In Europa si fanno strada politiche sanitarie aggressive: campagne per stili di vita corretti e sanzioni per chi sgarra. Misure controverse e talvolta poco sensate
di Eugenia Tognotti
Sarà l'opposizione al salutismo di stato a creare un nuovo movimento di disobbedienti? Parrebbe di sì, a giudicare dall'annuncio di possibili interventi punitivi nei confronti di comportamenti dannosi per la salute, il cui costo sociale grava sul sistema sanitario. Dopo alcune avvisaglie a livello europeo, giunte dopo l'ultimo congresso di Istanbul sull'obesità, il governo ha annunciato, nell'ambito del piano Guadagnare salute, un pacchetto contro le morti evitabili, con campagne di sensibilizzazione per contrastare fumo, obesità e pratiche alimentari scorrette. Per i più riottosi a cambiare abitudini potrebbero essere previste, in futuro, sanzioni e misure di dissuasione.
Una filosofia sostenuta da importanti società medico-professionali. Qualche settimana fa, durante il suo 67° congresso, la Società italiana di cardiologia ha ipotizzato l'aumento del ticket su visite e analisi per coloro che si ammalano perché fumatori o sovrappeso. Una proposta che fa eco a quella della Gran Bretagna: tabagisti irriducibili e obesi finiranno in fondo alle liste di attesa per operazioni chirurgiche e trapianti cardiaci (a meno che non rinuncino ai loro vizi).
La salute rappresenta anche una responsabilità individuale, ha detto il ministro della Salute Livia Turco, annunciando possibili misure correttive per i recalcitranti. Sotto accusa obesità, fumo ed eccesso di alcol, un tempo compresi nella triade della perdizione (sanitaria) Bacco, Tabacco, Venere. Insomma, guai a fumatori, bevitori, oversize, sedentari.
Il modello Tony Blair fa scuola e anche da noi si profila lo «stato tata», per riprendere un'espressione del quotidiano inglese Telegraph che, dopo avere proposto l'interrogativo «il governo dovrebbe obbligarci a vivere più sani?», è stato sommerso dagli interventi critici dei lettori. I laburisti, ha scritto uno di loro, dovrebbero smetterla di condannare i comportamenti dannosi per la salute e preoccuparsi piuttosto di quelli che l'hanno perduta, cui il servizio sanitario non offre diagnosi e cure tempestive («La devono finire di dirmi che bevo troppo se non mi curano per la mia malattia»).
Se la maggioranza critica uno stato tutore sempre più invadente, che entra in cucina a misurare il sale e a legiferare su ogni aspetto della vita, non mancano commenti sul pericolo di sottovalutare alcuni fattori di rischio. Perché non mettere sotto accusa, propone un altro lettore, anche «i perversi stili di vita» che comportano malattie a trasmissione sessuale per le quali la Gran Bretagna è prima in Europa?
Invece di abbassare i limiti d'età per il consenso al sesso omosessuale, non sarebbe meglio promuovere la monogamia e la fedeltà? L'accusa, velata, di essere un peso per il sistema sanitario ha fatto arrabbiare i gay: non tutti sono sieropositivi, hanno protestato alcuni. Considerarli un peso per il sistema sanitario, ha scritto uno di loro, «è come ritenere gli esquimesi responsabili del riscaldamento globale».
Si affacciano così, nel concreto quotidiano, i temi cruciali di un dibattito che impegna da tempo esperti di sanità ed eticisti. Tutti concordano sulla responsabilità personale per la salute e sulla strategia di investire su campagne educative fondate su basi scientifiche, come nel caso del fumo. Sulle procedure d'intervento però, e sulle forme di coercizione, ci sono riserve e dubbi. Che valgono anche per l'Italia.
È lecita, per esempio, l'interferenza nella delicata sfera delle libertà dell'individuo, le cui scelte autonome possono avere conseguenze per la salute? C'è poi la questione della classificazione dei comportamenti rischiosi. «Noi oggi colpevolizziamo i fumatori e disapproviamo gli obesi e chi fa vita sedentaria» ha scritto il noto bioeticista americano Daniel Callahan (in La medicina impossibile, Baldini & Castoldi).
«Ma raramente facciamo obiezioni a coloro che praticano il deltaplano, il paracadutismo acrobatico, l'alpinismo e simili». Inoltre si rischia di trascurare le determinanti ambientali, sociali ed economiche e di colpevolizzare le vittime, con la pretesa che modifichino comportamenti su cui esercitano un limitato controllo.
