16 luglio 2007

I vagabondaggi del giovane Pavese

Una mostra sullo scrittore e la sua Torino
di Giorgio De Rienzo
Ricca di inediti la sezione dedicata al rapporto con il cinema
Il Centro interuniversitario «Guido Gozzano-Cesare Pavese», fondato da Giovanni Getto e ora diretto da Mariarosa Masoero, ha allestito nell’Archivio di Stato una mostra su Cesare Pavese e la «sua» Torino, di cui esce ora un bel catalogo (ed. Lindau, pp. 191, 35). È un itinerario che segue soprattutto due percorsi: il rapporto dello scrittore con la città dove studiò e lavorò e la sua avventura nel cinema. Sobria ed elegante è la prima mappa disegnata da Lorenzo Mondo che commenta con intelligenza critica il materiale fotografico spesso inedito, con qualche indugio su fatti curiosi e poco conosciuti. Ecco la casa rustica della famiglia a Reaglie, nella fascia bassa della collina: qui - racconta il giovane scrittore in un diario - «scribacchio e studio tutto il santo giorno e quando, preso dalla rabbia, scappo di casa, ho intorno un giogo di colline, tutte boschi, che è una maraviglia vagabondarle». E Cesare «vagabonda» anche nella città, di cui predilige le «periferie» con le proletarie osterie che frequenta la sera con gli amici della «confraternita del D’Azeglio», il Liceo dove Pavese studiò, sotto il magistero di Augusto Monti, e dove conobbe Ginzburg e Mila, Bobbio ed Einaudi che diverrà il suo «tiranno» editore. Mondo pubblica anche il curriculum degli studi nella facoltà di Lettere. Cesare non eccelle in letteratura italiana (oscilla tra 25 e 27), zoppica in latino (ripete la prova scritta), trionfa invece in letteratura inglese e tedesca, dove infila un 30 dietro l’altro. Si laurea, come è noto, con una tesi su Walt Whitman, il quale - conclude nella dissertazione - «non fece il poema primitivo che sognava, ma il poema di questo suo sogno». La tesi è il primo segnale della «passione americana» che fa Pavese animatore insieme ad Antonicelli di quella «Biblioteca europea» di Frassinelli «Tipografo-Editore in Torino». Sue sono le traduzioni di Moby Dick di Melville e del Riso nero di Sherwood Anderson, ma con la complicità di «Antony» (cioè di Antonicelli) mette mano anche alla versione delle Avventure di Topolino, «storielle e illustrazioni dello studio di Walter Disney». Verrà la vicenda dell’antifascismo. Pavese conobbe il carcere e poi il confino perché nella sua dimora torinese furono trovate lettere indirizzate a Tina Pizzardo (di cui era innamorato) dal comunista milanese Bruno Maffi. «Restio davanti a ogni impegno politico», commenta Mondo, «Cesare accetta la sua disavventura carceraria e confinaria come pegno d’amore. Spera che valga a consolidare un rapporto che dopo i primi fuochi» stava già morendo. Non sarà così. Tornato in libertà, Pavese vedrà Tina pronta a sposarsi con un altro. Si arriva alla notte del 27 agosto 1950 in cui lo scrittore si toglie la vita. Il testamento personale lo lascia scritto su un diario: «La mia parte pubblica l’ho fatta - ciò che potevo. Ho lavorato, ho dato poesia agli uomini, ho condiviso le pene di molti». In pubblico lascia scritte poche parole sul frontespizio dei Dialoghi con Leucò, il libro più amato: «Perdono tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi». Meno preciso, ma ricco di inediti, è il percorso tracciato da Lorenzo Ventavoli sul rapporto con il cinema, in cui Pavese tentò invano un nuovo sbocco professionale. Non c’è solo, come tramandato, la sua passione per il cinema americano, c’è - ne rimane traccia in una bozza scritta per un’intervista - l’apprezzamento forte per la rivoluzione neorealista dei film italiani che «come Ossessione, Roma città aperta, Ladri di biciclette hanno stupito il mondo». E sul film di Roberto Rossellini in particolare c’è la testimonianza inedita in una lettera a Bianca Garufi del 25 febbraio 1946: «Ho veduto Città aperta e sono ancora tutto agitato. Non credo sia soltanto l’effetto della "giustizia" a commuovermi... Mi agita proprio il valore espressivo - non quello documentario -, la ricchezza delle situazioni... È un film molto politico».
«Corriere della sera» del 15 giugno 2007

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