Vive da anni nel nostro Paese, gestendo la Bank Al Taqwa in Svizzera, nonostante sia sulla lista nera di Onu e Ue. Citato anche un suo collaboratore
di Magdi Allam
Egitto, Youssef Nada a giudizio per riciclaggio e finanziamento del terrorismo
Il giorno in cui i Fratelli Musulmani dovessero riuscire nell’intento di trasformare l’Egitto in uno Stato islamico, tutti noi avremmo mille ragioni per essere preoccupati. Ma se dovessimo scoprire che ciò si è potuto realizzare grazie ai miliardi del banchiere italo-egiziano Youssef Nada, che detiene il rango di «ministro degli Esteri» del movimento estremista, capiremmo che abbiamo irresponsabilmente nutrito il coccodrillo che alla prima occasione farà fuori anche noi. A metterci in guardia è il presidente egiziano Mubarak che, proprio perché non lo si può oggettivamente considerare un autentico campione della democrazia, dobbiamo credergli quando fiuta attorno a sé aria di dittatura islamica. È un contesto che gli è alquanto familiare avendo iniziato la sua presidenza dopo essersi miracolosamente salvato dall’attentato costato la vita a Sadat il 6 ottobre 1981, perpetrato dal gruppo della «Jihad islamica» nato da una costola dei Fratelli Musulmani. E che teme un colpo di stato islamico da quando, il 9 novembre 2005, è stato costretto dagli Stati Uniti a cedere 88 seggi del Parlamento a un partito che a tutt’oggi è ufficialmente fuorilegge. Mubarak ha giustamente valutato con estrema serietà l’esibizione di forza di una cinquantina di giovani miliziani dei Fratelli Musulmani che, nascosti da passamontagna e con le divise nere dei terroristi di Hamas, hanno inscenato lo scorso 10 dicembre una manifestazione di arti marziali all’interno dell’università islamica di Al Azhar. Tutti si sono ricordati del fatto che la «guida suprema» dei Fratelli Musulmani, Mohammad Mahdi Akef, lo scorso agosto disse che era in grado di inviare decine di migliaia di miliziani islamici in Libano per combattere Israele. Affermazione che lascerebbe supporre che i Fratelli Musulmani abbiano riesumato una struttura militare segreta di cui disponevano fino a quando non furono debellati da Nasser negli anni Cinquanta. Ebbene il nome di Youssef Nada, fondatore della Bank Al Taqwa, compare in cima ad un elenco di 44 alti dirigenti dei Fratelli Musulmani che Mubarak ha deciso, il 6 febbraio, di deferire a un tribunale militare, con le pesantissime accuse di «finanziamento al terrorismo», «riciclaggio di denaro sporco» e «tentativo di sovvertire le istituzioni dello Stato». Con lui c’è un altro italiano, Ali Ghaleb Himmat, di origine siriana, vice-presidente della Bank Al Taqwa. Entrambi, insieme a Ahmed Idriss Nasreddine, già console onorario del Kuwait a Milano, hanno svolto la loro attività tra Campione d’Italia, Lugano e Milano. Tutti e tre sono stati inseriti nella lista nera delle Nazioni Unite e dell’Unione Europea all’indomani della tragedia dell’11 settembre 2001. Tuttavia il primo giugno 2005 la Procura federale svizzera ha deciso l’archiviazione dell’inchiesta contro la Bank Al Taqwa, non essendo il pubblico ministero riuscito a raccogliere le prove dei legami tra la banca e la rete terroristica di Al Qaeda. Quest’iniziativa non ha modificato l’atteggiamento internazionale, per cui i beni della Bank Al Taqwa restano congelati. Ciò che Nada ammette candidamente è il suo ruolo dirigente in seno ai Fratelli Musulmani che predica la distruzione di Israele, legittima i terroristi palestinesi e aspira a riesumare il califfato islamico. In un’intervista concessa il 22 giugno 2005 a Andrea Leoni del TicinOnline, Nada ha detto: «Non ho mai negato che per un quarto di secolo sono stato il responsabile del contatto politico estero dei Fratelli Musulmani che è un’organizzazione moderata e non violenta. Da quando ho 17 anni è un onore per me fare parte dei Fratelli Musulmani». Nada sostiene che a casa sua «hanno trovato un’intesa di pace Iran e Arabia Saudita, Arabia Saudita e Yemen, Yemen e Eritrea, Iran e Iraq, Iraq e Arabia Saudita. Quando ci fu la crisi tra il Fis (Fronte di salvezza islamico) e il governo algerino, andai in Algeria e - col permesso dell’allora presidente - dormii una notte in carcere col maggior esponente della resistenza per trovare una soluzione. Quando poi ci fu la prima guerra del Golfo andai in Iraq da Saddam Hussein per convincerlo a ritirarsi dal Kuwait». Che farà l’Italia di fronte a un caso che vede due suoi cittadini, Nada e Himmat, processati in Egitto, seppur in contumacia, davanti a una corte militare le cui sentenze sono inappellabili? Continuerà a far finta di niente per evitare l’imbarazzo di scontrarsi con il regime amico e «moderato» di Mubarak? Sosterrà Mubarak nella consapevolezza del disastro che causerebbe l’avvento al potere degli estremisti islamici? Oppure si schiererà al fianco dei Fratelli Musulmani, accettando la tesi avanzata perfino da Washington e Londra, secondo cui è preferibile coinvolgerli nella gestione del potere per isolare e combattere i terroristi di Bin Laden, anche a costo di ritrovarci con il Mediterraneo meridionale e orientale unificato sotto il vessillo di un nuovo califfato islamico?
«Corriere della sera» dell’11 febbraio 2007
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