Il senso dell’edizione critica
di Cesare Segre
di Cesare Segre
L’autore si fece lui stesso editore del suo capolavoro
Perché un testo letterario venga letto nel modo più genuino, si esige di averne un’«edizione critica»; questo sigillo di garanzia viene spesso sbandierato. Ma che cosa significa «edizione critica»? Significa, si dice, un’edizione che rispecchi esattamente la volontà dell’autore. È allora chiaro perché, per i classici della letteratura, ci si affanni a preparare edizioni critiche. Ma all’atto pratico, la volontà dell’autore non è sempre facile da individuare, anche se si dispone degli autografi e delle bozze e delle stampe. È appunto il caso dei Promessi sposi, pubblicati dal Manzoni nel 1827 e poi, nel testo definitivo, tra il 1840 e il 1842. Fra le due edizioni si riscontrano grossi mutamenti, anche in seguito al mutare della concezione linguistica dell’autore, che decise nell’ultima edizione di adottare le forme (e i vocaboli) del fiorentino parlato, abbandonando l’italiano letterario che aveva usato nell’edizione del ‘27. Per quale ragione gli autografi e le stampe non ci danno sempre risposte definitive? Perché se la stampa rappresenta, in linea di principio, l’ultima volontà dello scrittore, è anche possibile che essa esibisca lezioni dovute alla distrazione o alla presunzione del tipografo; d’altro canto l’attestazione dell’autografo non è sempre decisiva, perché può essere stato l’autore a voler mutare. Insomma, ogni minimo cambiamento va soppesato col bilancino. C’è poi un altro fatto, interessante e complicato. Il Manzoni (come altri scrittori, tra cui l’Ariosto, Vasari e Cervantes) leggeva sistematicamente i fascicoli di stampa appena usciti dai torchi tipografici; se gli veniva in mente qualche ritocco, faceva cambiare la composizione così da accoglierlo. Perciò per le stesse pagine (anzi per ogni otto pagine, equivalenti a un foglio di stampa o «segnatura») abbiamo due o più «tipi» differenti. E si aggiunga che, per economia, Manzoni non poteva gettare via le «segnature» anteriori alle sue ultimissime correzioni; perciò ogni esemplare del romanzo è diverso dagli altri, avendo in certe «segnature» le correzioni del Manzoni, in altre le lezioni originarie, pur sempre del Manzoni. Dato che correzioni di questo genere si moltiplicano per decine o centinaia di volte, ci si rende conto che il testo è in preda a una vera fluidità. Questa problematica fu approfondita dai primi, benemeriti editori critici del romanzo, Michele Barbi, Fausto Ghisalberti e Alberto Chiari, fra il 1934 e il 1958.
Ci ritorna ancora, dopo anni di lavoro, Luca Badini Confalonieri, allestendo un testo critico dell’ultima edizione dei Promessi sposi, minutamente giustificato anche in ideale dialogo con i suoi predecessori (A. Manzoni, I promessi sposi. Storia della Colonna infame, edizione critica e commentata a cura di L. Badini Confalonieri, Salerno Editrice, pp. 864; è accluso un volume di Commento e apparati, pp. 236; il tutto per 190). Il curatore premette la storia della strana decisione presa dal Manzoni: farsi lui stesso editore del suo capolavoro. La prima redazione, del 1827, aveva avuto un successo straordinario; ma, appunto per questo, aveva subito la concorrenza, per dir così, delle edizioni pirata, in tempi e situazioni che non permettevano di tutelare i diritti d’autore. Si deve infatti considerare che il romanzo veniva venduto a dispense, una ogni quindici giorni, e uno svelto falsario poteva ogni volta allestire una dispensa uguale. Il Manzoni pensò che, pubblicando lui stesso (tramite la tipografia Guglielmini e Redaelli) un’edizione fittamente illustrata della sua opera, sul modello dei migliori libri del Romanticismo, avrebbe messo in difficoltà i malintenzionati. Avviò dunque la ricerca di un buon illustratore, decidendo per Francesco Gonin; cercò pure gl’incisori in legno che realizzassero i suoi disegni. E all’équipe si aggiunsero, saltuariamente, altri disegnatori. L’azzardo di questa impresa fu aggravato dal fatto che la tiratura prevista, di 5.000 copie, fu subito portata dal Manzoni a 10.000, col risultato che rimasero invenduti più di 5.000 esemplari. Un bel salasso per le sue finanze non opulente. Le illustrazioni costituiscono un elemento artistico, ma anche filologico in più. Il Manzoni le progettò con cura, e ne seguì l’esecuzione, sempre intervenendo sui disegnatori e gl’incisori. Perciò le illustrazioni, di cui il Manzoni indicava persino la misura e la posizione nel libro in costruzione, fanno parte integrante del romanzo, come la critica ha sempre meglio messo in luce: si vedano i lavori di Salvatore S. Nigro, tra cui la sua edizione nei «Meridiani», e dello stesso Badini Confalonieri, che nel commento considera le figure elemento integrante per la comprensione del testo. Questa splendida edizione, tipograficamente identica a quella del 1840, ne riproduce esattamente i caratteri e ne conserva l’impaginazione, compresa la disposizione di ogni illustrazione, riprodotta con i suoi efficaci chiaroscuri in ariose pagine in 8°, incluse nella fine cornice originale. Il testo viene a superare per qualità i singoli esemplari dell’originale, perché, come s’è detto, ne ha corretto gli errori e ha costantemente scelto quelle che paiono le ultime volontà del Manzoni. Il quale sarebbe stato certo lieto di rileggersi in questa edizione; salvo magari ricominciare a correggere...
«Corriere della sera» del 15 febbraio 2007
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