Quando il Positivismo tocca vertici esilaranti
di Carlo Cardia
È ormai noto che periodicamente vengono enunciate da qualche scienziato tesi che sembrano sentenze. È dei giorni scorsi l’affermazione di un’importante rivista scientifica per la quale i primogeniti sono più intelligenti dei figli nati dopo. Ciò perché essi svolgerebbero subito funzioni di comando e di guida verso i fratelli minori. L’aspetto più singolare di questa argomentazione è che essa contrasta in modo clamoroso con la realtà dei fatti, con l’esperienza di chi ha avuto, o conosce, famiglie più o meno numerose, con la realtà dell’età evolutiva. Ma l’errore di fondo che si compie è, come sempre, di impostazione perché si dà per scontata una definizione univoca di intelligenza misurandola a indici matematici freddi e inconsistenti. L’intelligenza è qualcosa di complesso e si esprime e si distribuisce in mille forme diverse tra gli uomini, e nelle famiglie. Spesso nelle famiglie i genitori scoprono nei propri figli i primi elementi della loro indole e delle loro doti naturali, che evangelicamente si chiamano talenti. In una famiglia numerosa si può scorgere in un bambino una propensione spiccata per i numeri, per il ragionamento matematico, per la strumentazione scientifica. E si può vedere in un altro una più chiara tendenza alla riflessione, alla introspezione, o al dato estetico, o ancora una maggiore attitudine alla vita attiva, alle attività sportive, e via di seguito. Gioia e impegno dei genitori è ieri come oggi scrutare questo caleidoscopio di menti e intelligenze che stanno germogliando, e intervenire per agevolare, smussare, incentivare o frenare, le spinte che esistono nell’animo e nella psiche dei loro ragazzi. Non si può misurare questo caleidoscopio di doti, tendenze, inclinazioni, con parametri di intelligenza che tutto appiattiscono e impoveriscono. Come non si può dire che un ingegnere è meno intelligente di un dirigente d’azienda, o un politico è più intelligente di un sacerdote, o un pubblicitario di un regista. Neanche l’attitudine al coman do rende l’uomo più intelligente, se il comando non viene esercitato con saggezza. In ogni caso, la tesi presentata come scientifica sbaglia clamorosamente proprio nel rapporto tra fratelli, che siano nati per primi per secondi o per terzi, perché le combinazioni psicologiche e affettive che si verificano nelle famiglie numerose sono praticamente infinite, spesso affascinanti. A volte il primogenito è geloso del secondo, perché si sente privato della sua centralità, e qualunque genitore sa che deve far superare questa fase facendo sentire a tutti i figli una eguale misura di affetto. In molti casi la possibile gelosia si trasforma in un sentimento di protezione verso i fratelli minori, e in quel caso si sedimenta una esperienza di solidarietà che si manterrà nel proprio intimo per tutta la vita. Altre volte, ancora, i genitori sono tentati di riversare il proprio affetto sull’ultimo arrivato, o su chi è più sensibile, magari perché pensano che gli altri fratelli ne hanno meno bisogno. Oppure sostengono di più chi sembra meno dotato, quasi a dargli un supplemento di possibilità. È noto che spesso nelle famiglie si festeggia più un bel voto di chi a scuola non va bene, piuttosto che l’ennesimo voto alto di chi è sempre bravo. Dentro questo caleidoscopio di rapporti affettivi, di problemi e di difficoltà quotidiane, che formano la psiche dei ragazzi, si intrecciano le piccole gelosie e le tensioni, si sviluppa quella realtà complessa di comunità familiare che non è riducibile a nessun indice scientifico, né di intelligenza né di altre cose. E i rapporti tra fratelli si evolvono a seconda del ruolo umano ed etico che i genitori svolgono, spesso con l’esempio più che con le parole, di fronte ai problemi che si affacciano, alle prove da superare, ai traguardi da raggiungere. Insomma, la vita reale, dei genitori e dei figli, come i rapporti tra fratelli, seguono linee ricche, complesse, spesso non facili, nelle quali anche l’essere primogenito determina un condizionament o, ma parziale e non univoco. In questa vita reale non c’è indice o graduatoria d’intelligenza che tenga. Conta solo quella ricchezza di relazioni, solidarietà, anche conflittualità, che prepara i ragazzi alla vita adulta e pone le basi per le scelte future. Ancora una volta il desiderio di ridurre ad unità materiale, o matematica, la vita delle persone, in questo caso la dimensione di figli o di fratelli, si rivela povero e angusto perché vuole scremare e annullare quanto di più vivo esiste nel cuore dei giovani, che resta aperto alla speranza e all’attesa qualunque sia stato il gradino occupato nella scala delle nascite.
«Avvenire» del 24 giugno 2007
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