di Manlio Simonetti
L'etimologia di «carnevale» non è sicura. Tra le varie proposte, la più accreditata fa derivare la parola da carnem levare, cioè «togliere la carne», in quanto alla fine del carnevale si sarebbe dovuto digiunare. L'origine di questo periodo festivo è abitualmente additata nella festività romana, in dicembre, dei Saturnalia, festa di fine d'anno caratterizzata, oltre che da banchetti, da tratti trasgressivi con la momentanea sospensione del vigente ordine sociale e perciò un'atmosfera volutamente caotica. Ma se è vero che il carnevale presenta non poco in comune con i Saturnalia, a questa festa mancano altri tratti caratteristici del carnevale, quali i travestimenti, l'uso delle maschere, la licenza sessuale.
Questi caratteri si riscontrano, invece, nei Lupercalia, celebrati il 15 febbraio, anch'essi a fine d'anno secondo l'altro sistema calendariale romano che faceva cominciare l'anno alle idi di marzo. La festività - molto antica, probabilmente preromana e di origine pastorale - si incentrava in una gara di corsa effettuata dai sacerdoti Luperci, divisi in due squadre capitanate dai due consoli in carica. La leggenda tramandava che nella mitica prima corsa dei Lupercalia i capitani sarebbero stati Romolo e Remo. La festa, un tempo deputata anche con valore iniziatico a far entrare i nuovi adulti nella comunità, aveva soprattutto funzione purificatrice, in specie dalle malattie dell'uomo e del bestiame, dai disastri climatici, dalla sterilità sia delle donne sia del bestiame, in linea con la tendenza basilare del mese di febbraio (da februae, strumenti di purificazione), finalizzata a portare il popolo, ormai purificato e rinnovato, all'anno nuovo. I Luperci, nutriti delle carni dei capri appena sacrificati a Fauno, correvano intorno al Palatino tra la folla, in un'atmosfera di grande ilarità, nudi, unti, coronati, mascherati, forse coperti di fango, con attorno ai fianchi una striscia della pelle della vittima appena scuoiata, brandendo un'altra striscia della stessa pelle con la quale frustavano quanti si facessero loro incontro per essere purificati e, soprattutto, le donne sposate che cercavano, mediante le frustate, di guarire dalla sterilità e che per questo, in un tempo molto antico, si denudavano in pubblico.
La popolarità di questa celebrazione festiva era grandissima e altrettanto grande la sua persistenza anche in epoca cristiana: papa Gelasio (492-496) ne attesta la sopravvivenza alla fine del V secolo, cioè più di un secolo dopo che tutti i culti pagani erano stati proscritti dall'autorità imperiale. In quel tempo, non solo la festa continuava a essere regolarmente celebrata, ma perfino i cristiani vi partecipavano. Infatti Gelasio scrisse la lettera che documenta tutti questi fatti proprio per condannare tale partecipazione. Da questo testo apprendiamo che alla fine del V secolo a correre non erano più i nobili sacerdoti Luperci ma individui d'infima origine: l'antica festa romana doveva funzionare ancora per tenere i malanni lontani dalla città, ma cominciava a cedere il passo al più democratico carnevale, in seguito celebrato dovunque, pur con variazioni locali di ogni genere e ormai desacralizzato, nell'ambito di quello che era stato l'Impero romano in Occidente.
Nonostante l'eliminazione della dimensione religiosa - che riduceva la festa pagana a un complesso di manifestazioni più o meno trasgressive prima della penitenza quaresimale - la Chiesa non poteva approvare per ovvi motivi la celebrazione carnevalizia, ma non ebbe la forza di sopprimerla e si dovette contentare di raccomandare moderazione e contegno, mentre la facies trasgressiva gradualmente si attenuava, fino quasi a scomparire ai nostri giorni, caratterizzandosi principalmente per l'uso delle maschere. D'altra parte la Chiesa ha fatto propria la dimensione purificatoria dei Lupercalia, istituendo il 2 febbraio la festa della purificazione di Maria Vergine, la popolare Candelora. Il subentrare della festività cristiana in luogo di quella pagana fu avvertito da Beda (VIII secolo). Dopo aver ricordato la caratteristica di febbraio di essere dedicato, nella Roma pagana, alle purificazioni, egli rileva che la consuetudine della purificazione era stata assunta dalla religione cristiana mediante la celebrazione, in febbraio e nel giorno consacrato alla Madonna, della processione caratterizzata dalle candele accese (De temporum ratione, 12).
