«Una pietra che mette fine ai negazionismi ormai antistorici. Parole forti soprattutto perché vengono da un post comunista»
di Lucia Bellaspiga
Non chiedevano altro, da decenni: essere creduti. Ieri hanno avuto molto di più: un presidente della Repubblica italiana che parla di «pulizia etnica», ma soprattutto di «congiura del silenzio». E che riconosce come proprio questi sessant'anni di silenzio siano stati «la fase meno drammatica ma più amara e demoralizzante». «Parole che ho visto espresse con reale commozione di uomo, prima ancora che di capo dello Stato», commenta Lucio Toth, esule da Zara, da 15 anni presidente dell'Associazione nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, senatore democristiano negli anni '80 e '90, «durante la dissoluzione della Jugoslavia e la nascita dell'autonomismo istriano».
Dopo il negazionismo dei decenni passati, in tempi recenti erano già giunte importanti ammissioni dal mondo della sinistra e dalle istituzioni, ma mai come oggi.
Nelle parole di Napolitano c'è la conferma di quanto già detto da Ciampi un anno fa, con tutta l'attenzione al riconoscimento che l'Italia deve ai profughi e alle vicende del confine nord-orientale. Ma in più ho notato una forza di pensiero politico capace di affrontare passaggi fondamentali che legano la nostra vicenda alla nascita e alla formazione della democrazia italiana nel dopoguerra.
Un discorso che nessuno ha osato contestare, una pietra definitivamente posta sui tanti colpevoli negazionismi, ormai antistorici.
Napolitano ha invitato a ricordare queste dolorose pagine come parte della storia di tutti gli italiani. Ha fatto capire che ciò che è successo a noi, in quelle regioni d'Italia, è successo quindi al popolo italiano. Che è una vicenda nazionale. In questa sua consapevolezza trovo un forte senso di appartenenza che finalmente supera le divisioni politiche, aprendo veri spazi di riconciliazione sia all'interno del Paese, sia verso i popoli sloveno e croato, quando li invita a «un solenne impegno di ristabilimento della verità».
Che cosa intende, Napolitano, con questo appello esplicito?
È una risposta garbata alle affermazioni negazioniste del presidente croato Stepjan Mesic, che solo una decina di giorni fa aveva giustificato le foibe, tra l'altro fingendo di credere che gli eccidi non fossero avvenuti in regioni italiane. Ricordo che quando i massacri delle foibe furono compiuti, Pola, Pisino, Fiume, Zara, come Trieste e Gorizia, erano Italia! I partigiani di Tito non erano in casa loro ma in un Paese occupato a guerra finita, e volevano solo la pulizia etnica, come ha detto Napolitano. La stessa stampa croata ha attaccato Mesic, condannando esplicitamente la "strage di italiani" e anche le decine di migliaia di croati e sloveni a loro volta epurati da Tito perché non comunisti.
A questo proposito, le dichiarazioni del presidente acquisiscono una forza ancora più straordinaria perché vengono da un politico che per decenni è stato anima del comunismo italiano.
Già da Violante e Fassino in questi anni abbiamo ascoltato importanti ammissioni e sincere aperture. Ma è la prima volta in assoluto che un capo dello Stato parla di «pulizia etnica» e di un silenzio che è stato «congiura». E solo un comunista poteva dirlo: Napolitano ha il coraggio e la legittimazione a parlare che gli viene proprio dall'avere alle spalle una biografia che affonda le sue radici nel comunismo. Non ha timore a riconoscere le colpe del suo stesso partito. Solo lui può permettersi davvero di affermare cose che chi non viene da quella tradizione non può dire. O comunque non con la stessa valenza.
Uno stop ai negazionisti di certa sinistra antistorica, dicevamo. Ma si spera anche di certa destra che scende in strada in vostra "difesa" con bandiere nere e simboli sinistri, urlando slogan ben lontani dalla civilissima cultura giuliano-dalmata.
Noi come esuli rifiutiamo qualsiasi strumentalizzazione. Per decenni abbiamo chiesto che la sinistra ammettesse la verità, oggi che lo fa c'è chi dice «eh no, troppo tardi». Così non si finisce mai: se qualcuno vuole riaprire le ferite a scopi di parte, si mette al di fuori della storia e anche delle forze politiche presenti in Parlamento. Esattamente al pari dei negazionisti, come la storica slovena che l'altro giorno a La Spezia è stata fischiata perché ha osato sostenere che nella foiba di Basovizza ci sono solo carcasse di cavalli anziché migliaia di vittime umane... Due espressioni dello stesso anacronismo.
«Avvenire» del 11 febrraio 2007
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