06 febbraio 2007

Se l’Europa abbandona Hirsi Ali e Pamuk, i suoi figli «irregolari»

di Pierluigi Battista
Un tempo gli irregolari e gli eretici conoscevano un luogo ospitale e tollerante che si chiamava Europa. Invece oggi chi coltiva pensieri fastidiosi e anticonformisti dall’Europa scappa per raggiungere rifugi più sicuri. Sarà una coincidenza, però è significativo che lo scrittore Orhan Pamuk si dice abbia intenzione di chiedere asilo all’America per fuggire da quella stessa Turchia che oggi reclama il suo ingresso in Europa. Del resto, perché la Turchia dovrebbe adeguarsi a un modello di tolleranza ormai smarrito? Quali rigidi standard in tema di libertà intellettuale può ormai vantare un’Europa che reagisce con il silenzio e con l’indifferenza se alcuni cittadini europei vengono ridotti al silenzio, braccati, costretti ad emigrare in un altro continente per far perdere le proprie tracce? Indifferenza e silenzio che sono ancora un privilegio, visto che il destino ha regalato addirittura il sovrappiù del dileggio per i nuovi perseguitati. Proprio sul Corriere Stefano Montefiori ha raccontato il duello a distanza che sta impegnando ormai da tempo intellettuali del calibro di Mario Vargas Llosa, Ian Buruma, Timothy Garton Ash e Pascal Bruckner. Oggetto del contendere è la sorte amara di Ayaan Hirsi Ali, la sceneggiatrice di Submission di Theo Van Gogh. Nell’Olanda libera e tollerante la Hirsi Ali è stata minacciata della stessa fine capitata al suo regista, assassinato da un commando jihadista secondo le regole di un omicidio rituale e il cui nome è stato eliminato da tutti i festival cinematografici (europei). È stata invitata ad andarsene dai vicini di casa impauriti. La sua battaglia contro il fanatismo islamista è stata accolta con fastidio. E alla fine, per respirare un po’di libertà, ha deciso di andarsene in America, come Luigi Sturzo e Gaetano Salvemini costretti a lasciare l’Italia fascista. E qual è il pensiero dominante di Timothy Garton Ash di fronte a una vicenda di cui tutti noi europei dovremmo vergognarci? Per attaccare il «fondamentalismo dell’Illuminismo» Garton Ash solleva un dubbio decisivo per giudicare la Hirsi Ali: «Alta, attraente, esotica, per i giornalisti è irresistibile. Non le manchiamo di rispetto se notiamo che, fosse stata bassa, brutta e strabica, le sue vicende e i suoi punti di vista avrebbero ricevuto minore attenzione». Davvero? «Minore attenzione» di quella pressoché nulla che le si riserva, malgrado l’avvenenza della sua esotica figura (la foto in copertina sull’Observer di ieri non cambia la situazione)? Nulla come quella dedicata al professor Robert Redeker: forse se l’Europa assiste con imperturbabilità al caso di un signore costretto a nascondersi in Francia per aver scritto ciò che pensava è perché il protagonista non è uomo dotato di irresistibile fascino. O forse, molto più realisticamente, perché ci stiamo abituando a considerare normale che una fatwa possa essere lanciata «nel Paese di Voltaire», come recita il titolo di un nuovo libro in cui Redeker racconta la sua terribile storia, senza che qualcuno si indigni. Per aver scritto un articolo sul Figaro in cui paragonava l’islamismo a «una ideologia totalitaria», Redeker è stato pubblicamente minacciato di morte, ha perso il suo posto di lavoro, ha dovuto cambiare casa, nascondersi, perdersi nella morte civile. Nessuno parla più del suo caso, l’intimidazione ha sortito esattamente l’effetto voluto. Scapperà anche lui in America, Redeker? Troverà un nascondiglio assieme alla Hirsi Ali e a Pamuk? Penserà all’Europa come alla terra più feroce e inospitale, la versione sfigurata e deforme dell’Europa tollerante di un tempo? E agli intellettuali europei che cercheranno di troncare, sopire, e schernire i nuovi perseguitati?
«Corriere della sera» del 5 febbraio 2007

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