di Giovanni Buzzatti
Il messaggio contro la legge Biagi («Legge 30 legge di guerra») è scritto con lo spray nero sulla facciata di Scienze politiche. Ci sono anche una stella a cinque punte e l’«a» dell’anarchia. Dentro a quel palazzo, in una vietta del centro di Milano, insegna Pietro Ichino, docente di Diritto del lavoro, uno degli obiettivi della rete di terroristi scoperta dalla polizia. Otto delle 15 persone arrestate erano iscritte alla Cgil, uno frequentava proprio Scienze politiche alla Statale di Milano e aveva il compito di reclutare simpatizzanti. Alla facoltà, ieri, Ichino ha incontrato i vertici milanesi dei sindacati, Cgil in testa. Un gesto da lui stesso incoraggiato, che non gli ha impedito però di criticare la Cgil: «Non mi preoccupa che i terroristi fossero iscritti al sindacato, nessuno può impedire a una persona di farlo. Mi preoccupa un’altra cosa: vedo una Cgil che ha perso il gusto del pluralismo, non esiste più un dibatto interno come ai tempi di Lama. Mi preoccupa questo - insiste - non i brigatisti arrestati».
Il professore è iscritto alla Cgil dal 1969 (mostra la tessera) e ne è stato per anni un dirigente. Al suo sindacato, oggi, rimprovera la difesa a oltranza di certe posizioni, «così ostacola il progresso». Una critica che estende alla politica: «La sinistra sindacale e politica ha bloccato il dibattito sui temi del lavoro mettendo dei tabù. Non sanno discutere, non capiscono che anche nell’idea più lontana ci può essere qualcosa di vero».
Ichino sapeva di essere nel mirino dei brigatisti, il prefetto di Milano lo aveva informato dell’indagine. «Per chi fa una vita come la mia è impossibile nascondersi: gli orari delle lezioni, i colloqui con gli studenti, tutto è pubblico. Ma in mezzo ai ragazzi mi sento più sicuro che in strada. Si discute, a volte animatamente, ma ci si guarda negli occhi, non si spara». I primi a salutarlo, ieri, sono stati i dottorandi. Poi sono arrivate le parole di incoraggiamento dei colleghi. «Quello che so l’ho letto dai giornali, non so nulla del brigatista iscritto qui - allarga le braccia Daniele Checchi, il preside -. La scritta contro Biagi? È di un mese fa, da 15 giorni aspettiamo l’impresa che deve cancellarla». I ragazzi confermano: «Le tolgono ma il giorno dopo ricompaiono, negli ultimi tempi il clima è più teso». E il presunto brigatista? «Sì, si vedeva in giro» dice qualcuno. «Tempo fa un gruppetto ha interrotto un incontro sulla Finanziaria perché non era d'accordo con le persone invitate. Lui aveva contatti con questi ragazzi» raccontano altri.
Nello studio del preside, intanto, Ichino discute con Cgil, Cisl e Uil delle infiltrazioni criminali nel sindacato e all’università. All’uscita, il professore si dice sereno, «continuerò a fare quello che ho fatto finora» racconta. Quello che è stato scoperto dalla polizia fa paura, «la stessa che aveva Marco Biagi, al quale a un certo punto hanno tolto la scorta». Due agenti lo seguono lungo scale e corridoi. «Di chi è quella borsa?» urla un agente indicando la valigetta nera in un angolo dell’aula magna, mentre Ichino parla di terrorismo davanti a telecamere e taccuini. «Le forze dell’ordine hanno affinato la loro capacità di indagine e repressione, ma è il Paese che non si è ancora immunizzato. Il problema esisterà finché avremo frange che coltivano la lotta armata».
E le scritte contro Biagi? Ichino sospira: «Ogni volta spendiamo 800 euro per cancellarle e ricompaiono. Succede una volta al mese, non possiamo farlo con la frequenza che meriterebbe...».
Il professore è iscritto alla Cgil dal 1969 (mostra la tessera) e ne è stato per anni un dirigente. Al suo sindacato, oggi, rimprovera la difesa a oltranza di certe posizioni, «così ostacola il progresso». Una critica che estende alla politica: «La sinistra sindacale e politica ha bloccato il dibattito sui temi del lavoro mettendo dei tabù. Non sanno discutere, non capiscono che anche nell’idea più lontana ci può essere qualcosa di vero».
Ichino sapeva di essere nel mirino dei brigatisti, il prefetto di Milano lo aveva informato dell’indagine. «Per chi fa una vita come la mia è impossibile nascondersi: gli orari delle lezioni, i colloqui con gli studenti, tutto è pubblico. Ma in mezzo ai ragazzi mi sento più sicuro che in strada. Si discute, a volte animatamente, ma ci si guarda negli occhi, non si spara». I primi a salutarlo, ieri, sono stati i dottorandi. Poi sono arrivate le parole di incoraggiamento dei colleghi. «Quello che so l’ho letto dai giornali, non so nulla del brigatista iscritto qui - allarga le braccia Daniele Checchi, il preside -. La scritta contro Biagi? È di un mese fa, da 15 giorni aspettiamo l’impresa che deve cancellarla». I ragazzi confermano: «Le tolgono ma il giorno dopo ricompaiono, negli ultimi tempi il clima è più teso». E il presunto brigatista? «Sì, si vedeva in giro» dice qualcuno. «Tempo fa un gruppetto ha interrotto un incontro sulla Finanziaria perché non era d'accordo con le persone invitate. Lui aveva contatti con questi ragazzi» raccontano altri.
Nello studio del preside, intanto, Ichino discute con Cgil, Cisl e Uil delle infiltrazioni criminali nel sindacato e all’università. All’uscita, il professore si dice sereno, «continuerò a fare quello che ho fatto finora» racconta. Quello che è stato scoperto dalla polizia fa paura, «la stessa che aveva Marco Biagi, al quale a un certo punto hanno tolto la scorta». Due agenti lo seguono lungo scale e corridoi. «Di chi è quella borsa?» urla un agente indicando la valigetta nera in un angolo dell’aula magna, mentre Ichino parla di terrorismo davanti a telecamere e taccuini. «Le forze dell’ordine hanno affinato la loro capacità di indagine e repressione, ma è il Paese che non si è ancora immunizzato. Il problema esisterà finché avremo frange che coltivano la lotta armata».
E le scritte contro Biagi? Ichino sospira: «Ogni volta spendiamo 800 euro per cancellarle e ricompaiono. Succede una volta al mese, non possiamo farlo con la frequenza che meriterebbe...».
«Il Giornale» del 14 febbraio 2007
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