Questi caratteri si riscontrano, invece, nei Lupercalia, celebrati il 15 febbraio, anch'essi a fine d'anno secondo l'altro sistema calendariale romano che faceva cominciare l'anno alle idi di marzo. La festività - molto antica, probabilmente preromana e di origine pastorale - si incentrava in una gara di corsa effettuata dai sacerdoti Luperci, divisi in due squadre capitanate dai due consoli in carica. La leggenda tramandava che nella mitica prima corsa dei Lupercalia i capitani sarebbero stati Romolo e Remo. La festa, un tempo deputata anche con valore iniziatico a far entrare i nuovi adulti nella comunità, aveva soprattutto funzione purificatrice, in specie dalle malattie dell'uomo e del bestiame, dai disastri climatici, dalla sterilità sia delle donne sia del bestiame, in linea con la tendenza basilare del mese di febbraio (da februae, strumenti di purificazione), finalizzata a portare il popolo, ormai purificato e rinnovato, all'anno nuovo. I Luperci, nutriti delle carni dei capri appena sacrificati a Fauno, correvano intorno al Palatino tra la folla, in un'atmosfera di grande ilarità, nudi, unti, coronati, mascherati, forse coperti di fango, con attorno ai fianchi una striscia della pelle della vittima appena scuoiata, brandendo un'altra striscia della stessa pelle con la quale frustavano quanti si facessero loro incontro per essere purificati e, soprattutto, le donne sposate che cercavano, mediante le frustate, di guarire dalla sterilità e che per questo, in un tempo molto antico, si denudavano in pubblico.
La popolarità di questa celebrazione festiva era grandissima e altrettanto grande la sua persistenza anche in epoca cristiana: papa Gelasio (492-496) ne attesta la sopravvivenza alla fine del V secolo, cioè più di un secolo dopo che tutti i culti pagani erano stati proscritti dall'autorità imperiale. In quel tempo, non solo la festa continuava a essere regolarmente celebrata, ma perfino i cristiani vi partecipavano. Infatti Gelasio scrisse la lettera che documenta tutti questi fatti proprio per condannare tale partecipazione. Da questo testo apprendiamo che alla fine del V secolo a correre non erano più i nobili sacerdoti Luperci ma individui d'infima origine: l'antica festa romana doveva funzionare ancora per tenere i malanni lontani dalla città, ma cominciava a cedere il passo al più democratico carnevale, in seguito celebrato dovunque, pur con variazioni locali di ogni genere e ormai desacralizzato, nell'ambito di quello che era stato l'Impero romano in Occidente.
Nonostante l'eliminazione della dimensione religiosa - che riduceva la festa pagana a un complesso di manifestazioni più o meno trasgressive prima della penitenza quaresimale - la Chiesa non poteva approvare per ovvi motivi la celebrazione carnevalizia, ma non ebbe la forza di sopprimerla e si dovette contentare di raccomandare moderazione e contegno, mentre la facies trasgressiva gradualmente si attenuava, fino quasi a scomparire ai nostri giorni, caratterizzandosi principalmente per l'uso delle maschere. D'altra parte la Chiesa ha fatto propria la dimensione purificatoria dei Lupercalia, istituendo il 2 febbraio la festa della purificazione di Maria Vergine, la popolare Candelora. Il subentrare della festività cristiana in luogo di quella pagana fu avvertito da Beda (VIII secolo). Dopo aver ricordato la caratteristica di febbraio di essere dedicato, nella Roma pagana, alle purificazioni, egli rileva che la consuetudine della purificazione era stata assunta dalla religione cristiana mediante la celebrazione, in febbraio e nel giorno consacrato alla Madonna, della processione caratterizzata dalle candele accese (De temporum ratione, 12).
«Avvenire» dell’8 febbraio 2007
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