Per adottare misure punitive occorrerebbe essere certi che alcune patologie sono causate da stili di vita scorretti. Ma molti sono i possibili cofattori nell'insorgenza di una malattia, compresa la predisposizione genetica. A innescare i tumori possono contribuire fumo, condizioni ambientali e lavorative, inquinamento.
Il problema della causalità si pone a proposito delle malattie legate a quella che viene indicata come «una dieta scorretta e sbilanciata». Quali prove esistono che cibi ricchi di grassi animali, per esempio, siano responsabili di malattie cardiovascolari? Studi comparativi su grasso e livelli di colesterolo in diverse culture e luoghi sono lungi dall'offrire elementi univoci.
Così Creta, con la sua dieta mediterranea, ha una delle più basse incidenze di malattie di cuore e un'alta aspettativa di vita nonostante l'alta quota di grassi introdotti (40 per cento). Sale addirittura al 48 per cento quella degli olandesi che godono di una delle più elevate aspettative di vita in Europa.
Insomma, un rompicapo, e non solo in Occidente. Il Giappone si trova di fronte al paradosso di un decremento dei tassi di morbilità per malattie di cuore in una società che ha una delle più alte percentuali al mondo di fumatori e che, negli ultimi 40 anni, ha conosciuto un incremento del 40 per cento nel consumo di grassi saturi. Nell'epidemiologia non v'è certezza, quando sono presenti più effetti e più cause (tra cui fattori ambientali e genetici).
Certo, la gente eviterebbe molte patologie se si prendesse maggior cura della propria salute. Il fatto è che non fumare e non bere, controllare la dieta, costringersi all'esercizio fisico richiede una forza di volontà pari a quella che sosteneva i santi nelle loro rinunce per la felicità eterna. Sennonché questa certezza è negata agli asceti laici del nostro tempo. Privarsi di una parte dei piaceri della vita non significa che qualcuna delle temute patologie, dal diabete all'infarto, non insorgano.
Non per questo sono inutili le campagne tese a diffondere linee guida, a responsabilizzare i singoli, a predicare la prevenzione. A patto di non scivolare nell'interventismo integralista o nel salutismo di stato, con un ministero della Salute trasformato in una sorta di sovrintendenza medico-sanitaria.
In un altro momento storico, all'indomani delle scoperte degli agenti patogeni di malattie infettive, l'interventismo dello stato, cedendo all'ossessione igienista, coltivò la velleità di riplasmare il corpo fisico e sociale e lo spazio urbano con i grandi risanamenti. Era l'utopia del Risorgimento sanitario. Le campagne sulla salute del nostro tempo usano invece il linguaggio dell'economia e dell'anatema nei confronti degli stili di vita considerati politicamente scorretti.
Una filosofia sostenuta da importanti società medico-professionali. Qualche settimana fa, durante il suo 67° congresso, la Società italiana di cardiologia ha ipotizzato l'aumento del ticket su visite e analisi per coloro che si ammalano perché fumatori o sovrappeso. Una proposta che fa eco a quella della Gran Bretagna: tabagisti irriducibili e obesi finiranno in fondo alle liste di attesa per operazioni chirurgiche e trapianti cardiaci (a meno che non rinuncino ai loro vizi).
La salute rappresenta anche una responsabilità individuale, ha detto il ministro della Salute Livia Turco, annunciando possibili misure correttive per i recalcitranti. Sotto accusa obesità, fumo ed eccesso di alcol, un tempo compresi nella triade della perdizione (sanitaria) Bacco, Tabacco, Venere. Insomma, guai a fumatori, bevitori, oversize, sedentari.
Il modello Tony Blair fa scuola e anche da noi si profila lo «stato tata», per riprendere un'espressione del quotidiano inglese Telegraph che, dopo avere proposto l'interrogativo «il governo dovrebbe obbligarci a vivere più sani?», è stato sommerso dagli interventi critici dei lettori. I laburisti, ha scritto uno di loro, dovrebbero smetterla di condannare i comportamenti dannosi per la salute e preoccuparsi piuttosto di quelli che l'hanno perduta, cui il servizio sanitario non offre diagnosi e cure tempestive («La devono finire di dirmi che bevo troppo se non mi curano per la mia malattia»).
Se la maggioranza critica uno stato tutore sempre più invadente, che entra in cucina a misurare il sale e a legiferare su ogni aspetto della vita, non mancano commenti sul pericolo di sottovalutare alcuni fattori di rischio. Perché non mettere sotto accusa, propone un altro lettore, anche «i perversi stili di vita» che comportano malattie a trasmissione sessuale per le quali la Gran Bretagna è prima in Europa?
