di Massimo Gramellini
Se avete visto un telegiornale, sarà successo anche a voi di sobbalzare davanti all’immagine di un signore coi baffi dal forte accento catanese che concionava in modo arrogante una platea di cronisti. Sulle prime ho pensato: sarà il fratello del poliziotto ucciso. Invece era il padre del ragazzo che secondo gli inquirenti lo ha ammazzato. E’ umano che quando c’è di mezzo il sangue del tuo sangue un genitore cerchi di negare anche l’evidenza. Ma questo è arrivato ad assolvere l’intera comunità dei teppisti, accusando del delitto la polizia. E con che toni.
Il particolare che l’amata creatura avesse sradicato i cessi dello stadio per lanciarli contro altri esseri umani è stato da lui derubricato a “litigata”. Di episodi simili, ha aggiunto, ne succedono in tutta Italia. Come no? Ogni mattina la gente sale in metropolitana con un gabinetto sulla testa, pronto a scagliarlo contro il primo passeggero che non gli dà la precedenza. Ma il padre non ha voluto sentire ragioni: suo figlio e gli altri angioletti della curva volevano soltanto picchiarsi in santa pace con i tifosi del Palermo e se la polizia non avesse inquinato l’aria con i lacrimogeni, non sarebbe successa nessuna disgrazia.
Si fosse limitato a difenderlo dall’accusa di omicidio, avrei ancora nutrito l’illusione che in privato sarebbe stato capace di dare una raddrizzata al figlio. Ma dopo uno spettacolo di tale tracotanza e disprezzo per lo Stato, mi chiedo dove e da chi quel ragazzino avrebbe potuto imparare i rudimenti dell’educazione civica e dell’autocontrollo. Anzi, ho smesso di chiedermelo.
Il particolare che l’amata creatura avesse sradicato i cessi dello stadio per lanciarli contro altri esseri umani è stato da lui derubricato a “litigata”. Di episodi simili, ha aggiunto, ne succedono in tutta Italia. Come no? Ogni mattina la gente sale in metropolitana con un gabinetto sulla testa, pronto a scagliarlo contro il primo passeggero che non gli dà la precedenza. Ma il padre non ha voluto sentire ragioni: suo figlio e gli altri angioletti della curva volevano soltanto picchiarsi in santa pace con i tifosi del Palermo e se la polizia non avesse inquinato l’aria con i lacrimogeni, non sarebbe successa nessuna disgrazia.
Si fosse limitato a difenderlo dall’accusa di omicidio, avrei ancora nutrito l’illusione che in privato sarebbe stato capace di dare una raddrizzata al figlio. Ma dopo uno spettacolo di tale tracotanza e disprezzo per lo Stato, mi chiedo dove e da chi quel ragazzino avrebbe potuto imparare i rudimenti dell’educazione civica e dell’autocontrollo. Anzi, ho smesso di chiedermelo.
«La Stampa» del 10 febbraio 2007
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