di Pierluigi Battista
Il «Cammino del Che» che verrà presto inaugurato in Bolivia ha molto più a che fare con la devozione religiosa che con la suggestione del tour turistico. Tra visite guidate e confortevoli hotel quel mausoleo in onore di Guevara, raccontato da Elisabetta Rosaspina sul Corriere, quella via crucis che consacra gli ultimi luoghi toccati in vita dal comandante prima di essere ucciso diventerà meta di pellegrinaggi infervorati più che una pista di trekking rivoluzionario per rivivere l’atmosfera elettrizzante dell’avventura guerrigliera. Il Che è sì diventato un gadget, un «marchio capitalista» da consumare ed esibire su sciarpe e accendini, felpe e portachiavi, tazze e borse, come ha scritto Alvaro Vargas Llosa nel suo Il mito del Che Guevara e il futuro della libertà appena pubblicato in Italia dall’editore Lindau. Ma è diventato soprattutto un’icona sacra, un santino: l’esempio di come le cose siano molto più complicate e tortuose di quanto ritengano i sostenitori di una frontiera invalicabile tra «laici» e credenti. La «morte di Dio» non ha ucciso la fede, ma l’ha trasferita in nuove credenze, in nuove forme di identificazione religiosa. La fine della religione tradizionale ha alimentato la nascita di religioni alternative, antagoniste a quella ripudiata, ma non per questo meno assetate di assoluto. Le ideologie totalitarie post-illuministe, come hanno insegnato George L. Mosse e Jacob L. Talmon, hanno creato il fideismo politico, la divinizzazione di un leader, la santificazione di un’idea che diventa ideocrazia così come la teocrazia è stato il dominio assoluto di Dio sulle cose terrene. La vulgata rassicurante di una storia che dall’Illuminismo in poi avrebbe inesorabilmente condotto il mondo dalla fede alla ragione, dalle tenebre alla luce, dalla tirannia ecclesiastica alla laicità della politica ha un rapporto molto esile con la storia vera. Nel frattempo hanno conferito attributi divini al Popolo, alla Nazione, alla Classe, alla Razza, allo Stato, hanno eretto altari per venerare il nuovo potere, hanno portato in processione le immagini sacre dei condottieri come esecutori di un disegno somigliante alla Divina Provvidenza. Dicono che la morte delle ideologie abbia portato a un diffuso risveglio religioso. Perché, quando mai si è assopita la pulsione alla politica vissuta in forme religiose? Il mausoleo dedicato al Che Guevara è solo l’ultima versione, grottesca, di una vicenda storica che ha conosciuto l’adorazione delle mummie di Lenin e di Stalin ai piedi del Cremino, la deificazione dei grandi timonieri, da Mao a Kim il Sung, circondati da un’atmosfera miracolistica, le cerimonie notturne dei seguaci del Capo indiscusso Adolf Hitler allestite con coreografie interamente immerse in una dimensione religiosa e apocalittica. Dicono che il pensiero laico sia sulla difensiva, assediato da un’aggressività religiosa che, secondo Christopher Hitchens, oltre all’integralismo islamico che dichiara la guerra santa all’Occidente contagia anche un nuovo fondamentalismo ebraico e cristiano, e persino induista e buddista. Ma quando il laicismo è stato davvero misura e criterio dell’agire politico per milioni e milioni di persone che hanno vissuto le nuove ideologie secolari come una riedizione dell’entusiasmo religioso? Come se all’indomani della Rivoluzione dell’89 non si fosse proclamato il culto della Dea Ragione, matrice di ogni ideologia politica che vuole sostituire la religione tradizionale con una apparentemente nuovissima. Un’ideologia politica che si vuole laica e finisce in un mausoleo. Come sempre, altro che risveglio religioso.
«Corriere della sera» del 18 giugno 2007
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