di Massimo Piattelli Palmarini
In un lavoro pubblicato su «Nature Neuroscience» un’équipe di ricercatori della Facoltà di Psicologia dell’Università San Raffaele di Milano, guidata da Concetta Morrone, in collaborazione con colleghi di St. Louis Missouri, della Fondazione Stella Maris di Pisa e del Cnr di Firenze guidati da David Burr, e con colleghi australiani, dimostra che il nostro sistema visivo costruisce molto presto una mappa oggettiva del mondo circostante e non, come si sarebbe supposto, una mappa basata sulle proiezioni soggettive sulla nostra retina. L’espressione «molto presto», in questo caso, ha una misura precisa: appena due o tre connessioni neuronali a valle della retina. La dottoressa Sofia Crespi del San Raffaele spiega il succo di questa scoperta. «E’ noto - dice - che ogni immagine retinica viene vista in parallelo da più di 50 "schermi cerebrali" che la scindono nelle diverse componenti e ne studiano, separatamente, i differenti aspetti quali la forma, il colore, la profondità e il movimento. Nel cervello dell’uomo, ma anche della scimmia, sono dunque presenti innumerevoli mappe dette in gergo "retinotopiche", nelle quali cellule nervose spazialmente vicine ricevono informazioni da altre cellule nervose che sono anch’esse contigue nella retina: mappe topografiche che indicano dunque una specializzazione funzionale di quel pezzetto di corteccia cerebrale». L’area cerebrale dove viene codificata l’informazione sul movimento degli stimoli visivi è la corteccia medio-temporale, abbreviata in MT. Quest’area dista solo poche stazioni di connessione nervosa dall’area corticale che per prima riceve l’informazione visiva ed effettua un’analisi preliminare, ma altamente specializzata, delle caratteristiche del movimento. Concetta Morrone e David Burr spiegano perché i loro risultati sono sorprendenti: «E’sorprendente scoprire come il cervello, già dopo due o tre sinapsi dalla retina, riesca a liberarsi dell’architettura che connette ogni neurone a gruppi di fotorecettori specifici e costruisca una rappresentazione, una "telecamera", che non è più solidale con gli occhi ma col mondo esterno. Fino ad oggi si è pensato che quest’area fosse organizzata secondo una mappa retinotopica. Ora abbiamo invece dimostrato che questa regione, nella specie umana, organizza la sua attività in una mappa che riproduce le posizioni spaziali del mondo esterno anche secondo un codice di tipo spaziotopico». Il metodo da loro adottato è la risonanza magnetica funzionale. Il soggetto sperimentale, sdraiato nello scanner della risonanza, osservava su uno schermo degli stimoli di movimento piccoli ma sufficienti a generare una risposta forte da parte dell’area MT. Precedenti esperimenti avevano dimostrato che tale regione è sensibile alla posizione spaziale di questi stimoli di movimento, ma solo quando lo stimolo viene proiettato in particolari regioni del campo visivo. Si è così potuto mostrare che la risposta dell’area MT rimaneva coerente con la posizione dello stimolo di movimento sullo schermo (si noti bene, sullo schermo, cioè nel mondo esterno) e non sulla retina. I deficit nella percezione del movimento, nella costruzione di una rappresentazione spaziale del mondo e nell’orientamento nello spazio che mostrano i pazienti con la malattia di Alzheimer, potrebbero essere, quindi, ricondotti ad una disfunzione dell’area MT. A meno di quattro passi (neuronali) dalla pura soggettività già siamo immersi nello spazio oggettivo. Diffidiamo, quindi, di coloro che invitano a rannicchiarsi nelle nostre sensazioni immediate per trovare il vero. Le neuroscienze cognitive mostrano, una volta di più, che per noi è subito realtà. E’ il reale che è immediato, mentre il soggettivo è una costruzione sempre piuttosto malcerta.
«Corriere della sera» del 20 febbraio 2007
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