Invece di abbassare i limiti d'età per il consenso al sesso omosessuale, non sarebbe meglio promuovere la monogamia e la fedeltà? L'accusa, velata, di essere un peso per il sistema sanitario ha fatto arrabbiare i gay: non tutti sono sieropositivi, hanno protestato alcuni. Considerarli un peso per il sistema sanitario, ha scritto uno di loro, «è come ritenere gli esquimesi responsabili del riscaldamento globale».
Si affacciano così, nel concreto quotidiano, i temi cruciali di un dibattito che impegna da tempo esperti di sanità ed eticisti. Tutti concordano sulla responsabilità personale per la salute e sulla strategia di investire su campagne educative fondate su basi scientifiche, come nel caso del fumo. Sulle procedure d'intervento però, e sulle forme di coercizione, ci sono riserve e dubbi. Che valgono anche per l'Italia.
È lecita, per esempio, l'interferenza nella delicata sfera delle libertà dell'individuo, le cui scelte autonome possono avere conseguenze per la salute? C'è poi la questione della classificazione dei comportamenti rischiosi. «Noi oggi colpevolizziamo i fumatori e disapproviamo gli obesi e chi fa vita sedentaria» ha scritto il noto bioeticista americano Daniel Callahan (in La medicina impossibile, Baldini & Castoldi).
«Ma raramente facciamo obiezioni a coloro che praticano il deltaplano, il paracadutismo acrobatico, l'alpinismo e simili». Inoltre si rischia di trascurare le determinanti ambientali, sociali ed economiche e di colpevolizzare le vittime, con la pretesa che modifichino comportamenti su cui esercitano un limitato controllo.
Per adottare misure punitive occorrerebbe essere certi che alcune patologie sono causate da stili di vita scorretti. Ma molti sono i possibili cofattori nell'insorgenza di una malattia, compresa la predisposizione genetica. A innescare i tumori possono contribuire fumo, condizioni ambientali e lavorative, inquinamento.
Il problema della causalità si pone a proposito delle malattie legate a quella che viene indicata come «una dieta scorretta e sbilanciata». Quali prove esistono che cibi ricchi di grassi animali, per esempio, siano responsabili di malattie cardiovascolari? Studi comparativi su grasso e livelli di colesterolo in diverse culture e luoghi sono lungi dall'offrire elementi univoci.
Così Creta, con la sua dieta mediterranea, ha una delle più basse incidenze di malattie di cuore e un'alta aspettativa di vita nonostante l'alta quota di grassi introdotti (40 per cento). Sale addirittura al 48 per cento quella degli olandesi che godono di una delle più elevate aspettative di vita in Europa.
Insomma, un rompicapo, e non solo in Occidente. Il Giappone si trova di fronte al paradosso di un decremento dei tassi di morbilità per malattie di cuore in una società che ha una delle più alte percentuali al mondo di fumatori e che, negli ultimi 40 anni, ha conosciuto un incremento del 40 per cento nel consumo di grassi saturi. Nell'epidemiologia non v'è certezza, quando sono presenti più effetti e più cause (tra cui fattori ambientali e genetici).
Certo, la gente eviterebbe molte patologie se si prendesse maggior cura della propria salute. Il fatto è che non fumare e non bere, controllare la dieta, costringersi all'esercizio fisico richiede una forza di volontà pari a quella che sosteneva i santi nelle loro rinunce per la felicità eterna. Sennonché questa certezza è negata agli asceti laici del nostro tempo. Privarsi di una parte dei piaceri della vita non significa che qualcuna delle temute patologie, dal diabete all'infarto, non insorgano.
Non per questo sono inutili le campagne tese a diffondere linee guida, a responsabilizzare i singoli, a predicare la prevenzione. A patto di non scivolare nell'interventismo integralista o nel salutismo di stato, con un ministero della Salute trasformato in una sorta di sovrintendenza medico-sanitaria.
In un altro momento storico, all'indomani delle scoperte degli agenti patogeni di malattie infettive, l'interventismo dello stato, cedendo all'ossessione igienista, coltivò la velleità di riplasmare il corpo fisico e sociale e lo spazio urbano con i grandi risanamenti. Era l'utopia del Risorgimento sanitario. Le campagne sulla salute del nostro tempo usano invece il linguaggio dell'economia e dell'anatema nei confronti degli stili di vita considerati politicamente scorretti.
«Panorama» del 19 febbraio 2007
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