Crolla un mito della comunicazione televisiva: l’audience non è più un valore assoluto. Specie se ottenuto a colpi di risse e volgarità.L’inversione di rotta dei pubblicitari: basta investimenti in programmi livellati al basso
di Alberto Contri
Si parla tanto di «responsabilità sociale dell’impresa», ma finora le aziende dei media sono quelle più in ritardo. Eppure sfornano un loro prodotto che incide profondamente sul comune sentire e sull’ecologia della mente
Il dibattito sulla qualità della televisione, nonostante l'elevato tenore degli ultimi interventi, rischia di rimanere prigioniero del circolo vizioso nel quale è di fatto invischiato da anni a causa di una serie di pre-giudizi che, se non vengono rivisti, lo costringeranno al destino di una storia sempre uguale e senza fine. Tanto per cominciare, una volta per tutte dovremmo deciderci a stabilire se la televisione influisce o meno sul comune sentire. Secondo il parere di illustri e progressisti maître à penser, la televisione non è che lo specchio della società, ragion per cui bisogna dare al pubblico ciò che il pubblico vuole. Secondo altri può invece influenzare le coscienze nel bene e nel male: per tale motivo ci si dovrebbe sforzare di migliorare la società proponendo contenuti capaci di elevare il senso critico della popolazione. In questo gruppo mi è sembrato iscriversi anche Walter Veltroni con il suo recente intervento sul Corriere della Sera. Eppure, in un periodo in cui si parla tantissimo di «responsabilità sociale dell'impresa», mentre all'unanimità viene accettato che nel produrre beni e servizi si debbano rispettare severi codici di comportamento e salvaguardare l'ambiente, altrettanto non si pretende per le imprese dei media, il cui prodotto incide profondamente sul comune sentire e sull'ecologia della mente. Ci possono essere svariate cause che portano degli ultras ad ammazzare un agente dopo una partita di calcio, o una signora di Erba a sgozzare freddamente due adulti e un bimbo, o un vicino di casa ad uccidere una istruttrice di delfini solo perché disturbato dai suoi cani. Ma siamo così sicuri che su queste menti già deboli e stravolte non possano aver influito anche quei programmi nei quali il modello sistematicamente ricercato e proposto è la rissa tra gli ospiti (che si tratti di calcio, di politica o di reality poco cambia), così come il fatto che un bambino guardando la Tv assista alla visione di più o meno quattordicimila atti di uccision e all'anno? È questa la realtà che dovrebbe riflettere lo specchio televisivo o è semplicemente un escamotage per attirare audience? Per non parlare del relativismo etico che scorre a fiumi, mascherato da modernismo. Anche sull'audience occorre rivedere molti punti: oramai non ne esiste più una «sola», perché è quasi del tutto finito il tempo collettivo speso davanti ad un solo programma. E quando avviene, si tratta di audience molto avanti con l'età (dai 55/58 in poi) e con una scolarità che di norma non supera la terza elementare. Mentre le classi più giovani stanno oramai su Internet o sui canali tematici, dedicando sempre meno tempo a singoli media… e quindi collezionando solo frammenti. A questa frammentazione dell'audience si accompagna un nuovo concetto di qualità che gli utenti pubblicitari stanno perseguendo: sempre più aziende di marca (lo si è appreso nel recente seminario del comitato «Tv e minori») intendono rifiutare di far apparire la propria pubblicità in programmi volgari o rissosi: atteggiamento che sta mettendo in crisi il concetto del valore commerciale di un'audience raggiunta a qualsiasi costo. Ponendo fine ad un altro manicheo quanto errato pre-giudizio: che per raccogliere pubblicità occorrano grandi audience, le quali si raggiungono per definizione solo con una programmazione «bassa». Sempre più aziende, inoltre, si stanno domandando come raggiungere le audience pregiate (giovani/adulti protagonisti dei consumi) che stanno cambiando dieta mediatica. Stiamo quindi assistendo ad un cambio di paradigma semplicemente epocale, di fronte al quale chiedere di spostare in prima serata programmi di qualità per parlare ai giovani è certamente molto giusto ma purtroppo tecnicamente improprio, perché in prima serata ci ritroviamo comunque gli anziani di cui sopra. Come fa notare Aldo Grasso, un servizio pubblico è tale se cerca di raggiungere tutta la popolazione, e non soltanto una sua porzione, che si sta oltretutto rivelando marginale… A questo si p uò rispondere con i quattro milioni di utenti unici dai 18 ai 44 anni che oggi navigano sul portale web della Rai, sul quale, dal giorno stesso del suo richiamo, il documentario che tanto è piaciuto a Veltroni (Comizi infantili) è disponibile integralmente per chiunque a qualsiasi ora! Come stanno facendo Bbc e France Television, un servizio pubblico può raggiungere la maggiore audience possibile (articolata in tutti i suoi segmenti di età e di ceto) utilizzando appieno quella multimedialità che il progresso tecnologico mette oramai alla portata di tutti. Rimane il problema che non è così semplice far cambiare rotta alla creatività autorale della Tv generalista, per via della enorme inerzia di un sistema pubblico il cui troppo frequente cambio di vertici impedisce di applicare qualsiasi strategia di radicale cambiamento e di lungo respiro. Enorme è quindi la responsabilità di chi opera quotidianamente, troppo spesso limitandosi alla cura del fatto estetico ed emotivo di uno specifico televisivo che si ritiene per definizione separato dalla verità e dalla realtà. Nella apparente modernità di questa modalità di comunicazione non ci sono vincitori e vinti, perché tutti sono stati vinti: chi aveva ragioni teoriche non ha saputo mostrare nei fatti che tenere insieme il bello, il giusto, il vero rendeva più appassionante e impegnativo il compito di mostrare il mondo aiutando a migliorarlo. Mentre chi ha rotto il legame tra verità, bellezza, giustizia ha reso di fatto incomprensibile il mondo. Per non dire di peggio, visto il livello della conversatio e dei comportamenti delle più diverse classi sociali. Che fare allora? Nel cercare di adeguarsi con intelligenza - e molto rapidamente - al sempre più incombente cambio di paradigma, gli operatori televisivi potrebbero assai semplicemente ogni giorno cominciare a lavorare riflettendo sulle parole che Marguerite Yourcenar fa pronunciare all'imperatore Adriano: «Mi sentivo responsabile della bellezza del mondo».
«Avvenire» dewl 14 febbraio 2007
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