia balbuziente», dalla tradizione dell’antioccidentalismo «che va da Montaigne a Sartre e che instilla relativismo e dubbio», e da una élite di sacerdoti del pensiero che incitano all’autoaccusa e alla fustigazione pubblica. «La casta degli intellettuali, alle nostre latitudini, è la casta penitenziale per eccellenza, erede diretta del clero dell’Ancien Régime». È il confronto con l’Islam, ovviamente, il punto critico dell’analisi di Bruckner. Di fronte all’aggressività di una parte del mondo musulmano - in Medio Oriente, in Asia, ma anche nelle nostre società - la cultura dominante europea risponde arretrando, negando nei fatti i suoi valori e spesso facendosi travolgere. Le accuse di colonialismo e di corruzione morale dell’Occidente, che servono ai movimenti radicali islamici per giustificare l’aggressività, trovano un ventre molle tra la maggioranza degli intellettuali e dei politici europei, in particolare in Francia. Se il terrorismo ci colpisce, scatta il riflesso condizionato per il quale qualche colpa l’avremo pure; se Al Qaeda abbatte le Torri gemelle, schiere di «progressisti» ci raccontano che gli americani sono pur sempre responsabili dei mali del mondo. «Così come esistono predicatori di odio nell’islamismo radicale, esistono predicatori di vergogna nelle nostre democrazie, soprattutto fra le élite intellettuali, e la loro capacità di fare del proselitismo non è trascurabile». Il risultato è un abbaglio ideologico tragico che Bruckner - fatte le proporzioni - paragona a quello dei vecchi comunisti, i quali, pur sapendosi innocenti, confessavano colpe immaginarie di fronte alle accuse dello stalinismo. «L’europeo medio, uomo o donna che sia, è un essere straordinariamente sensibile, sempre pronto ad attribuirsi la colpa della povertà dell’Africa, a impietosirsi di fronte alle sofferenze di un mondo di cui si ritiene responsabile, e a chiedersi cosa possa fare lui per il Sud, invece di interrogarsi su cosa il Sud possa fare per se stesso». Da giovane, Bruckner (oggi ha 58 anni) ha scritto due libri assieme ad Alain Finkielkraut, l’intellettuale francese che, nei giorni delle rivolte delle banlieue, creò un caso quando sostenne che le società multirazziali ci mettono poco a diventare anche multirazziste. Ora, di Finkielkraut non condivide la rivalorizzazione assoluta del colonialismo, inteso come nobile tentativo di «portare educazione e civiltà ai selvaggi». Ciò nonostante, ritiene che la questione dell’espansione di conquista, dell’impero - interessi centrali anche dei neocon americani - siano essenziali per capire e spiegare il disorientamento dell’uomo europeo frastornato da globalizzazione, ondate migratorie, minacce alla sua sicurezza. E distingue tra colonialismo, fenomeno politico condannabile, e colonizzazione, che può essere giudicata - dice - solo sul piano storico: sarebbe difficile sostenere, duemila anni dopo, che la colonizzazione della Gallia da parte dei Romani fu negativa o che l’influsso arabo sulla Spagna non abbia contribuito a creare una civiltà ricchissima. Insomma, noi occidentali non abbiamo un debito, sempre e comunque, verso il resto del mondo. È vero che la civiltà europea è stata capace di atrocità. Ma anche di opere sublimi. Soprattutto - qui sta la sua grandezza rispetto ad altre - sa creare gli antidoti alla sua stessa barbarie, riesce ad analizzare se stessa e a migliorarsi perché è aperta. È quel lucido fenomeno caratteristico dell’Occidente che non è tanto la lotta tra il Bene e il Male, ma, nella formula laica di Raymond Aron, la lotta di ciò che è preferibile contro ciò che è detestabile. Ma se la lotta non è tra Bene e Male, lo spirito autocritico non può diventare assoluto, totem in sé: pena la sua trasformazione in dogma. Ed è invece questo, secondo Bruckner, quello che sta succedendo nel Vecchio Continente: «Dal rifiuto dei dogmi nasce il dogma tutto nuovo della demolizione». Messa in politica, fatta entrare all’Eliseo, l’analisi di Bruckner costringerebbe la Francia e l’Europa di oggi a smettere di camminare a testa in giù, a cambiare il loro stesso modo di essere. Perché il senso di colpa è «un alibi per la nostra abdicazione», dietro di esso si nasconde la rinuncia a essere qualcosa nel mondo, addirittura il tentativo di separarsi da esso: si accettano le colpe e ci si carica sulle spalle «il monopolio della barbarie» in cambio della «triste cuccagna del supermercato, del tenore di vita, dell’edonismo». No, Sarkozy che dà retta a les intellos non sarebbe semplicemente un presidente neocon (Bruckner non lo è nemmeno). Costringerebbe il Vecchio Continente e rimettersi in piedi: che è di più.
«Corriere della sera del 22 febbraio 2007
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