di Giulia Ziino
C’è il minimalista, che tiene il cellulare in una tasca interna sperando che non suoni mai. Il maniacale, che ha sempre il telefonino in mano, superaccessoriato e perennemente occupato. Lo strategico ne ha due, uno di lavoro, l’altro personale: il rischio è quello di confondersi. Rischio maggiorato se i telefonini sono tre, uno anche per l’amante. Tipi diversi di una stessa specie, esemplari di razza umana al tempo della digital life. La vita digitale, quella che viviamo da quando i cellulari hanno invaso le nostre giornate, diventando indispensabili, protesi senza le quali ci sentiamo persi. Come la ruota o la televisione, la telefonia mobile ha cambiato le nostre abitudini generando nuovi meccanismi di adattamento. Per dirne una, se andremo avanti in questa progressiva digitalizzazione, il tatto prenderà il sopravvento sugli altri sensi. Ma l’evoluzione non si misura solo dalla lunghezza dei pollici: i veri cambiamenti avvengono a livello profondo. Per isolarli in mezzo alla tempesta di suonerie e chiamate, si è fermato a fare il punto lo psichiatra Vittorino Andreoli. Risultato della sua riflessione è La vita digitale, un libro a metà strada tra il tecnico e il colloquiale, in uscita oggi da Rizzoli (pagine 220, 10 euro). Se non vi siete riconosciuti in uno dei tre tipi di homo digitalis non pensate di restarne fuori: la vita digitale, come la racconta Andreoli, oramai è globale. Il cellulare è un prodotto di natura come il pomodoro, e come tale lo viviamo, facendo leva sul nostro bisogno primitivo di comunicare. Un bisogno di cui è lo strumento perfetto. Il problema è che, da strumento, finisce per diventare oggetto della comunicazione: non più il tramite di un rapporto uomo-uomo ma il secondo polo di una relazione uomo-cellulare. Caro telefonino, ti amo? Fedele, monogamo, disponibile, il telefonino è il partner ideale per un matrimonio (anzi per una coppia di fatto, più funzionale secondo Andreoli): dall’incontro con lui si esce trasformati. Come Dante con Beatrice. Ma la digital life, avverte Andreoli, non deve sovrastare la human life ma solo farne parte. Il rischio è che l’uomo digitale si trasformi in un «uomo di superficie», tutto all’insegna dell’apparire. E allora non ci sarà telefonino che tenga, perché l’uomo non avrà più niente da dire.
«Corriere della sera» del 21 febbraio 2007
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