di Franco Cardini
Ariel Toaff chiede all'editore Il Mulino di ritirare il suo «Pasque di sangue», di recente comparso nelle librerie e che aveva suscitato, come si sa, molto interesse ma anche molte polemiche. La quarta di copertina del libro che non vedremo più in circolazione, o che ricomparirà magari tra qualche mese in edizione "riveduta e corretta", o che saremo costretti ad acquistare e a leggere in una lingua diversa dalla nostra, diceva che questo libro «affronta coraggiosamente uno dei temi più controversi nella storia degli ebrei d'Europa». In un articolo comparso il 10 scorso su "Repubblica", che discuteva appunto tale libro e che conteneva peraltro molte interessanti e condivisibili osservazioni, uno studioso che ammiro, Adriano Prosperi osservava: «Non si capisce bene dove sia il coraggio visto che la tesi qui sostenuta legittima le accuse dei vincitori e le persecuzioni dei vinti»: ma, parlando di «vincitori», Prosperi alludeva evidentemente a quelli ch'erano stati tali alcuni secoli fa, ma che senza dubbio - da allora - hanno subìto una forte e dura sconfitta dinanzi alla storia. Ora, penso che anch'egli si sia ricreduto: se Ariel Toaff è giunto a un passo del genere, è evidente che la situazione attorno a lui si era fatta pesante; e, siccome nessun essere umano è tenuto a un coraggio illimitato, egli ha esaurito la sua scorta. Lo comprendo: io, l'avrei esaurita molto prima. Poiché era appunto evidente in che cosa consistesse il coraggio di Ariel Toaff: nel fatto cioè che oggi il discutere di qualunque tema storico riguardi ebrei ed ebraismo è divenuto estremamente difficile e delicato. Tra il sereno confronto fra tesi e ipotesi storiche da una parte, il mondo ebraico dall'altra, v'è l'ombra tragica della Shoah con tutto quel che comporta: comprese le penose discussioni relative a revisionismo e negazionismo. Non fingiamo che tutto ciò non ci riguardi, non dissimuliamo il nostro turbamento dinanzi al pericoloso gorgo d'interferenze continue tra ricerca storica, uso della storia, speculazione politica e quindi condizionamento della libertà d'espressione che tutto ciò comporta. Dalla proposta Mastella di sancire per legge quale sia la verità storica, che ricalca altre penose scelte del genere adottate da altri paesi europei, sino alla decisione di Toaff corre un filo nero che rischia di strangolare la libertà, e quindi anche la cultura e la ricerca scientifica, che senza libertà non possono svilupparsi appieno. E tutto ciò in un paese del "nostro Occidente" così fiero della sua democrazia e delle sue libere istituzioni che pretende addirittura d'essere in diritto d'esportare. Magari con la forza, come s'è di recente visto. Questa è una cocente sconfitta per tutti, per la nostra cultura e per la nostra società. Un libro ritirato dal commercio, a pochi giorni dalla sua uscita, equivale a un libro distrutto. A un libro bruciato. I libri, li bruciavano gli inquisitori e i nazisti. Non nascondiamoci dietro un dito. Uno studioso serio è stato sommerso da un torrente di critiche alcune delle quali magari plausibili e sotto il profilo scientifico perfino sacrosante o comunque legittime, ma altre del tutto extrascientifiche e per giunta formulate aprioristicamente, addirittura prima che il suo libro uscisse e da gente che evidentemente nemmeno l'aveva letto. Non so se abbiamo il diritto di chiedere ad Ariel Toaff spiegazioni su quanto ha dovuto fare. Un senso di rispetto e di pietas (non solo - e non tanto - nei suoi confronti) m'indurrebbe quasi a ritenere che di questo brutto episodio sarebbe meglio non parlar più. Finger che non sia mai accaduto. Il fatto è che, purtroppo, è successo. E questo obbliga tutti noi a farci un sacco di tristi, dure, compromettenti domande. Verso quale altro 1984, verso quale altro «Fahrenheit 451» si sta dirigendo la nostra iperliberissima società?
«Avvenire» del 16 febbraio 2007
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