«Lo dimostra un archivio etnologico in California, che ha schedato le società esistite dalla preistoria ad oggi»: parla il sociologo Pierpaolo Donati
di Stefano Andrini
«L'idea che la famiglia sia una creazione del cristianesimo è una vecchia tesi dell'Ottocento, propalata dagli studiosi di quel tempo con molta fantasia e poche o nulle informazioni scientifiche. La ritroviamo in Marx e in tanti altri pensatori. Le scienze sociali dell'ultimo secolo hanno appurato che non c'è società senza famiglia, e che la famiglia non è soggetta a leggi evoluzionistiche lineari, in qualsivoglia direzione». Lo afferma il sociologo Pierpaolo Donati. «Il fatto storico della famiglia - aggiunge - è documentato sin dalla notte dei tempi, se si osservano per esempio le tombe sepolcrali dove venivano riposte un uomo e un donna, e magari i figli. A livello scientifico, esiste un archivio etno-antropologico presso l'università della California che ha schedato le informazioni empiriche relative a quasi tutte le società conosciute, da quelle primitive sino al Novecento. Il risultato delle analisi condotte è che la famiglia - concepita come unione stabile di un uomo, una donna e i loro figli (così la definisce l'antropologo francese Claude Lévi-Strauss) - è presente in tutte le società, ovviamente con delle variazioni dovute a fattori culturali e ambientali. Si ha notizia di due sole tribù in cui non si riscontra la famiglia nucleare, ma esse sono scomparse proprio perché non avevano una struttura familiare capace di rigenerare la società».
Perché la civiltà occidentale sembra voler rinnegare oggi uno dei suoi pilastri come la famiglia?
«Non è da oggi, ma da almeno due secoli che la famiglia è oggetto di teorie che sostengono che la famiglia è un retaggio del passato, una necessità strumentale delle economie arcaiche. Però oggi l'attacco è più forte perché la società contemporanea tenta un esperimento inedito, quello di liberare l'individuo (generalizzato in senso astratto) da tutti i legami sociali, pensando che senza tali legami le persone possano vivere più libere e felici. La società postmoderna vuole "immunizzare" gli individui dalla famiglia. Ques to sogno, che in passato è stato tentato su piccola scala, oggi guida la globalizzazione occidentale, spinto in avanti soprattutto da enormi interessi economici».
La definizione di famiglia come società naturale è ancora attuale?
«Oggi più che mai la famiglia è una realtà "naturale", se con questo termine non si intende una cosa fissa, scritta sulla pietra, ma il senso profondo di una relazione fra i sessi e fra le generazioni che costituisce il momento in cui la natura si fa cultura. Il punto è che il diritto naturale deve essere sviluppato su basi culturali appropriate, che oggi mancano perché si preferisce pensare che la famiglia sia solo una costruzione artificiale, che ciascuno può scegliere e fare a piacimento. Un grande inganno, come sanno tutti coloro che fanno questo esperimento».
Ci sono tracce nella storia di altri gravi attacchi alla famiglia?
«Dal Seicento ad oggi, a partire da alcune correnti del mondo protestante insediato nel Nord America, si è sostenuto che, poiché il Vangelo dice che in cielo non ci saranno né mariti né mogli, tanto vale abolire il matrimonio già su questa terra (qualcosa del genere era già stato detto molti secoli prima). Nel Novecento, il tentativo più grandioso di eliminare il matrimonio è stato fatto nell'Unione Sovietica dopo la rivoluzione del 1917. Nello stesso periodo storico qualcosa di simile è stato tentato nei Kibbutz in Israele. È noto che tutti questi tentativi sono falliti. La connessione fra matrimonio e famiglia è riemersa ovunque. Oggi la novità viene dalle società che hanno un welfare più avanzato (come nei Paesi scandinavi), dove sembra che il matrimonio non abbia più valore. In realtà succede che la società, in questi casi, attribuisce ai conviventi le qualità dei coniugi, anche se questi non fanno il matrimonio. Chi ci perde sono le persone, che rimangono prive del bene di una relazione umanizzante e sono esposte a continue e snervanti negoziazioni e riprogettazioni senza radici solide».
Qual è il vero obiettivo della associazioni omosessuali che richiedono i Pacs?
«La pressione di lungo periodo è quella di rendere il matrimonio indifferente all'identità sessuale. Il principio che viene invocato è il seguente: il matrimonio è un bene del quale tutti debbono disporre con uguali opportunità, a prescindere dall'identità sessuale personale. Si invoca questo principio di uguaglianza per evitare "discriminazioni" verso gli omosessuali: ma qui c'è un grande equivoco, perché un conto è discriminare (quando si trattano diversamente cose uguali) e un conto è trattare e rispettare ciascuno per quello che è (i sessi sono differenti). Se si afferma il principio per cui la differenza sessuale non ha più né senso né valore, si arriva a quanto proprio oggi propongono alcuni disegni di legge regionali in Italia, i quali prevedono che ogni individuo possa stabilire e dichiarare alla pubblica amministrazione la propria identità sessuale a piacimento. Ma se le persone cambiano identità sessuale a piacimento, in quale mondo vivranno? Chi si troveranno di fronte?».
Perché gli omosessuali chiedono il matrimonio?
«Gli omosessuali chiedono il matrimonio perché vogliono sentirsi uguali agli altri. Se si ragiona sulla uguaglianza dei diritti si sbaglia strada. Bisogna guardare alla natura della relazione, che è diversa. L'omosessualità potrà essere una relazione di affetto, amicizia, aiuto reciproco e altre cose ancora, ma non è per sua natura sponsale. È un altro tipo di relazione. Spetta agli omosessuali dire di che relazione si tratta».
A difesa della famiglia c'è un'inedita alleanza tra cattolici e intellettuali laici. Che frutti potrà dare?
«I frutti che vedo possibili sono quelli di una nuova razionalità capace di offrire delle ragioni nuovamente illuminanti sul senso della vita umana quando le vecchie ragioni non tengono più. Una ragione post-illuministica che trova il suo significato in esperienze e pratiche di vita capaci di vedere che la sponsalità e la genitorialità sono le prime, più originarie e più fondamentali ragioni di vita per la persona. Non dimentichiamo che il valore della famiglia è e rimane al primo posto in tutte le nazioni, anche in quelle dell'Unione Europea. E non dimentichiamo che la società ha bisogno del matrimonio non per opprimere le donne e i bambini, le persone socialmente deboli, ma per dare loro una migliore tutela. Formulo l'auspicio che i problemi sul tappeto possano trovare risposte in una legislazione di ampio respiro che non si fermi ai problemi settoriali, ma rilanci la famiglia mentre riconosce quei diritti individuali di chi persegue, in altre formazioni sociali, non già dei meri desideri privati, ma dei beni meritori degni di essere tutelati dalla intera comunità politica».
«Avvenire» del 22 febbraio 2007
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