Il paradosso della giustizia italiana: sì alle nozze via telefono, nessun aiuto ai giovani che vogliono il rito civile
di Magdi Allam
I consolati non rilasciano il nullaosta se lui non si converte o se il padre di lei si oppone
«Buongiorno, io e la mia fidanzata algerina ci vogliamo sposare ma siamo impossibilitati a farlo perché il padre di lei non vuole dare il suo consenso. Io sono italiano e mi sono convertito all’islam a dicembre. L’imam di Milano rifiuta di sposarci senza il consenso del padre (tieni presente che abbiamo entrambi 30 anni). A questo punto siamo sicuri che il consolato algerino non rilascerà il nulla osta per il rito civile. La situazione è molto delicata anche perché il padre di lei è una persona aggressiva. Non sappiamo più cosa fare. Lei vorrebbe andare via di casa, ma sappiamo che così avremmo contro di noi il padre e tutta la comunità islamica che fa capo all’imam. Chiedo un vostro consiglio e possibilmente un aiuto. Grazie». L’S.O.S. arriva via Internet al forum «Noi e gli altri» che modero all’interno del sito del Corriere. A riprova del clima di paura, lui si nasconde dietro lo pseudonimo «nickname». Più anonimo di così non si può. Eppure siamo in Italia, sposarsi tra adulti consenzienti dovrebbe essere un diritto tutelato dalla Costituzione e dalla legge. Evidentemente la realtà è diversa. Il nostro forumista ci aggiorna sulla situazione: «Abbiamo letto che la moschea di Roma potrebbe rilasciarmi il certificato di conversione, cosa che l’imam di Milano non vuole fare. A questo punto non sappiamo però se riusciremo ad ottenere il nulla osta del consolato algerino. Sai per caso se il diritto matrimoniale di quel Paese prevede un consenso formale del padre? Se ci basta il certificato siamo finalmente ad un passo dal matrimonio». Poi l’ultimo messaggio del 17 febbraio: «È una situazione veramente frustrante e ridicola. Spero che l’Italia emani una legge per fare in modo che le cittadine musulmane possano sposarsi senza il nulla osta dei loro paesi integralisti. Ti chiedo se mi puoi consigliare un buon avvocato nel caso ci vengano sbarrate le porte da parte del consolato algerino. Abito a Milano e un buon avvocato che conosca la materia potrebbe essermi utile e spero di non spendere troppi soldi perché ne abbiamo già pochi». Il dramma di «nickname« e della sua fidanzata algerina è l’ennesimo caso paradigmatico che attesta come di fatto in Italia, nel caso del matrimonio di un italiano con una musulmana, la sharia islamica prevalga sulla legge dello Stato. Perfino paesi abitualmente considerati laici, come l’Algeria, la Tunisia, il Marocco o l’Egitto, impongono che un non musulmano per poter sposare una loro cittadina debba obbligatoriamente convertirsi all’islam, quale conditio sine qua non per rilasciare un certificato di nulla osta, senza il quale le autorità italiane non autorizzano il matrimonio. A questa prassi, che viola i principi della Costituzione e del nostro ordinamento giuridico che vietano qualsiasi discriminazione sulla base del sesso, della razza, della religione o delle idee professate, si sono finora ribellati solo alcuni italiani ricorrendo alla magistratura. È stato il caso di Luigi Del Marro e della tunisina Sallouha Khalfallah, uniti in matrimonio dal sindaco di Roma Walter Veltroni il 31 luglio 2004, dopo che l’avvocato Paolo Liberati era riuscito a ottenere una sentenza del tribunale di Roma che ordinava all’ufficiale di stato civile di procedere alle pubblicazioni di matrimonio nonostante il rifiuto delle autorità tunisine di concedere il nulla osta a Sallouha. Ma di fatto in Italia il matrimonio della musulmana continua a essere regolamentato dalla sharia islamica. Paradossalmente questa realtà si accompagna alla recente sentenza del Tribunale di Milano secondo cui «anche il matrimonio celebrato per telefono ha validità giuridica», così è come è prassi in Pakistan, perché «il giudizio di validità formale del matrimonio« deve essere effettuato «alla luce della legge del luogo di celebrazione o della legge nazionale dei due coniugi». Così come in passato, con la sentenza del Tribunale di Bologna del 13 Marzo 2003, è stato riconosciuto il diritto alla poligamia in Italia per i musulmani che hanno contratto matrimoni poligamici nel loro Paese d’origine «essendo irrilevante il comportamento tenuto all’estero dallo straniero la cui legge nazionale riconosce la possibilità di contrarre più matrimoni». Sono tutti casi reali di relativismo giuridico nell’ambito dell’istituto del matrimonio che accreditano la sharia islamica in Italia. Complice l’orientamento di una certa magistratura che privilegia il culto del diritto formale ed è indifferente alle sue conseguenze concrete, e il paradosso di una classe politica sempre molto attenta a difendere la laicità dello Stato dalle ingerenze della Chiesa ma apparentemente ignara che l’Italia è già infiltrata dalla sharia islamica.
«Corriere della sera» del 21 febbraio 2007
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