Il caso del fisico scomparso misteriosamente nel 1938 ritorna in una serie di libri
di Claudio Magris
Col suo gesto mise in crisi la scienza Per favore, non chiamatelo strano
Di verità, sul caso Majorana, ne emergono di continuo, come riferiva qualche giorno fa sul Corriere, in un incisivo e forte articolo Dino Messina soffermandosi sulla più recente di queste ricostruzioni e congetture, il saggio di Paolo Simoncelli, Tra scienza e lettere, che si aggiunge alla nutrita serie di libri dedicati al geniale fisico e alla sua geniale sparizione; ai libri - per citarne solo alcuni - di Bruno Russo (Ettore Majorana. Un giorno di marzo, ed. Flaccovio), di Erasmo Recami (Il caso Majorana, ed. Mondadori) e altri, fra i quali il più celebre resta il saggio-romanzo La scomparsa di Majorana di Leonardo Sciascia (ed. Einaudi, Adelphi). Queste verità sono soltanto illazioni; non aiutano - non possono aiutare, in assenza di nuovi dati di fatto - a sapere cos’è veramente accaduto all’inquieto e fulmineo scienziato svanito nel nulla in una notte del marzo 1938. Il testo più presente rimane quello di Sciascia, non perché sia realisticamente più attendibile, ma perché è quello che si abbandona più decisamente al diritto all’invenzione fantastica, alla metafora; al diritto dei poeti (per citare un antico detto greco) di dire bugie, le quali su un altro piano, diverso da quello dei meri fatti, possono esprimere delle verità esistenziali. Ma se sulla scomparsa di Majorana e sui suoi motivi non si dà - almeno con le conoscenze di cui disponiamo - storia, si può dare storia di un altro aspetto della tragica vicenda di Majorana, che ci interessa e ci tocca ancor più del suo enigmatico destino, perché rivela una verità epocale della nostra cultura, della nostra storia. È quello che ha fatto, in un aureo libretto, Roberto Finzi, senza pretese di investigare o di immaginare meglio di altri quello che può essere successo in quella notte fra il 25 e il 26 marzo 1938 in cui Majorana si è volatilizzato, ma con la capacità di far risaltare un fenomeno inquietante della nostra cultura, che il caso Majorana ha messo in imbarazzante evidenza (Ettore Majorana. Un’indagine storica, Edizioni di Storia e Letteratura). Non sapremo forse mai se Majorana ha deciso di togliersi di mezzo perché turbato dalla prospettiva di concorrere alla preparazione di qualcosa di terribile come la bomba atomica oppure perché amareggiato da più modeste e meschine vicende concorsuali universitarie. Ma una cosa è sicura: ad un certo punto il grandissimo fisico ha messo in discussione il senso di ciò che egli e i suoi geniali amici e colleghi stavano facendo, il significato della strada che la scienza, anche per suo merito o per sua colpa, stava intraprendendo. Dinanzi a tale critica la comunità scientifica - la straordinaria comunità scientifica dei suoi amici e colleghi, che ammirano la sua grandezza - reagisce con totalitaria e dogmatica chiusura ideologica. La scienza, che sta cambiando il mondo e vivendo la sua più grande stagione creativa, non può ammettere che si ponga in dubbio il senso della sua attività e delle sue scoperte, che si metta in discussione non l’uno o l’altro risultato o esperimento, ma ciò che quest’ultimo significa nella vita dell’uomo. Se ad avanzare queste domande eretiche è una persona qualsiasi, magari un grande scrittore ma digiuno di scienza, lo si ignora o lo si compiange come un dilettante che non sa di cosa sta parlando. Ma se a dubitare del cammino - del senso del cammino - della scienza è un grandissimo scienziato che ha contribuito come pochi altri a quella svolta scientifica epocale, non lo si può ignorare né compatire con sufficienza. Tuttavia, proprio perché la sua denuncia è così conturbante, occorre neutralizzarlo e allora si dice che è un po’- o molto - matto oppure che è affetto da crisi mistiche e religiose, il che secondo la mentalità di alcuni gretti scientisti (ben diversi dai grandi scienziati che proprio dalla scoperta di alcune verità hanno ricevuto un senso più profondo del mistero) è la stessa cosa. Uno stravagante, anche di genio, può dire quello che vuole, senza che si sia obbligati ad ascoltare le sue ragioni. Questo è l’esilio, l’ostracismo subìto da Majorana; più significativo, per lo spirito della nostra epoca, della sua morte o del suo ritiro in convento ipotizzato da Sciascia. Da questo punto di vista il volume di Finzi pone in evidenza un atteggiamento della scienza irragionevole e antiscientifico. Naturalmente questa intolleranza degli scienziati è parzialmente giustificata dal fatto che essi si sentono, giustamente, assediati in un Fort Apache della ragione circondato e aggredito dai beceri e miserabili attacchi dell’irrazionalismo sempre più dilagante e probabilmente già all’opera ai tempi di Majorana; da quel pacchiano culto del falso mistero da baraccone, del paranormale, dell’occultismo che sempre più ci soffoca; degli oroscopi scambiati per osservatori astronomici, delle Madonne di gesso che piangono offendendo il senso della donna piena di grazia che accettò una maternità scandalosa, dal culto dei parapsicologi e dei miracoli da baraccone, che oltraggia egualmente scienza, ragione e fede. Questa paccottiglia falsamente misticheggiante, questo schiamazzo di imbroglioni e imbrogliati non dovrebbe tuttavia turbare la scienza, che è ricerca di verità e dunque deve accettare le fondate critiche e anzi porsi di continuo domande e dubbi sul senso del suo procedere. Quando un altro grande fisico di quella grande pattuglia di via Panisperna, Rasetti, decide di non partecipare al progetto Manhattan - alla preparazione della bomba atomica - gli amici, ossia grandi altri scienziati, ricorda Finzi, lo definiscono "strano". Non solo il Galileo di Brecht ma anche Galileo non avrebbe trovato scientificamente corretta questa reazione.
Nel nuovo saggio, «Tra scienza e lettere», dedicato al fisico Giovannino Gentile, figlio del filosofo Giovanni, lo storico Paolo Simoncelli ha sostenuto che non vi fu alcuna congiura contro Ettore Majorana, ridimensionando così la tesi di Leonardo Sciascia che nel 1975 scrisse un libro in cui accusava la comunità scientifica dell’epoca, a cominciare da Enrico Fermi e da Giovanni Gentile, che avrebbe tramato per favorire il figlio in un concorso universitario.
«Corriere della sera» del 12 febbraio 2007
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